LA CASA EDITRICE

Quando Gramsci riprese “l’Unità”

Consapevolmente, ma forse a torto, nella selezione dei testi pubblicati nel volume Il giornalismo, il giornalista che raccoglie gli scritti, molti articoli e numerose lettere di Antonio Gramsci relativi appunto alla sua “sottovalutata” attività in questo campo, non è stata inserita quella corrispondenza, su cui giustamente si sofferma nell’introduzione Luciano Canfora, che il fondatore de “l’Unità” ebbe nel settembre del 1926 con Alfonso Leonetti, figura di spicco del Partito comunista italiano, all’epoca probabilmente redattore capo del giornale.

Poiché TESSERE, oltre ad essere una casa editrice, è anche una rivista culturale, a quella mancanza rimediamo qui, in rete, fornendo a quanti hanno acquistato il libro, o comunque a quanti siano interessati all’argomento, la possibilità di leggere i materiali di quella corrispondenza che testimonia lo scrupolo “giornalistico” di Gramsci, la sua indisposizione verso superficialità e sciatteria, e la sua attenzione alla fattura del prodotto “dall’interno” della redazione, dalla posizione di uno che a quella vita partecipa attivamente e con passione.

La vicenda è stata ricostruita da Tommaso Detti sulla rivista “Studi Storici” (Gramsci e la politica estera dal fascismo. Una polemica del 1926 con “l’Unità”, a. XVI, n. 1, gennaio 1975, pp. 155-181), attingendo a documenti in parte conservati presso l’archivio del pci oltre ad una lettera che si trova all’Archivio centrale dello Stato di Roma.

La “polemica” parte dopo la pubblicazione su “l’Unità” del 17 settembre 1926 di un editoriale di Gramsci contro “Il Mondo” intitolato I contadini e la dittatura del proletariato, articolo trasmesso telefonicamente da Roma a Milano e comparso in forma estremamente scorretta, con molti errori.

Alfonso Leonetti fu direttore de “l’Unità” dal 6 settembre 1924 al 16 gennaio 1925 – cinque mesi soltanto – a cavallo fra la direzione di Ottavio Pastore (12 febbraio – 6 settembre 1924) e quella di Mario Malatesta in carica fino al 26 luglio 1925. Rimase tuttavia nel gruppo dirigente che garantiva l’uscita del giornale anche dopo quell’incarico, quando Gramsci fu prevalentemente preso dagli impegni politici in Parlamento e nelle relazioni internazionali, senza tuttavia mai rinunciare alla sua presenza in redazione.

Ne è testimonianza il fatto che Gramsci replichi alla pubblicazione di quell’articolo pieno di refusi e parti incomprensibili, con un “ordine di servizio”, un documento che nelle redazioni è solitamente scritto ed inviato da un superiore di grado a chi nella scala gerarchica interna ricopre un ruolo inferiore.

Siamo appunto nel settembre 1926, sotto la direzione del giornale da parte di Girolamo Li Causi (29 maggio – 31 ottobre 1926) e proprio poco prima della chiusura forzata da parte del fascismo.

  1. L’articolo su “l’Unità”

 

La prima pagine de “l’Unità” del 17 settembre 1926

La lotta dei “democratici” contro l’U.R.S.S.

I contadini e la dittatura del proletariato

Abbiamo dunque un nuovo articolo del Mondo intitolato «Secondo i sistemi cari al vecchio calvinismo e al nuovo calvinismo si cerca il comunismo». Naturalmente il comunismo e dal Mondo ricercato nella Russia operaia e contadina. Se volessimo imitare il sistema dialettico caro al Mondo, potremmo scrivere tutta una serie di articoli intitolata: «Si cerca la democrazia» e dimostrare che la democrazia non è mai esistita. E infatti, se la democrazia significasse, come non può significare, Governo delle masse popolari, esprimentesi attraverso il Parlamento eletto a suffragio universale, in quale paese è mai esistito un Governo che risponde a tali prerogative? Nella stessa Inghilterra, patria e culla del regime parlamentare e della democrazia al Governo, accanto al Parlamento esiste la Camera dei Lords ed esiste la monarchia. I poteri della democrazia sono in realtà nulli. Essa non esiste. Prima della guerra cioè quando socialdemocratici e tutti gli «amici del popolo» non potevano ancora accurare il bolscevismo di aver provocato la borghesia, d’averla indotta, poverina!, ad uscire dalla legalità e a ricorrere a mezzi dittatoriali è stato possibile a lord Curzon, armare e mobilitare un esercito contro la legge parlamentare e contro la libertà irlandese.

E in Francia esiste forse la democrazia? Accanto al Parlamento esiste in Francia il Senato eletto non a suffragio universale, ma per elezione di due gradi di elettori che a loro volta solo parzialmente sono espressione del suffragio universale, ed esiste l’istituzione del presidente della repubblica. La diversa durata dei poteri dei tre istituti fondamentali della Repubblica francese dovrebbe servire, secondo le dichiarazioni ufficiose, a temperare i possibili eccessi del parlamento eletto a suffragio universale: in realtà è l’organizzazione attraverso la quale la classe dominante si prepara ad organizzare la guerra civile nelle migliori condizioni di agitazione e propaganda.

In Germania non esiste accanto al parlamento alcuna istituzione di carattere aristocratico od oligarchico: tuttavia, abbiamo potuto recentemente vedere quale ufficio formidabile di freno esercita sulla così detta volontà nazionale il fatto che il presidente della Repubblica abbia una base elettorale diversa nel tempo da quella che forma l’assemblea nazionale. I voti ottenuti dal referendum per l’espropriazione senza indennità degli ex principi, sono stati superiori a quelli ottenuti dal maresciallo Hindenburg, per la sua nomina a presidente della Repubblica. Tuttavia Hindenburg, dopo avere nel periodo del referendum, fatto la minaccia di una grave crisi politica ha, dopo il risultato del referendum, continuato a fare pressioni perché la volontà della massa popolare fosse resa nulla.

Certo noi non ci proponiamo di convincere gli scrittori del Mondo.

Li conosciamo, come ne conosciamo i diversi padroni, dai fratelli Perrone a Max Bondi, al conte Materazzo, al comm. Pecoraino e alla Banca Commerciale, per incarico dei quali essi scrivono gli articoli più contraddittori, ma sempre rivolti ad ingannare le masse lavoratrici. E’ solo per questa massa che noi scriviamo e chiediamo: «E’ giusto domandare al nuovo regime operaio sorto in Russia nel 1917 durante la guerra mondiale, dopo il grande disastro economico-sociale più grande che la storia abbia conosciuto, il 100 per 100 di applicazione del programma massimo del Partito che in Russia è al potere, quando si rappresenta e si sostiene un regime che in qualche secolo di esistenza non è riuscito a realizzare nessuna delle sue premesse programmatiche ed è fallito vergognosamente, capitolando innanzi alle correnti più reazionarie per confondersi subito con esse?»

Il nostro giornale deve pubblicare tutta una serie di documenti che risponderanno esaurientemente alle questioni poste dagli scrittori del Mondo, questioni che sono essenziali per il movimento operaio internazionale, anche se il Mondo le pone nel modo più barocco e inintelligente che si possa immaginare. Una confessione che è implicita in tutta una serie di articoli e della prosa del Mondo deve subito essere affrontata: che cosa infatti si propone il Mondo cercando di dimostrare che in Russia non esiste neanche un elemento di vita sociale, e sistematicamente tacendo il carattere operaio delle istituzioni russe dello Stato fino alle cooperative, alla banca, alla direzione delle fabbriche? Il Mondo si propone solamente di mantenere nelle larghe masse popolari la illusione che sia possibile, senza una rivoluzione essenza la conquista integrale del potere dello Stato alla classe operaia E ai contadini, perlomeno di ottenere ciò che oggi esiste in Russia. Tutte le argomentazioni del Mondo, da quella che riguarda il giudizio storico da dare al fascismo italiano, fino a questa, in verità ben misera, critica di principio della struttura economica e sociale russa, tendono a questo unico fine. Per noi comunisti il regime fascista è la espressione del periodo più avanzato dello sviluppo la società capitalista; esso appunto serve a dimostrare come tutte le conquiste e tutte le istituzioni che le classi lavoratrici riescono a realizzare nel periodo di sviluppo relativamente pacifico del regime capitalistico, sono destinate all’annientamento se in un momento determinato la classe operaia non si impadronisce del potere dello Stato con mezzi rivoluzionari. Si capisce allora che gli scrittori del Mondo abbiano interesse a sostenere essere il fascismo un regime pre-democratico, essere il fascismo legato ad una fase incipiente ed ancora arretrato del capitalismo.

Si capisce allora come gli scrittori del Mondo presentando al pubblico del loro giornale, pubblico purtroppo costituito in buona maggioranza di operai e di contadini, un modello di società russa, in cui gli elementi borghesi e piccolo-borghesi stanno permeando la struttura dello Stato, per esserne infallibilmente i trionfatori e restaurare la vecchia libertà, vogliono rappresentare solo in una forma rimodernata il vecchio schema utopistico della democrazie e del riformismo, secondo gli elementi socialisti come le cooperative, i consigli comunali, ecc. ecc. che esistono in regime capitalistico e possono permeare la struttura di questo regime fino a modificarlo completamente portando al trionfo incruento del socialismo. Ma appunto il fascismo ha distrutto implacabilmente questi schemi, distruggendo tutti gli elementi socialisti in quanto legati alla classe operaia, che nel periodo di sviluppo della classe capitalistica erano andati formandosi. Esistono oggi in Russia elementi socialisti che sono preponderanti; ed elementi di economia piccolo-borghese che teoricamente possono svilupparsi così, come teoricamente potevano svilupparsi gli elementi socialisti che esistevano in Italia prima del fascismo. Ma in Italia, il proletariato, non ha conquistato il potere di Stato; la vecchia organizzazione capitalistica pose termine in un certo momento alle concessioni che aveva fatte alle Cooperative, ai Sindacati, ai Consigli comunali socialisti, cioè alla classe operaia. In Russia la classe operaia al potere, la classe operaia che controlla e dirige le parti essenziali dell’economia nazionale, le leve di comando di tutta la struttura economica della società russa, ha fatto e fa delle concessioni non alla vecchia società dei capitalisti e dei latifondisti, che è stata rovesciata con le armi in pugno ed è privata di ogni proprietà e di ogni diritto politico, ma fa delle concessioni alle masse contadine dalle quali teoricamente potrebbe nascere il nuovo capitalismo.

C’è però una piccola questione che i signori del Mondo pare vogliano trascurare, e cioè questa: che il capitalismo sorgendo e sviluppandosi crea proletari in numero enormemente superiore a quello rappresentato dai capitalisti stessi. Pertanto la questione che agli scrittori del Mondo sembra trascurabile, e cioè quella di sapere quale classe ha il potere statale nelle mani, diventa questione essenziale. La classe operaia che in Russia ha lo Stato nelle mani, ha interesse oggi, se vuol costituire un mercato interno capace di assorbire la produzione industriale, di promuovere e favorire lo sviluppo dell’agricoltura. Siccome l’agricoltura in Russia è ancora arretrata e la conduzione agricola non può non essere individuale, lo sviluppo economico delle classi agricole russe porta necessariamente ad un certo arricchimento di uno strato superiore della campagna. Ogni operaio capisce che, se si fa una politica per ottenere che cento contadini da 1000 lire di reddito annuo passino ad un reddito di 2000 lire, diventano capaci di comperare dalla industria socializzata più oggetti di quanto potessero comperare con le 1000 lire primitive; non si può impedire che su questi cento contadini alcuni non solo passino dalle 1000 alle 2000 lire, ma possano, per determinate congiunture estremamente favorevoli, giungere alle 5 e 6 mila lire: mentre all’altro polo cinque o sei contadini non solo non riescano a passare da 1000 a 2000 lire di reddito, ma per congiunture estremamente sfavorevole (morte di bestiame, uragani, ecc.), vedano ridurre a zero il loro reddito di 1000 lire.

Ciò che è essenziale per la politica della classe operaia in Russia è che la massa centrale dei contadini, attraverso dei provvedimenti legislativi, realizzi i risultati che lo Stato operaio si propone, cioè diventi la base per la formazione di un risparmio nazionale che serva ad alimentare l’apparato generale di produzione in mano della classe operaia permettendo a questo apparato non solo di mantenersi ma di svilupparsi. Esiste questo 4 o 5 per cento, tuttavia, che si sviluppa oltre i limiti previsti dalla legislazione dello Stato operaio; in un paese come la Russia, ove le masse contadine rappresentano una popolazione di 100 milioni di abitanti, questo 4 o 5 per cento assume anche socialmente una forza, che può apparire imponente, di 4 o 5 milioni di abitanti. Ma se la classe operaia che in Russia oggi assomma come popolazione almeno 20 milioni di abitanti, si mantiene legata alla grande massa dei contadini che assomma a decine e decine di milioni, la cifra rappresentata dai nemici del socialismo viene ridotta alle sue giuste proporzioni nel quadro d’insiede, ed è assicurato il trionfo relativamente pacifico delle forze socialiste sulle forze capitalistiche. Diciamo relativamente pacifico, in quanto esistono infatti in Russia le prigioni in mano agli operai, i Tribunali in mano agli operai, la polizia in mano agli operai, l’esercito in mano agli operai…, cioè in Russia esiste la dittatura del proletariato, elemento socialista che noi abbiamo il torto di giudicare un tantino più importante di quanto non lo giudichino gli amici dei fratelli Perrone, di Max Bondi, del conte Materazzo e del comm. Pecoraino!

 

  1. La nota di servizio di Gramsci per Leonetti[1]

Nota di servizio per Leonetti. La forma in cui è stato pubblicato l’articolo di fondo di venerdì è indecente, indegna. L’articolo di fondo del nostro giornale deve essere non solo per i lettori, ma anche per la redazione una cosa seria, molto seria. Perciò non è sprecare tempo e fatica se un redattore consapevole viene incaricato permanentemente di curare affinché gli editoriali in genere appaiano corretti, precisi, letterariamente, grammaticalmente a posto. Che nel caso in questione si tratti di poco scrupolo professionale inscindibile da irresponsabilità politica, risulta inconfutabile dal titolo incomprensibile e cretino attribuito all’articolo del Mondo[2]. L’articolo del Mondo che l’articolo ha citato era infatti a disposizione dei redattori e un controllo era possibile. È inconcepibile come i redattori dell’Unità siano propensi a ritenere ovvio che i collaboratori del giornale siano degli idioti assoluti, capaci di riempire i loro scritti con le banalità e gli spropositi più madornali. Si capisce che così i collaboratori vengono meno: nessun uomo serio si presta volentieri ad esser messo in berlina in modo tanto disgustoso. Per l’articolo di venerdì era preferibile buttare l’originale nel cestino se nessun redattore aveva la capacità di correggere gli strafalcioni. Cosi era assurdo mutare il titolo modesto, ma adeguato all’argomento, col titolo roboante che è stato escogitato e che non corrispondeva al contenuto. Questo non è giornalismo rivoluzionario: è irresponsabilità, avventurierismo da zingari della politica. Prego pubblicare in prima pagina la errata corrige allegata.

Antonio

  1. Errata-corrige di Gramsci[3]

 

Errata-corrige

Il nostro corrispondente romano ci chiede di rendere esplicitamente noto ai lettori che l’articolo pubblicato come fondo nel nostro numero di venerdì con il titolo «I contadini e la dittatura del proletariato» è la stampa irriconoscibile di una nota da lui trasmessaci e intitolata con maggiore senso di misura e di modestia «Noterelle per il Mondo».

L’articolo è riuscito un massacro del buon senso e della correttezza intellettuale che sono tanto più indispensabili in un giornale come il nostro quanto esso è scritto per gli operai e contadini, e cioè per una cerchia di lettori che più difficilmente possono controllare e correggere.

Perciò il nostro corrispondente romano ci chiede di far rilevare almeno le inesattezze e gli errori più marchiani.

L’articolo del Mondo da cui si prendeva lo spunto era intitolato semplicemente: «Si cerca il comunismo»; non era in questione né il nuovo né, tanto meno, il vecchio calvinismo. Si faceva invece accenno ai sistemi divenuti proprii del Mondo e che sono «i sistemi cari al vecchio barzinismo e al nuovo calzinismo».

L’uomo politico inglese che nel 1914 organizzò una insurrezione armata contro il Parlamento, per impedire che venisse instaurata in Irlanda la autonomia, non fu Lord Curzon, ma Lord Edward Henry Carson. Il periodo dell’articolo deve essere riconosciuto cosi:

Prima della guerra, cioè quando i socialdemocratici e tutti gli “amici del popolo” non potevano accusare il bolscevismo di avere “provocato” la borghesia e di averla indotta, poverina! ad uscire dalla legalità e a ricorrere ai mezzi dittatoriali, è stato possibile a lord Carson armare e mobilitare un esercito contro la legge parlamentare sulla liberta irlandese».

Dove si parla di Hindenburg, era scritto: «Tuttavia Hindenburg non si dimise: ma dopo avere nel periodo del referendum fatto la minaccia ricattatoria di una grave crisi politica, dopo il referendum continuò a fare pressioni perché la volontà delle masse popolari fosse resa nulla».

L’ultimo paragrafo della prima colonna deve essere così ricostituito:

«Si capisce allora come gli scrittori del Mondo, presentando al pubblico del loro giornale un modello di società russa in cui gli elementi borghesi e piccolo-borghesi starebbero permeando la struttura dello Stato operaio per esserne infallibilmente i trionfatori, e restaurare il vecchio regime, vogliono rappresentare in una forma ammodernata il vecchio schema utopistico della democrazia e del riformismo, secondo il quale gli elementi sociali come i Sindacati, le Cooperative, i Consigli comunali socialisti, ecc., che esistono in regime capitalistico, potrebbero permeare la struttura di questi regimi fino a modificarli completamente portando al trionfo incruento del socialismo».

Lasciamo alla buona volontà dei lettori operai di correggere gli altri strafalcioni («confessione implicita» invece di «questione implicita», «conquista del potere di Stato alla classe operaia» invece che «da parte della classe operaia», «giudizio storico al fascismo italiano» invece che «sul fascismo italiano», «elementi sociali» invece che «socialisti», «diventano» invece che «diventando», ecc., ecc.), disseminati in tutto il complesso, che dànno luogo a controsensi e a indovinelli disparatissimi; e li preghiamo di tener conto delle difficoltà tecniche nelle quali si svolge il nostro lavoro.

  1. Prima lettera di Leonetti a Gramsci[4]

Dopo aver letto la tua «errata-corrige» sul giornale, ho preso visione, ritornando al mio lavoro, anche della tua nota di servizio. Il tono della nota di servizio e il modo in cui è stata redatta la errata-corrige sono stati unanimemente giudicati indegni di un compagno responsabile. La facilità con cui a compagni che sanno di fare intieramente il proprio dovere in questo momento difficile si muove il rimprovero di «irresponsabilità», «avventurierismo da zingari della politica», ecc. è stata giudicata unanimemente più frutto di isterismo che di meditato giudizio. Infatti, se tu ti fossi reso un poco conto che in questi giorni la redazione, per ragioni varie, ha dovuto assottigliarsi a tre-quattro compagni, che questi compagni – me assente – hanno dovuto sobbarcarsi tutto il lavoro redazionale – e non accenno qui alle condizioni esterne di lavoro – avresti potuto anche facilmente comprendere perché è possibile che da un articolo di fondo esca, ad esempio, come è uscito quello che ha provocato le tue furie.

In merito ai fatti – lasciando da parte tutti gli altri insulti gratuiti – devi sapere:

1) non solo l’articolo di fondo è per noi una cosa seria, ma tutto il giornale, compreso il fattaccio di cronaca. Quando è possibile e nella maniera che ci è possibile noi ci sforziamo di curare che gli editoriali appaiano corretti, precisi, ecc. Purtroppo dovremmo ottenere delle garanzia dalla polizia e dai fascisti per incaricare permanentemente un compagno di curare un determinato lavoro.

2) È assolutamente arbitrario far passare i redattori dell’«Unità» come «propensi a ritenere ovvio che i collaboratori del giornale siano degli idioti, capaci di riempire i loro scritti con le banalità, ecc.». Non c’è un solo fatto che possa avvalorare questo giudizio, poiché son sempre mancati al nostro giornale dei collaboratori e mai nessuno – in ogni caso – si è servito del telefono per collaborare. Non si capisce quindi «che i collaboratori vengano meno». In ogni caso questi compagni, che vorrebbero passare per «serii», avrebbero mostrato di avere assai poca serietà politica, se avessero cessato di collaborare al giornale del loro partito per alcuni pretesi strafalcioni pescati nei loro articoli.

3) per l’articolo di venerdì devi tenere conto che in redazione si trovavano soltanto quattro compagni, di cui due addetti alla cronaca[5]. C’è però la questione generale delle telefonate romane. Un redattore per quanto diligente e preparato che sia, non può certo risolvere «gl’indovinelli» trasmessi per telefono. Se il redattore cambia e cerca di rendere intellegibile la telefonata a suo modo, avviene spesso che questa diventa «irriconoscibile» per l’autore, il quale naturalmente non manca di risentirsene. Poiché ogni responsabilità dello stenografo [6] è esclusa, essendo nota la sua diligenza e capacità, la causa prima degli strafalcioni e degl’ «indovinelli» è quasi sempre da cercarsi nella cattiva dettatura. Quando si vuole avere la certezza della esatta trasmissione telefonica di un articolo o di un comunicato notevole, non si affida il manoscritto ad un analfabeta che riesce appena a decifrarlo, ma lo si fa trasmettere da un elemento responsabile e capace. La trasmissione telefonica è la prima è la prima fonte di tutti gli strafalcioni. Se avessimo un altro stenografo, molte volte il redattore si sarebbe trovato nella impossibilità di dare, anche delle notizie, per la loro cattiva trasmissione. L’articolo di venerdì doveva dunque essere trasmesso anzitutto da un elemento capace e non affidato al solito trombettiere. Già il primo articolo in polemica con il Mondo [7] ci aveva procurato delle difficoltà di revisione, tanto che dovemmo farci ritelefonare alcuni pezzi. Purtroppo non sempre è ciò possibile.

4) in merito all’errata-corrige ritengo che è stata grave colpa da parte dei compagni di redazione aver pubblicato il testo com’è stato loro trasmesso; testo offensivo non per i compagni redattori, ma per il giornale stesso del Partito. «Si chiede esplicitamente» la rettifica di uno scritto a degli avversari e non a dei compagni. Né è colpa dei compagni redattori, ma del Partito se al suo organo centrale si trovano elementi sforniti di «buon senso», di «senso di misura», di «correttezza intellettuale», ecc., ecc. È la prima volta che nella stampa comunista avviene l’inaudito caso che un singolo scrittore o redattore o collaboratore separi la sua responsabilità dalla responsabilità del giornale del Partito. Il giornale non è il giornale dei redattori, ma il giornale del Partito. Non a nome quindi del corrispondente romano in antitesi con «gl’inetti» di redazione doveva apparire l’errata-corrige, ma a nome della redazione, rappresentante il Partito. Ognuno di noi è responsabile dei suoi atti verso il Partito, ma ogni nostro atto investe la responsabilità del Partito. È molto strano che tu non abbia avvertito quindi le conseguenze che può avere la pubblicazione di quell’errata corrige, in cui sono così brillantemente rappresentati i redattori del giornale.

Pur dichiarandosi sempre pronti ad accettare le critiche e i giudizi onesti che provengano da compagni responsabili in merito al nostro lavoro, debbo, a nome di tutti i compagni di redazione, respingere con vivo sdegno la qualifica di «avventurierismo da zingari della politica» con cui tu hai creduto di giudicare il lavoro dei compagni del giornale, proprio mentre essi sono costretti a raddoppiare la loro attività e la loro vigilanza per fare il loro dovere di «giornalisti rivoluzionari».

Con saluti comunisti

Leonetti

  1. Seconda lettera di Leonetti a Gramsci[8]

Al compagno Antonio.

Carissimo,

Ho comunicato ai compagni di redazione la tua lettera del 25 settembre e discusso con essi sul suo contenuto. Troverai a parte un sunto di questa discussione, che comunichiamo pure al C.D. del Partito. Poiché la tua lettera era diretta ai redattori collegialmente e non conteneva rilievi specifici e determinanti per ognuno di essi, sono incaricato di riferirti l’opinione collegiale della redazione.

Lasciando da parte le barzellette e sofismi, noi restiamo dello stesso avviso espressoti nella lettera precedente anche sapendo che tu hai «cinicamente» ricopiato in bellissima calligrafia quanto hai scritto in merito al nostro lavoro. È in verità, pensiamo che il cinismo non basti a giustificare la formulazione di accuse infondate ed errate. Noi veniamo senz’altro ai fatti.

1) Tu dici: «le condizioni non spiegano e non giustificano un bel nulla». È vero. Sappiamo anche noi che ogni errore è di natura pratica e perciò imputabile sempre alla volontà (nel caso specifico, secondo te, all’assenza di scrupolo, alla mancanza di serietà, al sistema di lavoro sgangherato e disordinato). Nullameno si dà che gli uomini continuano a sbagliare, che gli errori si ripetono. È «intellettualmente corretto» domandiamo noi, affermare che «le condizioni non spiegano e non giustificano un bel nulla»? A noi sembra siffatto modo di ragionare non abbastanza «corretto». Difatti non basta dire «il lavoro è stato fatto male: il sistema di Lavoro è disordinato e sgangherato».

Chi lo nega? Ma bisogna anche essere corretti nel chiedersi: «Perché il lavoro è stato fatto male e perché il sistema di lavoro è sgangherato e disordinato?». Allora si giunge alla formulazione di un giudizio esatto e completo. Ed ecco, a nostro avviso, come si dovrebbe ragionare:

È possibile nelle condizioni attuali una divisione permanente di lavoro in modo da evitare «disordini ed errori» nel giornale? Nei limiti del possibile bisogna ottenere questa organizzazione di lavoro che porta ad individuare le responsabilità di ognuno e di tutti. Vediamo però come vanno effettivamente le cose: due mesi fa il compagno Ravagnan era incaricato della revisione delle telefonate. Il compago Ravagnan è arrestato. La revisione delle telefonate torna al compagno Leonetti. Il compagno Leonetti deve assentarsi dal giornale per misure organizzative[9]. Si assentano altri redattori. Il compagno Li Causi, che permanentemente segna la parte estera, è incaricato della compilazione generale del giornale con i compagni Platone e Tulli. Li Causi cura le telefonate. È un lavoro nuovo per lui. Riceve l’articolo di Antonio – orribilmente trasmesso -. È preso da scrupoli (altro che assenza di scrupoli!) trattandosi di un articolo di Antonio. Non ha il coraggio di mutilare o cestinare. Procura di raddrizzare l’articolo alla meglio. Ma il titolo cretino attribuito al Mondo? Non c’era il giornale a portata di mano? Sicuro che c’era. E il redattore vide il titolo. Ma forse il Mondo portava anche lo sfottò che al titolo era stato aggiunto dall’autore dell’articolo? E che c’entrava «il vecchio e nuovo calvinismo». Nemmeno per «assonanza»! Il lettore correttore pensa allora: al Mondo ci stanno dei protestanti (Tilgher). L’autore ha voluto alludere al «calvinismo» di neo-protestanti? Come si vede dunque, non si tratta di scarsa serietà, di assenza di scrupoli, ecc.; ma se mai di una errata interpretazione. Scrupolo, serietà, attenzione ci sono stati: tuttavia il lavoro è riuscito mal fatto: perché? Perché si possono prendere dei granchi malgrado tutta la serietà di questo mondo, perché ci vuole esperienza per ogni determinato lavoro; perché nel caso specifico l’organizzazione del lavoro era deficiente per cause indipendenti dalla volontà della redazione. E che le condizioni di lavoro contino qualche cosa è dimostrato dal fatto che nella tua lettera medesima si riconosce «che gli ultimi articoli pubblicati non autorizzano a rimproveri di carattere professionale, di principio organizzativo». Era forse mutato il nostro «sistema professionale scorretto e senza scrupoli»? No. Era avvenuto semplicemente che, cessate le condizioni di lavoro anormali le quali avevano imposto alla redazione alcune misure organizzative, si era tornati alla attività normale precedente della vita del giornale. Questo prova pure quanto sia fondato l’altro rilievo circa «il sistema di lavoro sgangherato e disordinato»! Si può parlare di «sistema» mentre si riconosce che da un giorno all’altro il lavoro viene svolto in maniera da non autorizzare rimproveri di carattere professionale? Se «disordine e lavoro sgangherato» si verificano qualche volta – ciò che noi non escludiamo – essi sono dovuti sovente alle condizioni di lavoro, come è avvenuto nel caso che ha determinato questo tuo intervento. Il compagno Leonetti ricorda anche di averti spiegato come avvenne che la nota sui provvedimenti contro Lazcevic, ecc., poté uscire in quella deplorata maniera. I compagni Leonetti e Ravagnan erano quella sera assenti per impegni di Partito, ai quali non potevano mancare. Giunse la nota da Roma senza alcuna indicazione. Il compagno Berti era incaricato di elaborare il comunicato relativo ai provvedimenti in questione. Di fronte alla nota romana, non sapendo come regolarsi, si consultò con il comp. Umberto[10], presente, il quale lesse la nota ed autorizzò la sua pubblicazione. Il compagno Leonetti, al suo ritorno in tipografia, dovendo prendere visione del materiale passato in sua assenza, non poté che rendersi conto del fatto che una nota era venuta da Roma e che questa nota era stata letta e corretta da compagni qualificati. Ma vale forse la pena intrattenersi su tutti questi dettagli, quando si parte dalla premessa «che le condizioni di lavoro non spiegano e non giustificano un bel nulla»?

2) «Si deve allora ritenere normale che il giornale sia un sacco di idiozie»? Ripetiamo la nostra sorpresa per siffatto modo di ragionare. Dire che nel mondo ci sono degli zoppi è forse ritenere normale che tutta la terra sia popolata di zoppi? Sappiamo anche noi che il «nostro giornale deve essere espressione ideologica e politica del nostro Partito e non già espressione dei magazzini di carattere delle linotypes». Noi ci sforziamo ogni giorno di fare un giornale che non sia «un sacco di idiozie». Si ha una sola prova per poter affermare che da parte nostra non si faccia in ogni istante e in ogni circostanza tutto il possibile per dare al giornale quanto è in noi per entusiasmo e capacità, e per garantire che il giornale sia – tenuto conto delle nostre forze – il giornale del Partito? Se malgrado questi nostri sforzi, il giornale riesce «un sacco di idiozie», un «massacro della correttezza intellettuale», ecc, non per questo alcuno può sentirsi autorizzato ad accusarci di «non prendere sul serio il modo con cui il giornale è stampato», e tanto meno a definire il nostro lavoro «un Lavoro fatto senza scrupoli». Il lavoro fatto «male» e il lavoro fatto «senza scrupoli» sono due questioni distinte. Noi accettiamo tutte le critiche mosse al nostro lavoro per correggerci e migliorarci; siamo pronti a riconoscere tutte le nostre deficienze e tutti i nostri errori. Ma come un compagno può sentirsi dire che fa il suo lavoro «senza scrupoli», proprio mentre egli può provare di aver raddoppiato tutto il suo zelo, tutta la sua attenzione, tutte le sue energie nella parte del suo lavoro? Simili critiche, poiché basate su inesattezze madornali, per non dire altro, ottengono l’effetto contrario di quello che vorrebbero raggiungere: sono come colpi di arresto, non spinte in avanti. Ma possiamo assicurare che non ci lasceremo demoralizzare, benché definiti, da compagni responsabili, l leggeri, scorretti professionalmente e senza scrupoli.

3) Tutto quanto è stato detto finora ha riferimento al nostro lavoro e ai nostri rapporti interni. Esiste però un’altra questione di portata più generale e, a nostro avviso anche molto più importante: la questione degli Errata-corrige. Tu consideri «sbagliatissima» la nostra opinione espressa per rispetto ai collaboratori e «semplicemente spassoso» il nostro punto di vista circa i rapporti tra redattori e redazione. Vediamo. Gli Errata-corrige pubblicati nell’Unità erano stati compilati a nome del corrispondente romano. Che cosa faceva questo preteso corrispondente romano chiedeva esplicitamente ai suoi compagni di redazione di rendere noto che l’articolo pubblicato come fondo del numero, ecc., ecc., altro non era che la stampa irriconoscibile di una sua nota intitolata da lui con maggior senso di misura e modestia «noterelle romane»; che l’articolo era riuscito infine un massacro di ogni buon senso e di ogni correttezza intellettuale, ecc. Esaminiamo un po’ insieme gli Errata-corrige e davvero pacatamente. Perché il sempre preteso corrispondente romano «chiede esplicitamente»? Tiene dunque il corrispondente romano a separare la sua responsabilità dagli «strafalcioni» e dal «sistema professionale scorretto» dei redattori milanesi? Se ogni redattore può rivendicare questo diritto, oh, perché non dovremo ritornare ai sistemi in uso presso l’Avanti! E che noi abbiamo mille volte deplorato, come quello, ad esempio, che il direttore del giornale [11], dopo la pubblicazione di qualche «strafalcione» in sua assenza, si senta in diritto di rendere noto ai lettori come egli quel giorno non fosse in redazione? Noi abbiamo giustamente sempre deplorato questo metodo come metodo di lavoro della stampa social-democratica. La direzione della stampa comunista appartiene al Partito. I redattori sono gli strumenti di cui il Partito si vale per la sua stampa. I redattori singolarmente sono tutti passibili di richiami, di rimproveri, ecc., anche pubblicamente. Ma la redazione, come tale, è anonima ed è impersonificata [sic] dal Partito. Se si dice che «la redazione è una banda di zingari», quel tale ingegnere, citato nella tua lettera, con lo stesso processo mentale può essere indotto a fare questo ragionamento all’operaio comunista: «Vedete, la redazione dell’U. è una banda di zingari; la banda di zingari fa parte della tribù; dunque voi non fate parte che di una tribù di zingari»: sono questi purtroppo gli inconvenienti della logica formale! Ingegnere a parte, noi dunque ci domandiamo: «Come può un redattore del giornale – tale difatti è il corrispondente romano – dire che l’organo centrale del partito è compilato Da «gente irresponsabile, priva di senso di misura, di buon senso, di correttezza intellettuale ecc.? È vero che noi sappiamo che il corrispondente romano non è il corrispondente romano, ma un compagno responsabile del Partito; ma gli Errata-corrige sono pubblicati a nome del corrispondente e danno una patente di irresponsabilità e di scorrettezza intellettuale ai compilatori del giornale. È possibile questo nel nostro Partito?

Noi crediamo che ogni collaboratore abbia diritto agli errata-corrige ogni qual volta che i suoi scritti escano deformati; ma forse per questo i collaboratori o i singoli corrispondenti acquistano il diritto di «schiacciare» la redazione, organo di lavoro del Partito? Se questi collaboratori tengono alla loro «serietà» e alla loro «dignità» perché dunque dovrebbero non rispettare la «dignità e la serietà» della redazione? Al di sopra delle nostre persone, di cui abbiamo sempre dimostrato di avere molto poco conto, noi ci siamo preoccupati e ci preoccupiamo del «prestigio» del giornale, il quale «prestigio» non si salva certamente, quando si fa pubblicare che il giornale è compilato da elementi sforniti di “ogni senso di misura, di ogni buon senso», ecc. ecc.; e quando si trasmettono per telefono alla redazione violente e calunniose note di servizio affidate alle mani di trombettieri fascisti.

4) Infine noi leggiamo nella tua lettera che, dopo la nota di servizio e gli errata-corrige pubblicati, tu pensi essere anche possibile che la Centrale del partito giunga a dare una tirata di orecchie alla redazione con un pubblico comunicato da mettersi in prima colonna. Anzi, non escludi per l’avvenire una simile possibilità. Rileviamo – per la ragione detta innanzi – come resti sempre un brutto precedente la pubblicazione degli errata-corrige di cui discutiamo. Quanto al minacciato intervento della Centrale, esso sarebbe non solo ragionevolissimo, ma necessario, se le cose stessero come tu le hai descritte. È certo che non si può lasciare il giornale in balia di gente che è ancora nello stadio «dello zingarismo intellettuale e professionale», «senza scrupoli» e che «fa il minimo sforzo per ottenere il minimo risultato». Se è così, la Centrale non può limitarsi ad una semplice tirata di orecchie, ma deve energicamente provvedere ad assicurare il suo organo nelle mani di gente più «seria». Ciò diciamo con tutta schiettezza e pieni di spirito di devozione al Partito. Poiché noi pure vogliamo che il nostro giornale sia il giornale del nostro Partito e non un mucchio di spropositi e di strafalcioni; poiché noi pure ci preoccupiamo del prestigio e della serietà del nostro Partito; poiché noi pure abbiamo lo scrupolo che il giornale sia l’organo di lotta del Partito e del proletariato che vuol distruggere il vecchio mondo per crearne uno nuovo. Con saluti comunisti Leonetti

  1. Lettera di Gramsci alla redazione de “l’Unità” [12]

Camera dei deputati 27 ottobre 1926

Cari compagni della redazione dell’Unità,

Ho ricevuto con molto ritardo la vostra lettera collettiva di risposta e i verbali della riunione redazionale del 2 ottobre.

Non voglio riprendere a fondo la discussione. Ciò avverrà in un altro momento. Per ora, dopo aver letto le vostre dichiarazioni, mi sono persuaso che sarebbe difficile trarre conseguenze utili da una ulteriore discussione.

Mi limiterò a una serie di rettifiche di fatto, le quali provano implicitamente la giustezza della precedente affermazione, provano cioè come la vostra maggiore debolezza e deficienza sia da ricercarsi nella sfera della sobrietà e dell’ordine intellettuale:

1) Non è esatto che io abbia fatto trasmettere la mia nota di servizio da un trombettiere fascista. È questa una ipotesi gratuita, scaturita dal nulla del vostro cervello eccitato e vuoto. Ho consegnato la nota al comp. Cocchi[13], con l’espressa raccomandazione di trasmetterla personalmente e distruggere l’originale, ciò che il Cocchi mi ha assicurato di aver scrupolosamente fatto. Voi invece, così corrivi e facili nel fare ipotesi insultanti quanto gratuite, avete inviato per posta la vostra protesta: io non ve l’ho fatto rimarcare solo per non creare nuove complicazioni e per non invelenire la discussione; mi accorgo ora di aver fatto malissimo.

2) Non è vero che io abbia affermato in generale che le condizioni tecniche del vostro lavoro non debbano essere prese in considerazione. Ho voluto solo insistere sul fatto che non bisogna sempre trincerarsi dietro questa giustificazione: ho provato che nel caso in discussione il lavoro era stato fatto male e senza scrupolo. Il vostro metodo di discutere è semplicemente rattristante: esso è degno di un ladroncello dinanzi al giudice conciliatore.

3) Mi ha molto meravigliato di trovare un richiamo alle osservazioni da me fatte a proposito del vostro commento per l’intervento del brasile contro la Germania nella società delle Nazioni[14]. Mi ha molto meravigliato, perché la questione è diventata assolutamente anche per chi non vorrebbe vedere. Certo: era ed è giusto che l’internazionale metta in prima linea la responsabilità e l’ufficio mondiale degli Stati Uniti nel fatto del caos e dell’anarchia economica e politica esistente in Europa, per rafforzare ideologicamente la campagna per il fronte unico e per gli Stati Uniti Socialisti d’Europa. Ma forse che ciò può significare che il nostro partito brasiliano e il nostro partito italiano devono coprire con sette veli la responsabilità e l’ufficio di strumenti della politica economica americana dei rispettivi governi del Brasile e dell’Italia? Una tale linea si chiama opportunismo della più cattiva lega, anzi è la linea tipica dell’opportunismo, che fa il rivoluzionario all’estero e non osa combattere il proprio governo nazionale. Io non credo in un vostro specifico opportunismo; in questo, come in altri casi, mi accontento di spiegare con la pedestre incapacità politica ciò che ad altri può sembrare opportunismo. Ma che avverrà se voi, in un falsissimo punto d’onore giornalistico, vi intestate a mantenervi nell’errore? Se l’incapacità si corazza di presunzione e vuole imporsi, essa è opportunismo senz’altro, perché le sue conseguenze sono opportunistiche. D’altronde, in tutta questa quistione dei rapporti positivi e negativi tra il fascismo e la società delle nazioni voi avete dimostrato di capire ben poco, come risulta da tutta una serie di episodi. Non avete per esempio, capito nulla delle dimissioni del segretario generale al Ministero degli Esteri, Contarini, perché avete pubblicato la notizia col titolo anodino «Movimento nella diplomazia»[15], tale e quale i giornali fascisti che avevano interesse a non dare nessun rilievo all’affare. Non riuscite a capire come sia necessario per il fascismo, che non può staccarsi dall’Inghilterra per ragioni militari-navali e non può staccarsi dagli Stati Uniti per ragioni finanziarie e per ragioni di equilibrio delle potenze europee, – tutta una politica contorta di finte e di manovre in grande stile. Non avete capito come uno degli elementi più forti della politica estera fascista sia l’opposizione recisa all’unione tra l’Austria e la Germania che porterebbe:

1) al fatto che l’Italia confinerebbe con uno stato germanico di 70 milioni di abitanti, cioè capace di mobilitare il doppio netto dei soldati italiani; 2) al fatto che Vienna, unita a un così formidabile apparato culturale e militare, riacquisterebbe la sua posizione egemonica dei Balcani contro l’influenza e l’espansione in Italia. – Immediatamente, perciò, lo Stato che aveva maggiore interesse a impedire l’entrata della Germania nella Società delle Nazioni era proprio l’Italia ed era vostro dovere di rivoluzionari italiani, cercare di mettere in esito gli intrighi e le manovre del vostro governo, non già di coprire il governo italiano con ampie spalle degli Stati Uniti. Ora pare certo che la Germania voglia porre alla S.d.N. la questione dell’Anshluss, con la benevola opposizione formale di Briand: come ve la caverete voi? Già, capisco, ve la caverete giornalisticamente!

Voglio concludere. Voglio mantenermi calmo e sereno, nonostante tutto. Perché nonostante tutto, sono sicuro che voi siete i migliori di quanti possa apparire dalle vostre parole e dai vostri atti parziali. Il vostro difetto principale consiste nel fatto che siete persuasi che per pensare e studiare sia assolutamente necessario avere determinate condizioni specifiche di tipo scolastico comune: questo difetto è una faccia di quello cui ho accennato in principio. Per quanto le mie forze e le mie capacità lo consentono, voglio aiutarvi a migliorare; perciò neanche questa volta, come invece pare a voi, io mi sono irritato.

Saluti,

Antonio

[1] Copia di questo documento, dattiloscritto e senza indicazione della data, si trova in A.P.C. 440/2. Esso fu con ogni probabilità scritto e trasmesso il 18 settembre 1926.

[2] L’articolo a cui Gramsci si riferisce è Si cerca il comunismo, in “Il Mondo”, 16 settembre 1926.

[3] Comparsa in “l’Unità”, 19 settembre 1926.

[4] Copia di questa lettera, dattiloscritta e firmata da Leonetti, si trova in A.P.C. 440/4-6. Non datata, fu scritta il 19 settembre 1926 o subito dopo.

[5] Cfr. qui la nota 5 a p. 2, e il documento n. 4, p. 21.

[6] Si tratta di Pia Carena.

[7] Si riferisce a In che direzione si sviluppa l’Unione sovietica?, in “l’Unità”, 10 settembre 1926, ora in Gramsci, La costruzione del partito comunista, cit., pp. 319-323.

[8] Questa lettera, dattiloscritta, con correzioni e firma di Leonetti, si trova in copia in A.P.C. 440/7-13. Anch’essa, come la precedente, non è datata, ma venne scritta subito dopo la riunione redazionale del 2 ottobre.

[9] Cfr. qui la nota 7 a p. 3.

[10] Si tratta di Umberto Terracini.

[11] Riferimento a Giacinto Menotti Serrati

[12] Questa lettera consta di quattro facciate manoscritte su carta intestata della Camera dei Deputati, ed è conservata in A.C.S., C.P.C., B. 3339, fasc. G. Molinelli. Sequestrata a Gramsci la sera del suo arresto assieme a una copia della dichiarazione che il rappresentante comunista avrebbe dovuto leggere il giorno dopo al Parlamento, venne collocata erroneamente nel fascicolo di Molinelli certo perché questo, arrestato la sera stessa e condotto assieme a Gramsci in carcere, fu trovato in possesso di un’altra copia di tale dichiarazione.

[13] Si tratta di Romano Cocchi, allora corrispondente romano de “l’Unità”, il quale godeva della piena fiducia di Gramsci, come è confermato da A. Lisa, Memorie. Dall’ ergastolo di Santo Stefano alla casa penale di Turi di Bari, pref. di U. Terracini. Milano1973, p. 16.

[14] Si riferisce a rot. Il «desolante spettacolo» di Ginevra, “l’Unità”, 19 marzo 1926.

[15] Cfr. Movimenti diplomatici, “l’Unità”, 27 marzo 1926. Questo il testo della nota: «La Tribuna pubblica che il sen. Contarini, segretario generale del Ministero degli Esteri, è stato esonerato a sua richiesta dalla carica, e che in sua vece è stato nominato l’attuale Ministro a Vienna Bordonaro».