CRITICA MOSTRE

Prima dell’estinzione

Fino al 22 settembre, al Mast di Bologna, la sconvolgente documentazione filmica e fotografica dei disastri causati dall'uomo sulla terra
Nairobi National Park, Kenya, Courtesy of Anthropocene Films Inc.

Anthropocene: il termine indica l’epoca geologica attuale, nella quale all’essere umano e alla sua attività sono attribuite le cause principali delle modifiche territoriali, strutturali e climatiche. Deriva dal greco anthropos, uomo, e, almeno inizialmente, non sostituiva il termine corrente usato per l’epoca geologica attuale – Olocene – ma serviva semplicemente a indicare l’impatto che l’Homo sapiens ha sull’equilibrio del pianeta. Tuttavia, più recentemente, le organizzazioni internazionali dei geologi stanno considerando l’adozione del termine per indicare, appunto, una nuova epoca geologica in base a precise considerazioni stratigrafiche.

In sostanza, si parla dei disastri che l’umo ha perpetuato, innalzando dighe inutili, scavando fiumi e montagne, massacrando foreste, occupando gli stessi terreni disboscati con piante inutili se non per l’industria, riempiendo i mari di isole di plastica, intossicando le metropoli con i gas di scarico. Aggiungendo anche le discariche, le miniere, le cave, le barriere coralline devastate.

Tutto questo è Anthropocene, la straordinaria mostra che ha aperto i battenti nei giorni scorsi al Mast di Bologna, in anteprima per l’Europa, per proseguire fino al 22 settembre. Nasce dalla lunga collaborazione tra il fotografo di fama mondiale Edward Burtynsky e i pluripremiati registi Jennifer Baichwal e Nicholas de Pencier che, combinando arte, cinema, realtà aumentata e ricerca scientifica, documentano i cambiamenti che l’uomo ha impresso sulla terra e testimoniano gli effetti delle attività umane sui processi naturali.

Il progetto si basa sulla ricerca del gruppo internazionale di scienziati, Anthropocene Working Group, impegnato nella raccolta delle prove che segnano il passaggio dall’Olocene, iniziato circa 11.700 anni fa, all’Antropocene, per dimostrare come gli esseri umani siano diventati la singola forza più determinante sul pianeta. L’estrazione mineraria, l’urbanizzazione, l’industrializzazione e l’agricoltura, la proliferazione delle dighe e la frequente deviazione dei corsi d’acqua, l’eccesso di CO2 e l’acidificazione degli oceani, la presenza pervasiva e globale della plastica, del cemento e di altri tecno-fossili, l’impennata dei tassi di deforestazione ed estinzione sono le incursioni umane su scala planetaria, così pesanti che i loro effetti sono destinati a perdurare e a influenzare il corso delle ere geologiche.

La documentazione dell’impatto dell’uomo sul pianeta passa attraverso le straordinarie immagini (tra cui giganteschi murales) di Edward Burtynsky, i filmati di Jennifer Baichwal e Nicholas de Pencier e le esperienze immersive di realtà aumentata. Si va dalle barriere frangiflutti edificate sul 60 per cento delle coste cinesi, alle ciclopiche macchine costruite in Germania, dalle psichedeliche miniere di potassio nei monti Urali in Russia, alla devastazione della Grande barriera corallina australiana, dalle surreali vasche di evaporazione del litio nel deserto di Atacama, alle cave di marmo di Carrara, fino a una delle più grandi discariche del mondo a Dandora, in Kenya.

Coal Mine-Nordreno-Vestfalia, Germania 2015. Foto: Edward Burtynsky,

In programma anche la proiezione dei film Trophy e Becoming Animal: il primo, diretto da Shaul Schwarz e Christina Clusiau esplora la mercificazione degli animali a rischio di estinzione, come elefanti, rinoceronti e leoni, e testimonia lo sforzo per invertire la tendenza e conservare queste specie. Becoming Animal, invece, nato dalla collaborazione tra i registi Emma Davie e Peter Mettler con lo scrittore e filosofo radicale David Abram, è una ricerca audiovisiva che fa luce sui luoghi in cui gli esseri umani e gli altri animali si incontrano.

La mostra utilizza diversi mezzi espressivi: 35 fotografie in grande formato di Edward Burtynsky, quattro murales ad alta risoluzione, 13 videoinstallazioni, tre installazioni di realtà aumentata, che ricreano un modello tridimensionale a grandezza naturale di impressionante verosimiglianza, consentendo ai visitatori di “toccare con mano” alcuni degli effetti devastanti causati dall’uomo sulla terra.

Quattro le sezioni in cui è divisa la mostra, che coinvolgono diverse aree del Mast. Nella prima, sono state installate 19 fotografie di Edward Burtynsky, che ritraggono barriere frangiflutti, processi di estrazione delle risorse naturali e bunkeraggio di petrolio nel delta del Niger, deforestazioni, grandi infrastrutture, miniere di litio, rame e carbone. Sette videoinstallazioni hd a cura di Jennifer Baichwal e Nicholas De Pencier, che mostrano tra le altre cose, la galleria del San Gottardo, in Svizzera, il tunnel più lungo del mondo, e il mega trasporto di carbone via treno nel Wyoming. I murales ad alta risoluzione illustrano con sconvolgente definizione e dettaglio, il disboscamento della foresta Cathedral Grove di Vancouver Island, il brulichio umano del Mushin Market di Lagos, in Nigeria, la più grande e sovrappopolata città dell’Africa.

Nella seconda sezione, 16 fotografie di Edward Burtynsky immortalano bacini di decantazione di fosforo, miniere di potassio, pozzi di acqua salmastra, impianti solari e eolici, raffinerie di petrolio, discariche e desertificazione. Tre videoinstallazioni hd di Jennifer Baichwal e Nicholas De Pencier mostrano una miniera di fosforo in Florida; una raffineria di petrolio texana; il muro di corallo incontaminato Pengan nel Komodo National Park, in Indonesia. Due murales ad alta risoluzione mostrano il processo di estrazione nelle cave di marmo di Carrara e la barriera corallina indonesiana.

Nella terza sezione, due installazioni di realtà aumentata fanno vedere, a grandezza naturale, la catasta delle zanne di elefante confiscate ai bracconieri, in Kenya e Sudan, e l’ultimo esemplare maschio di rinoceronte bianco, morto nel 2018, decretando l’estinzione della sottospecie. Due proiezioni su parete rappresentano il rogo delle cataste di zanne d’avorio confiscate ai bracconieri nel 2016 in Kenia e il lavoro della ciclopica macchina Bagger 291, utilizzata per rimuovere il suolo di copertura delle miniere di lignite in Germania. Un percorso didattico interattivo permette di sviluppare uno sguardo critico, dai tre anni in su, sui nostri comportamenti rispetto all’ambiente e di scoprire i piccoli gesti quotidiani per contribuire alla sua salvaguardia. Il Giardino di Mast, infine, ospita un’installazione in realtà aumentata, il leggendario Big Lonely Doug, il maestoso abete douglas canadese quasi millenario, salvato nel 2011 da una imponente deforestazione grazie a un boscaiolo che l’aveva contrassegnato con la scritta «non toccate questo albero».

Nella quarta e ultima sezione, è possibile vedere il film Anthropocene: The Human Epoch (Anthropocene: l’epoca umana), terzo capitolo della trilogia che include Manufactured Landscapes (2009) e Watermark (2013). Il film, che sarà distribuito in Italia dalla Fondazione Stensen e Valmyn, testimonia un momento critico nella storia geologica del pianeta, proponendo una provocatoria e indimenticabile esperienza dell’impatto e della portata della nostra specie. La voce narrante è del premio oscar Alicia Vikander.

La mostra si completa con Mast. Dialogues on Anthropocene, un programma di eventi culturali, letture, tavole rotonde.

QUI, il programma completo dell’evento