Anche chi non è mai stato a Genova e nel territorio della sua ormai ex millenaria Repubblica (oggi chiamata amministrativamente Liguria) sa che cosa sentono dire ogni cinque minuti dai genovesi: “Belìn” (anche se la grafia corretta è bellin, con lapronuncia be’lin). L’espressione è il nome dell’organo sessuale maschile ma non solo, anzi… Di certo, è uno dei tanti intercalari usati nel nostro Paese, a seconda dell’area geografica: oltre a belìn, ecco socmèl, che è bolognese, pota di origine bergamasca o bresciana, diofà e bon piemontese, ahò, che è romano, ciò, usato nel Veneto, dé, con radici a Livorno oppure a Pisa, minchia utilizzato in Sicilia e via elencando.
Come ci spiega Treccani nell’Enciclopedia dell’italiano, gli intercalari sono «quelle sequenze (di varia natura, costituite come sono da parole o espressioni) che il parlante inserisce qua e là nel discorso, come personali forme di routine e, in modo per lo più irriflesso, per punteggiare espressivamente il discorso stesso». Si legge inoltre che «non hanno una specifica funzione nella strutturazione del testo né trasmettono precisi contenuti semantici: proprio per questo, possono ricorrere più volte in una stessa enunciazione come veri e propri tic». Tuttavia, nel modo di esprimersi dei genovesi/liguri la parola belìnforse sfugge alla seconda parte delle definizione della Treccani. Infatti è usata con talmente tante sfumature e sonorità da riuscire a rappresentare varie situazioni, stati d’animo e punti di vista; inoltre ha generato una serie di varianti e aggettivi buoni per occasioni diverse.
Ora però cerchiamo di capire quale sia l’etimologia questo termine. Secondo le ipotesi più pittoresche, deriva dai nomi di due divinità “falliche”: Baal o Belo, di origine semitica, o Belenos, caro ai Celti. Chi è appassionato di fumetti probabilmente ricorda che negli album dedicati ad Asterix e Obelix (sono Galli, quindi Celti, entrati in contatto con gli antichi Liguri) compare spesso l’esclamazione “Per Belenos!”. Per altri, invece il termine belìnè legato, più prosaicamente, a “budello” o “budellino”: è la parte dell’intestino crasso di alcuni animali usata per gli insaccati.
In realtà, sembra avere ragione il linguista genovese Fiorenzo Toso, autore del Piccolo dizionario etimologico ligure (Zona, 2015 Lavagna – Ge). Secondo lui, il termine si è radicato a Genova e dintorni in un’epoca relativamente recente: infatti, nonostante la sua attuale diffusione, è attestato soltanto a partire dal 1894 (mentre la variante savonese abbellinou– cioè, “minchione, ingenuo, credulone” – compare 52 anni prima). Il professor Toso sostiene che la parola sia arrivata dall’Italia settentrionale padana, dove tra XV-XVI secolo l’espressione belin appare nel dialetto astigiano. Inoltre trova corrispondenza in parole simili diffuse nei territori di Cremona, Brescia, Mantova, Reggio Emilia e Modena: tutte derivate di “bello”, col significato di “giocattolo”, però usate anche per alludere all’apparato genitale dei maschi.
Qualunque sia l’origine, usando la parola belìncon tonalità diverse, e/o in posizioni differenti all’interno della frase, si possono esprimere moltissime sensazioni, dalla rabbia allo stupore, dalla rassegnazione all’entusiasmo. Di certo, è un’espressione indispensabile nell’arte del mugugno genovese. Innumerevoli le varie sfumature e variazioni, più o meno “italianizzate”. Ad esempio: abelinàto significa “persona poco intelligente”; per belinare (e abelinare) s’intende l’atto di confondere una persona (generalmente a forza di chiacchiere) oppure di truffarla; la belinàta è un’azione estremamente facile da attuare oppure è un atteggiamento goffamente sbagliato o una bugia; belìno indica in modo esplicito il pene; il belinone è una persona tonta, bonaria e facilmente raggirabile; portâ via o belìn significa “levati di torno”. L’elenco potrebbe essere lunghissimo. Però vale una raccomandazione: non improvvisate l’uso di belìne derivati se non siete liguri; senza la cadenza genovese rischiereste di fare… una belinata.