CRITICA MUSICA

Il fiume dell’anima

"Lost River", di Eivind Aarset, Michele Rabbia e Gianluca Petrella è un disco straordinario, raffinato ed esigente, pieno di sospensioni e chiaroscuri. Un modello magistrale di interplay tra musicisti che si rispettano, si ascoltano e si muovono aprendo continue prospettive ritmiche e melodiche
Michele Rabbia, Eivind Aarset, Gianluca Petrella – Foto: Titti Fabozzi

«Lost River è un evento sonoro post-ambient evocativo e pienamente strutturato, una registrazione eccezionale al di là delle categorie nella storia recente della ECM»: così presenta questo album la casa discografica più prestigiosa d’Europa, la Edition of Contemporary Music fondata nel 1969 da Manfred Eicher e da lui ancora guidata 50 anni dopo.

Il trio inedito che suona incarna pienamente lo spirito di ricerca e innovazione che ha sempre illuminato il percorso dell’etichetta, elegante e rigoroso, lungimirante e riflessivo: ed è un’altra intuizione fulminante del fondatore, che riunisce tre leader riconosciuti nei rispettivi strumenti, che ben si conoscevano per essersi già incrociati nelle loro carriere, ma non avevano mai registrato un intero disco a loro nome.

Tre leader ai quali non è mai bastata l’etichetta jazz, accomunati da un profondo interesse per la sperimentazione elettronica: Eivind Aarset manipola la chitarra come sorgente sonora fino a renderla irriconoscibile; Michele Rabbia usa le percussioni per definire lo spazio con il tratto dell’architetto; Gianluca Petrella suona il trombone con il vigore e la leggerezza di un ballerino.

Lost River è raffinato ed esigente, pieno di sospensioni e chiaroscuri, chiede un impianto stereo di qualità: è un disco in gran parte improvvisato che sembra sfuggire alle orecchie, e invece all’ascolto attento si dipana con fluidità persuasiva, è un modello magistrale di interplay tra musicisti che si rispettano, si ascoltano e si muovono tra loro aprendo continue e reciproche prospettive ritmiche e melodiche.

Tutto l’album è dedicato ai temi dell’acqua, e i titoli stessi evocano laghi, fiumi e mari nella mente: dopo appena un minuto dell’iniziale Nimbus, trombone e chitarra duettano già nel vapore acqueo della stratosfera, graffiati dai cristalli di ghiaccio delle percussioni. Flood è stato il primo frutto delle sessioni di registrazione: il trio è subito concentrato e meditabondo, suoni misteriosi rintoccano mentre ondate di tastiere si infrangono sulle scogliere dei fiati. Lost River è un susseguirsi di paesaggi sonori rarefatti eppure tangibili, la capacità dei musicisti di tratteggiare melodie e ritmi con pochi tocchi degli strumenti è definitivamente affascinante.

Musica per sottrazione, quante volte si è detto? What Floats Beneath ne è mirabile esempio con il suo assorto arpeggio di chitarra, spazzole e percussioni sparse e impercettibili rumori d’ambiente per un brano di folklore tra le nuvole. Styx (lo Stige dantesco, fiume greco dell’odio) sbarra la strada proprio a metà del viaggio: il trombone cavernoso su una riva e la chitarra lacrimosa sull’altra, e narra la perigliosa traversata in balia della corrente che separa le due sponde come i vivi dai morti, la realtà dalla visione, l’incubo dal sogno.

Altro vertice dell’album è Night Sea Journey, un tema blues subliminale che solca il buio della notte incrociando le visioni elettriche di Miles Davis e Jon Hassell; seguita dalla dolcissima Fluvius, ninna nanna per gli abissi dell’anima. È veramente difficile tradurre in parole le movenze della musica, tanta è la capacità dei musicisti di sublimare il timbro, il ruolo, la presenza stessa degli strumenti; così come è inutile cercare imprimatur o referenze stilistiche.

Lost River è al di là, forse al di sopra dei generi: e la sua musica emerge dal silenzio come l’acqua sgorga tra i monti. Anche se può sembrare che non abbia la pazienza di attendere l’ascoltatore, in realtà gli chiede semplicemente di rinunciare ai suoi punti di riferimento, e questa sensazione si rafforza ad ogni ascolto: un album che pone domande e trova risposte, fino a quando le note conclusive di Wadi si dissolvono nella sabbia del deserto.

In concerto per la terza edizione di A Jazz Supreme in Sala Vanni a Firenze, il 19 ottobre prossimo: www.musicusconcentus.com