CRITICA MUSICA

E Battisti parlò a Mogol con l’arcobaleno

«Io son partito poi così d’improvviso, che non ho avuto il tempo di salutare». È una strofa de L’arcobaleno, canzone di Celentano, scritta da Mogol e musicata da Gianni Bella, comparsa nell’album Io non so parlar d’amore del 1999, pochi mesi dopo la morte di Lucio Battisti. A cui è dedicata o da cui è ispirata? Storia di medium, paranormale e musica sublime.

«Io son partito poi così d’improvviso, che non ho avuto il tempo di salutare». È una strofa de L’arcobaleno, canzone di Celentano, scritta da Mogol e musicata da Gianni Bella, comparsa nell’album Io non so parlar d’amore del 1999, pochi mesi dopo la morte di Lucio Battisti. A cui è dedicata o da cui è ispirata? Storia di medium, paranormale e musica sublime.

Ogni canzone ha una sua storia. Quella de L’arcobaleno, poi, stando al racconto che della sua genesi ne hanno fatto anche gli autori, è veramente particolare. Il brano, infatti, pubblicato nel 1999 ed incluso nell’album Io non so parlar d’amore di Adriano Celentano, fu interamente registrato in una sola notte, trascorsa proprio a casa di Adriano tra amici di una vita e forse anche oltre: Giulio Rapetti (in arte Mogol) che si era occupato del testo, e Gianni Bella che aveva invece scritto la musica.

Mancava solo lui, il quarto amico: Lucio Battisti, il cantautore di Rieti scomparso l’anno precedente, il 9 settembre 1998 per l’esattezza, su cui Mogol aveva scommesso sin da subito, da quando, nel 1965, gli fu presentato alla casa discografica Ricordi per la quale all’epoca lavorava. Da quel momento in poi, infatti, i due formarono un vero e proprio sodalizio artistico che li portò alla composizione di canzoni famosissime e di straordinario successo, considerate oggi la spina dorsale della musica italiana, la corteccia dalla quale, poi, si sono diramati altri stili, altre sonorità. Per citarne solo una: Emozioni. Tra i due si instaurò anche una profonda amicizia che naturalmente rese ancor più doloroso lo strappo della separazione quando Lucio se ne andò.

E torniamo a L’arcobaleno. Il titolo richiama quello che per molti è considerato il simbolo del ponte che fantasticamente unisce, anzi divide, le due dimensioni: quella di questo mondo e quella dell’“altro mondo”, così viene detto. Un brano malinconico e struggente, un addio che commuove, che con semplicità tocca le corde più profonde soprattutto di chi ha nel cuore il dolore di una perdita, recente o remota che sia. Una dedica, quindi, molto sentita, all’amico Lucio appunto.

Eppure, ascoltando il testo, c’è qualcosa che non torna. Già, perché il messaggio è si una dedica accorata e profonda, ma che arriva dall’altra parte dell’arcobaleno, da colui cioè che si è sentito strappato fulmineamente all’affetto dei suoi cari amici e che per questo se ne rammarica. «Io son partito poi così d’improvviso, che non ho avuto il tempo di salutare. Istante breve, ma ancora più breve, se c’è una luce che trafigge il tuo cuore».

Ma allora, chi l’ha dedicata a chi? Che l’abbia dedicata il defunto Lucio ai suoi amici? Impossibile! O forse possibile, e se lo fosse, ma come?

E qui entra in gioco l’aspetto particolare e forse un po’ leggendario della storia di questa canzone, raccontato dagli stessi autori in diverse apparizioni televisive, senza tuttavia mai dargli eccessivo peso.

Mogol

L’aspetto particolare è quello di una medium, o presunta tale, di origine italiana ma residente in Spagna, che si narra si rivolse a Mogol per portargli un messaggio da parte dell’amico Lucio. Ha raccontato in alcune interviste di aver ricevuto dallo stesso Lucio Battisti le indicazioni per raggiungere un libro di testo su uno specifico scaffale di una libreria della propria città, e che poi lui le avrebbe chiesto di aprire una determinata pagina nella quale si parlava dell’arcobaleno.

Il messaggio per Mogol sarebbe stato quindi quello di esortarlo a scrivere una canzone sull’arcobaleno, che avesse come testo alcune frasi di quella pagina, e considerarla una dedica speciale da parte propria. La prima reazione dell’autore sarebbe stata di scetticismo e diffidenza, a nulla servì l’insistenza della medium nel raccontare particolari precisi per provare a dimostrare la propria versione. Eppure, nel cuore di ciascuno di noi, non esistono mai chiusure definitive, uno spiraglio lo lasciamo sempre aperto, anche se non lo vogliamo, ed è in quella piccola breccia che vanno ad intrufolarsi le coincidenze, cioè accadimenti semplici, banali, quotidiani ma che ci spiazzano per il tempismo con il quale si manifestano, e per l’attinenza rispetto alla questione alla quale non intendevamo credere.

Le coincidenze, poi, se sono più d’una, alimentano un’escalation vera e propria verso uno stato di smarrimento nel quale un po’ di raziocinio lo si perde, e l’animo diventa un terreno fertile su cui iniziano a nascere nuove prospettive, nuovi modi di concepire le cose. Le certezze s’indeboliscono ed una speranza del tutto nuova si fa strada: quella che tutto è possibile, persino che un amico che non c’è più, stia cercando di comunicare con noi per mandarci un messaggio d’amore: «L’arcobaleno è il mio messaggio d’amore, può darsi un giorno ti riesca a toccare»; oppure per parlarci della sua nuova condizione e dimensione: «son diventato sai il tramonto di sera e parlo come le foglie d’aprile».

Nel caso di Mogol le coincidenze riguardavano appunto l’arcobaleno. Per qualche tempo tutto sembrava ricondurlo inesorabilmente a quello che cercava di dirgli la medium. L’apparizione di un arcobaleno in un momento particolare, un articolo su un noto mensile in cui il giornalista dichiarava di aver sognato Lucio Battisti nella stessa notte in cui aveva partecipato ad un concerto in sua memoria e che gli aveva parlato proprio di arcobaleni. Ma anche il fatto che Gianni Bella, dopo che lui si fu convinto a buttare giù il testo della canzone, avesse dato in pochissimo tempo vita ad una melodia che sembrava quasi miracolosamente appropriata. Tutto questo, insomma, potrebbe aver indotto Mogol a credere che la medium avesse ragione.

A lavoro finito il brano risultò così emotivamente devastante, se pure caratterizzato da una delicatezza quasi angelica, che lo stesso Adriano Celentano non riuscì a trattenere l’emozione sulle note finali durante la registrazione, e quell’emozione, con un po’ più di attenzione durante l’ascolto, la si percepisce tutta.

Vera o falsa che sia la storia, ci sia stato o meno il messaggio sublime, Mogol, Gianni Bella e Celentano hanno materializzato in maniera altrettanto sublime quella che è considerata una delle più belle, profonde, coinvolgenti e raffinate canzoni di tutto il panorama italiano che contribuì in maniera importante al successo di tutto l’album.

Ascoltarla è una coccola per l’anima, struggente ma al tempo stesso consolatoria, rassicurante, accogliente. Difficile credere senz’altro a questa storia, ma data la capacità della sua melodia, di infondere sensazioni che sembrano andare oltre il godimento materiale di una musica qualsiasi, diventa piuttosto difficile anche non crederci.

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