DAILY LA PAROLA

Brama
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«Specchio, specchio delle mie brame,

chi è la più bella del reame?»

 

Chi non ricorda questa filastrocca? È stata scritta due secoli fa ma ancor oggi risuona come una eco lontana agli orecchi delle generazioni che si sono succedute. Ormai nell’animo popolare è diventata messaggio, corpo di saggezza, monito morale.

Lo specchio delle mie brame è un’immagine efficace di quel significato che la brama contiene e suggerisce fin dall’antichità.

La parola deriva dal germanico bramon, ruggire, urlare dal desiderio e la sua etimologia esalta il bramito che il cervo affida alla volta del cielo per manifestare il desiderio che brucia.

Il significato con il quale ancor oggi essa viene usata definisce quello stato dell’essere in cui ogni attimo vitale comporta una domanda ansiosa rivolta imperiosamente verso l’ottenimento di qualcosa che non si riesce mai a afferrare come si vorrebbe: cibo, potere, onori, ricchezze, sapere… È una parola splendida; esprime una tensione quasi dolorosa che strazia l’animo della persona, torcendone il respiro e quasi travolgendola in una spirale senza fine ma, in fondo, è anche una parola semplice, quasi onomatopeica, corposa e umida come il cibo sognato o il potere agognato.

Brama è la sorgente perenne che genera conflitti, scardina rapporti e relazioni, alimenta ogni sorta di fantasia di potenza come la sete di potere o ricchezze smodate oppure alimenta necessariamente quella frustrazione che è sempre sottesa quando illusioni e realtà non s’incontrano mai.

«Del tuo regno, Regina, la più bella sei tu»

Ecco che in quel momento la brama finalmente si placa, ma è come l’olio buttato sulla onde in tempesta, è una calma apparente, momentanea perché il dubbio s’insinua di nuovo e la brama ritorna imperiosa e implacabile a ripetere ancora all’infinito la domanda, dall’esito sempre incerto.

È una parola cangiante, si adatta a ogni forma di desiderio, basta che esso sia forte, impellente, frenetico, smodato, assolutamente incontenibile.

Può prendere la forma dell’appetitus che tormenta chi soffre di bulimia o può divenire tormento che toglie ogni respiro perché la bramosia genera ansia e l’ansia lo accorcia senza pietà. Oppure può schiacciare l’essere nella sua dimensione più istintiva, dove la libidine e la lussuria s’impadroniscono del corpo e della mente racchiudendo la vita nell’impossibilità di appagare la frenesia sessuale. L’ebbrezza voluttuosa di Don Giovanni fino allo schianto della tragica finale catastrofe è la rappresentazione che ha alimentato la storia della musica e della commedia umana.

È sempre la brama che, tesa al soddisfacimento della sua smania, cerca di sottrarsi alla sofferenza che si autogenera e tenta di trovare la soluzione concreta nell’idea magica dell’onnipotenza, nel suggerire una tensione verso l’immortalità, nell’appropriarsi del mana degli dei, ma presto si rivela una grande illusione che cade miseramente e rimane soltanto livore, rabbia e impotenza:

«A sentire queste parole la regina si spaventò e divenne gialla e verde dall’invidia, e da quel momento, ogni volta che incontrava Biancaneve, il suo cuore s’infiammava di rabbia, tanto fu l’odio che provò da quel giorno. Orgoglio e invidia crebbero sempre di più, come una gramigna nel cuore finché non trovò più pace, né di giorno né di notte».