Soli da soli o soli tra gli altri. E ancora soli sapendo di non esserlo, sentendosi vicinissimi a chi è intorno, solidali con loro e sereni della propria condizione. Il percorso per giungere a questa consapevolezza, per dare un senso alla solitudine dalle pagine del romanzo di Pier Vittorio Tondelli Camere separate, uscito nel 1989, poco prima della morte dello scrittore.
Camere separate, scritto alla fine degli anni Ottanta da Pier Vittorio Tondelli, è un libro malinconico nella sua bellezza, straziante, nel suo realismo, intimo nel suo desiderio di raccontare una storia d’amore. Una storia d’amore tra due persone, Leo e Thomas, che si amano in modo profondo, che si cercano, che si desiderano, ma che, al tempo stesso, sono incapaci di stare insieme nel senso convenzionale del termine. Non c’è la pretesa di definire un nuovo concetto d’amore nelle righe che animano la storia tra i due amanti, ma emerge la volontà di descrivere un modo diverso di intendere i rapporti tra le persone, il desiderio di uscire dai vincoli sociali ed essere liberi di vivere i propri sentimenti senza catene e senza inquadramenti.
È un romanzo intimo anche, e soprattutto, per i tratti del personaggio di Leo, che molto richiamano l’autore stesso: Tondelli (già malato di Aids, malattia che l’ha portato alla morte, ai tempi della stesura del libro) sembra consegnarsi interamente alle pagine del romanzo, mettendosi a nudo e rivelandosi per quello che è, senza filtri. E racconta un amore intenso e bellissimo, litigioso e cattivo, solitario e brutale.
«Abbiamo bisogno di molto tempo per accettare la brutalità del fatto di non essere più soli».
La brutalità di non essere più soli. Che poi non vuol dire essere con qualcuno. Si può amare senza essere fisicamente insieme e si può essere totalmente indifferenti l’uno all’altro vivendo sotto lo stesso tetto. L’amore non ha confini, non ha regole, non è sottoposto a leggi: si vive e si lascia vivere nella sua pienezza, ma anche nella sua assenza. L’amore tra Leo e Thomas si scontra con un società che ha fatto (e, forse, fa) dell’omosessualità un tabù, uno stigma, un marchio di differenza tra un noi e un loro. E si scontra con la paura della quotidianità, soprattutto da parte di Leo: le camere separate permettono di mettere tra i due una distanza che sa di rifugio contro l’abitudine, il conformismo e la routine. Un modo di preservare la bellezza dell’amore dalle bruttezze della vita, di proteggere l’amato dai propri sbalzi d’umore, dalle giornate brutte.
Non c’è lieto fine o almeno, anche qui, non nel senso classico del «e vissero felici e contenti». Thomas si ammala e, in poco tempo, muore. E Leo, straziato dalla perdita del compagno, deve rimettere insieme i pezzi di se stesso e guardarsi dentro per vedere il vuoto lasciato dalla morte di Thomas. Un’elaborazione del lutto faticosa e, a tratti, snervante, una conquista della solitudine come piacevole compagnia. La solitudine a cui arriva Leo è più rassicurante delle feste a casa di amici, del ritorno nella casa natale dai genitori, del sesso a pagamento nei locali notturni. È una solitudine che parla: parla di Thomas, parla di quello che sono stati, parla di quello che avrebbero potuto, ma che poi in realtà sono sempre stati. Non è l’occhio del mondo a definire cosa meriti di essere chiamato amore e non è il frastuono della presenza delle persone a determinare la vicinanza.
La solitudine spaventa: non è facile trovarsi faccia a faccia con se stessi, mettere a tacere le voci degli altri e ascoltare solo la propria. Non è facile accettare i propri difetti, le debolezze, le insicurezze. Non è facile guardarsi attorno e vedere che non c’è nessuno accanto. Ma c’è molta più solitudine nella finzione di un amore che non esiste, nel rumore di una voce che non è amica, nello sguardo rivolto altrove per non accettare di guardare dentro di sé. E questo porta Leo, pur nella necessità della dolorosa accettazione della morte, a non considerare mai la solitudine come malinconia, come brutale indifferenza degli altri alla propria condizione, come abbandono del resto del mondo. Il viaggio solitario di Leo, con sé e in sé, è un viaggio di riconciliazione con la vita, con una vita che deve ricominciare senza Thomas, ma che, comunque, deve ricominciare e che non può farlo se non a partire dall’accettazione della solitudine.
«La solitudine non è malinconia, un uomo solo è sempre in buona compagnia», cantava Giorgio Gaber.
E la solitudine di Leo è la compagnia di Thomas, il conforto dell’amore che sopravvive alla morte, la vittoria delle camere separate contro l’abitudine del monolocale soffocante.
Pier Vittorio Tondelli, Camere separate, Milano, Bompiani, 2014, pp. 211, ISBN 9788845249150, € 11