ATTUALITÀ IL PERSONAGGIO

Faccia da ciclista

Con Felice Gimondi se ne è andato un grandissimo del ciclismo, che ha scritto pagine memorabili durante la sua carriera. Schivo, mai sopra le righe, l'anti-campione ha vinto praticamente tutto, senza clamore, senza lustrini, con la fatica e la forza delle sue gambe
Foto: Tuttosport

Cosa significa il termine “faccia da ciclista”…? La risposta è nella smorfia sofferente di Felice Gimondi nel momento del massimo sforzo per superare un tornante o per chiudere vittoriosamente una volata (magari davanti a Eddy Merckx) o ancora quando, a colpi di pedale, macinava l’asfalto delle gare a cronometro. Con la morte del ciclista bergamasco (era nato a Sedrina il 29 settembre del 1942), stroncato da un malore improvviso lo scorso 16 agosto ai Giardini-Naxos,  il ciclismo e tutto il mondo dello sport ha perso un campione, uno sportivo e un uomo indimenticabile.

È vero e indiscutibile che prima di lui Fausto Coppi e Gino Bartali sono entrati di diritto nel cuore degli appassionati di questa difficile ma affascinante disciplina sportiva. È vero che il “Cannibale” Eddy Merckx è stato con molta probabilità il più grande di tutti i tempi, ma è anche vero che Felice Gimondi con la sua “faccia da ciclista” ha scritto pagine memorabili durante la sua carriera, vincendo praticamente tutto. E vinceva anche sulla spiaggia, d’estate, a fine anni Sessanta quando la sua immagine nelle biglie colorate di plastica appariva in effige con la maglia targata Salvarani. C’erano anche Gianni Motta, ovviamente l’immancabile Merckx, Italo Zilioli, Vittorio Adorni, Franco Balmanion, Jaques Anquetil, ma la biglia più ambita era quella con Gimondi, quella che faceva vincere le accanite gare sulla sabbia in riva al mare.

Il mito esplose nel 1965 quando, a soli ventidue anni, Gimondi vinse a sorpresa il Tour de France compiendo un autentico capolavoro. Non doveva nemmeno partecipare alla corsa, ma venne chiamato all’ultimo momento a sostituire Battista Babini, uno dei principali gregari di Vittorio Adorni, capitano della Salvarani reduce dal successo al Giro d’Italia. Bene, il giovane bergamasco dimostrò subito le sue intenzioni vincendo la terza tappa a Rouen e conquistando la maglia gialla di leader del Tour. Dopo una lotta estenuante, prima con il belga Van De Kerckhove poi con Raymond Poulidor, francese e favorito per il successo finale, riuscì ad aggiudicarsi le due ultime prove a cronometro, in salita al Mont Revard e l’ultima con arrivo trionfale a Parigi che gli consentì di vincere il Tour con un vantaggio di 2’40” su Poulidor e 9’18” sull’altro italiano, Gianni Motta.

Dopo quel successo le vittorie per Gimondi arrivarono a ripetizione. Tre Giri d’Italia (1967, 1969, 1976), la Vuelta spagnola (1968), il campionato del mondo su strada (1973) e poi ancora la Parigi-Roubaix, la Milano-Sanremo, il Giro di Lombardia e un numero infinito di Criterium. Il ciclismo non ha l’audience del calcio dove tutto o quasi fa spettacolo, ma ha i “personaggi”, così come il pugilato o l’atletica leggera e non a caso spesso vengono loro dedicati libri, film e canzoni. Ultima ma non per importanza proprio la splendida Gimondi e il Cannibale, scritta e interpretata dal cantautore lombardo Enrico Ruggeri, tra l’altro presente al funerale del campione. Forse sono dettagli, piccole sfumature ma che rendono l’idea della statura dei veri campioni, quelli con la “C” maiuscola. Felice Gimondi con la sua “faccia da ciclista”, vinceva senza clamore, vinceva con la forza e la fatica, con il coraggio, le gambe e il cuore. E non è un caso se l’ultimo Giro d’Italia lo h vinto a trentaquattro anni.

Quelli nati nella mia generazione tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio degli anni Sessanta sono tutti “felici” di averlo visto stretto nella sua maglia Salvarani prima e Bianchi dopo, vincere, perdere, soffrire sui pedali, ma sempre con la dignità del grande uomo.

Ora vado a vedere se nel cassetto dei ricordi ritrovo la vecchia biglia colorata con la sua faccia e magari la tiro verso un’altra vittoria, in volata su Eddy Merckx…