«Mai starsene svegli la notte a rivolgersi domande a cui non si sa rispondere» (Charles M. Schulz).
L’insonnia è un disturbo del sonno «caratterizzato dall’incapacità di dormire nonostante l’organismo ne abbia un reale bisogno fisiologico. Questo è associato a cattivo funzionamento diurno, con sintomi di stanchezza, irritabilità, difficoltà di apprendimento, mancato consolidamento della memoria e una marcata perdita di interesse per le attività quotidiane», si legge su Wikipedia.
L’uomo passa più o meno il 90 per cento tempo a vivere – passivamente o attivamente a seconda di quanto si immedesima nel “Superuomo” di Nietzsche – la realtà che fa sua, dal momento prima di nascere al momento prima di morire. È così strano, quindi, pensare che la normalità, il riposo e la tranquillità, per la mente siano in realtà un lavoro, qualcosa che prima o poi deve arrestarsi. Questo accade quando dormiamo il restante 10 per cento del tempo, perché è la persona stessa, con il suo vissuto, i pensieri, il subconscio, le emozioni, a costruire quella realtà soggettiva che, in qualche modo, si compone attraverso i sogni.
L’insonnia è il contrasto tra il desiderio di dormire e ciò che fa rimanere svegli, magari un pensiero fisso: Lesbia che parla con un altro uomo davanti a Catullo, i compiti non corretti da consegnare il giorno dopo, l’ansia di un colloquio di lavoro, il panico prima di scoprire il catastrofico risultato delle elezioni. È l’evasione dall’unico posto che consente il riposo. E spesso, poiché l’uomo tende per natura a un’evoluzione di pensiero (ad eccezione del razzismo che ci sta facendo tornare indietro di settant’anni), si finisce per sforzare la mente ancora di più attraverso domande esistenziali, cercando di rivivere situazioni, arrovellandosi su fatti interpretati in modo diverso rispetto agli altri. Questo è quello che rende l’insonnia davvero insopportabile se non, per esagerare, temuta: pensare più di quanto si faccia abitualmente, proprio perché non si ha nulla a cui pensare.
Insomma, sembra non ci sia rimedio. Eppure la conquista migliore che si possa ottenere in questi casi è riuscire a tranquillizzarsi e godere di quei castelli che si creano, sogni o incubi che siano, ad occhi aperti. Riflessioni lucide che un giorno, magari, potrebbero servire.