DAILY LA PAROLA

Deep web

Il web in cui si naviga ogni giorno rappresenta, in realtà, solo una minima parte dei contenuti reali della rete, si dice il 4 per cento. Di solito, per spiegarlo, si utilizza la metafora dell’iceberg, dove ciò che emerge dall’acqua – il web accessibile, tutte le pagine indicizzate dai motori di ricerca – non è nulla  a paragone di ciò che sta al di sotto. Già nel 2000, l’organizzazione statunitense Bright Planet aveva stimato un insieme costituito da  oltre 550 miliardi di documenti, di cui Google ne indicizzava solo due. Il resto è deep web, web sommerso: nuovi siti non ancora registrati, pagine a contenuto dinamico o non ancora collegate, software e siti privati aziendali.

Il deep web comprende anche file multimediali, archivi Usenet, documenti scritti in linguaggio non HTML, in particolare non connessi a tag testuali. In breve, si tratta di risorse non facilmente disponibili, spesso per esplicita scelta di chi le pubblica online, ma accessibili  conoscendone l’indirizzo; oppure pagine e documenti in vario formato, raggiungibili attraverso l’accesso ad un’area riservata (si pensi ad aziende ed Enti pubblici). Si stima che il deep web sia tra le cinquecento e le cinquemila volte più ampio del web di superficie.

Deep web, però, non va assolutamente confuso con dark web, la rete oscura, che ne costituisce una parte cospicua, spesso pericolosa. Se accedere al deep web è possibile, le risorse messe a disposizione sul dark web non sono invece accessibili con i browser più noti, almeno nella loro configurazione consueta. La profondità dark è solitamente irraggiungibile attraverso una normale connessione, perché si trova su reti diverse e sovrapposte ad Internet, chiamate darknet (le più comuni sono Tor, I2P e Freenet). L’accesso avviene attraverso software particolari che fanno da ponte: il più famoso è proprio Tor che, oltre a permettere il collegamento con la rete omonima, garantisce anche l’anonimato all’utente, consentendogli di navigare “non visto” anche sul normale WWW. Se si pensa che Tor è l’acronimo di The Onion Routeronion in inglese vuol dire “cipolla”, diventa più chiaro il sistema che consente di navigare nel web più profondo: bisogna utilizzare un meccanismo a strati, appunto “a cipolla”, sulla base del quale i dati in transito vengono crittografati su più livelli. Il circuito virtuale che si crea prevede, dunque, il passaggio delle informazioni da utente a server e viceversa, attraverso una serie di sistemi intermedi. Il server web di destinazione, inoltre, non è in grado di registrare l’indirizzo IP (Internet Protocol) reale dell’utente, ma potrà al massimo rilevare quello dell’ultimo “nodo” di rete Tor. La chiamano Onionland, la “Terra della cipolla”, e pare nascondere insidie notevoli: forum in cui si muovono con sicurezza hackers, trafficanti di armi e di droga, jihadisti e pornografi. È il mercato nero del mondo. Oltre, in gergo, esiste solo il Marianas web, sconfinato, fonte di continue leggende metropolitane (e la derivazione, palese, dalla Fossa delle Marianne dice tutto).

Tuttavia, è meglio non dimenticare che lo stesso Tor è stato creato, nel 2002, soprattutto per permettere la navigazione nei Paesi dove Internet è soggetto a censura. Anche Edward Snowden e gli attivisti delle Primavere arabe hanno usato modalità di trasmissione darknet per diffondere notizie più liberamente. Altrettanto vera è anche la presenza in dark web, ad esempio, del famigerato sito Silk Road, dove si vendono droga, armi e documenti falsi (che poi giungono tranquillamente a casa in un pacco anonimo, con modalità prioritaria). Moneta di scambio, la digitale Bitcoin (garantita da controlli che ne attestano l’attendibilità, un po’ come in eBay). Nei tempi d’oro (prima che il sito originale venisse chiuso nel 2013), Silk Road era l’e-commerce più fornito di tutto il web profondo. L’FBI ha calcolato che la sua attività – tra febbraio 2011 e luglio 2013 – abbia generato transazioni finanziarie per circa 1,2 miliardi di dollari, oltre a favorire omicidi su commissione e altri crimini.

Eppure anche oggi, risorto dalle proprie ceneri come ReloadedSilk Road 2, il sito è più vivo ed utilizzato che mai, per grandi ordini e piccole truffe: è qui che, di recente, sono stati venduti biglietti falsi dell’ATAC e dell’ATM a un terzo del prezzo stabilito dalle due Aziende municipalizzate di trasporti; è sempre qui che si possono trovare ectasy, libri introvabili, persino una carta prepagata da cento sterline che permette di cambiare con facilità bitcoin in soldi reali e che può essere usata in pub, ristoranti e musei della Gran Bretagna. Nel bene e nel male, con la maschera – un po’ il simbolo degli attivisti del dark web – che David Lloyd ha inventato per il film V for Vendetta e che gli hackers di Anonymous, impegnati nella difesa della libertà d’espressione online, hanno indossato. Loro sì, credendoci.