Noi italiani diciamo questa parola varie volte al giorno. E la usiamo in esclusiva, nel senso che è quasi intraducibile in altre lingue. Sappiamo in base a quale sensazione la pronunciamo, però ignoriamo (sono insicuri persino glottologi e linguisti) il motivo per cui ricorriamo proprio a quell’espressione. Nel senso che, se qualcuno ci dovesse chiedere da dove deriva il termine, non potremmo fare altro che rispondere usandolo sommessamente: «Boh…». Magari accompagnandolo con un’alzata di spalle e con le mani aperte davanti al nostro petto.
Con certezza della parola boh – sinonimo italico di incertezza o indifferenza o reticenza o dubbio, a seconda del contesti in cui viene usata – possiamo dire che è un’interiezione (dal latino interiecto,-onis, cioè “inserzione” e “intercalazione”, a sua volta dal verbo intericere “scagliare in mezzo”, per indicare che tali espressioni si collocano nel mezzo di un discorso senza legami col resto della frase); è dunque una di quelle parole invariabili (con particolari oscillazioni fonetiche e grafiche che consentono varie sfumature) capaci di esprimere una reazione improvvisa dell’animo (tipo “toh!”, “ehi!”, magari!, “beh?”). Come altre interiezioni, anche boh ci consente di esprime con grande sintesi il nostro stato d’animo, in modo particolarmente efficace nella lingua parlata, durante svariate situazioni. Per iscritto boh si usa soprattutto nei testi (letterari, cinematografici o teatrali) che vogliono apparire aderenti al linguaggio colloquiale.
Resta il fatto che la parola boh è ancora più ostica di altre interiezioni sul fronte dell’etimologia. Secondo Tullio De Mauro (nel Grande dizionario italiano dell’uso, Utet, 2000), sarebbe soltanto un’espressione onomatopeica, cioè la trascrizione di un probabile suono che si produce quando si esprime incertezza. In altre lingue non esiste, tanto meno esiste la gestualità che noi italiani esibiamo quando lo usiamo. Qualcosa di simile in inglese appare la parola “dunno”, che però ha un senso etimologico: è la contrazione rilassata di “I don’t know”. Il “bof” francese sembra somigliante come significato, ma in realtà esprime soprattutto indifferenza. In giapponese “saa” equivale a “chi lo sa” ma anche a “forza su!” e “coraggio!”.
Insomma, godiamoci il nostro misterioso ma efficace boh tricolore, tanto più di questi tempi. Infatti l’espressione “generazione boh” è stata accolta dal dizionario della Treccani nel 2016: è quella dei giovani nati tra la fine del XX e l’inizio del XXI secolo, i cosiddetti millennials, «caratterizzata da un senso di incertezza, spaesamento e precarietà per le incerte condizioni economiche e sociali, ma anche dalla consapevolezza di saper utilizzare le risorse delle nuove tecnologie elettroniche e della comunicazione in internet». Non a caso, il primo a usare l’espressione (nella versione “generazione boh”) è stato il rapper italiano Fedez nell’album Pop-Hoolista (2014). Il ritornello? «Generazione televoto coi cervelli sottovuoto / Sempre più risucchiati dal televuoto / Generazione beat? / Generazione pop? / No! Rigenerazione / Generazione boh». Avrà ragione il nostro rapper? Boh…