DAILY LA PAROLA

Anthropocene

Per chi si è perso l’articolo di Andrea Guermandi del 2 giugno scorso intitolato Prima dell’estinzione che dava conto dell’inaugurazione al Mast di Bologna della mostra ancora in corso ed anzi prorogata fino al 5 gennaio 2020 prima di spostarsi in altre città, si darà qui conto della parola che dà il titolo alla mostra: anthropocene.

Questa parola, scritta anche antropocene senza il th, è stata coniata nel 2000 dall’olandese Paul Crutzen, premio Nobel per la chimica, e viene impiegata per indicare l’attuale epoca geologica, caratterizzata, su scala tanto locale quanto globale, dai forti condizionamenti dell’azione umana sulle caratteristiche fisiche, chimiche e biologiche dell’ambiente terrestre, e in particolare dagli effetti prodotti dall’aumento delle concentrazioni di anidride carbonica e metano nell’atmosfera.

Anche nella comunità scientifica come ancor più in quella politica e a maggior ragione nell’opinione comune, non c’è una convinzione concorde sull’effettivo suicidio verso cui si sta incamminando l’umanità dopo aver violentato e massacrato il pianeta che la ospita – l’unico in questa galassia e, sulla scorta delle conoscenze che si hanno fino a oggi, nell’intero universo popolato di essere viventi tra cui una specie che si è autoproclamata sapiens–, ma anche gioendo dei giovani che reclamano un’inversione di tendenza e chiedono di guardarsi intorno, non si vedono significativi segni di autocritica e ripensamento.

Una foto esposta alla mostra di Bologna fa rabbrividire perché fa vedere una miniera di litio dove si estrae l’elemento indispensabile al funzionamento delle pile che conservano e poi distribuiscono energia, e pensando a un mondo tutto elettrico e non più fatto di petrolio e dei suoi derivati, viene da chiedersi quanto si dovrà scavare per tirar fuori tutto quel litio.

Se provassimo a sentirci dei microbi in confronto a tutto quanto ci circonda e facessimo meno confusione con l’orologio che segna solo le ore al confronto dei calendari che segnano gli anni o ai cerchi concentrici di un tronco d’albero o agli strati della roccia, lo scenario che molto probabilmente, quasi certamente anzi, ci si parrebbe davanti sarebbe meno inquietante di quanto ci si potrebbe immaginare.

Sono quelle le dimensioni delle ere, minuscole fettine nelle quali si rimane impigliati come ricordo in eterno senza che nessuno se ne dolga perché quasi nemmeno ci se ne accorge. Un soffio ed è tutto passato.

Chi volesse vedere la mostra: Fondazione Mast, via Speranza 42, Bologna, aperto dalle 10 alle 19 tutti i giorni escluso il lunedì con ingresso gratuito.

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