ARTI CRITICA

Quando scattando ti chiedi: «Che sto facendo?»

© Enrico Genovesi. Femina Rea

Un reportage fotografico di Enrico Genovesi – fotografo di Cecina, dal 1984 alle prese con le immagini a sfondo sociale – fatto nel 2004 ritraendo donne detenute nelle carceri di Empoli, Firenze e Livorno, e pubblicato nel libro Femina Rea (Bandecchi&Vivaldi editori, 2006, 128 pp., formato 24×28, € 25), aiuta a riflettere del tema dell’etica in fotografia, argomento chiave nell’epoca in cui sui social si mette di tutto senza farsi alcuna domanda. Ne parla l’autore.

Enrico Genovesi è un fotografo di Cecina, classe 1962, che dal 1984 si dedica prevalentemente al reportage a sfondo sociale su storie italiane. Ha collaborato con l’agenzia Grazia Neri di Milano e fino al 2012 è stato rappresentato da Emblema photoagency.

Enrico Genovesi (foto di Lorenzo Lessi)

Ha all’attivo premi, riconoscimenti e pubblicazioni di varia natura, tra cui Zuccherificio, immagini della memoria industriale (1995), Rifiuti Urbani… il lavoro (1997), Nascimento, il perpetuo miracolo della vita (2002), Liberi Dentro, Gorgona Penitenziario (2003), Equal, Ingresso al lavoro (2005).

Per iniziativa della “Fondazione Banco Alimentare” di Milano, nel 2009 pubblica L’Opera del Banco. Con il libro Acqua Village del 2013 si aggiudica il “FIOF Book Prize” e l’anno prima è nominato “Autore dell’anno” dalla Federazione italiana associazioni fotografiche da cui deriva la pubblicazione della monografia About – Straordinario Quotidiano. Segue Obiettivo volontario, edito nel 2016 per una collaborazione con il Centro servizi volontariato Toscana (CESVOT).

Ma è del reportage Femina Rea – una storia sulla carcerazione femminile divenuto libro nel 2006, che si è aggiudicato il primo premio al “FestivalFoto2004 Portfolio in Piazza” di Savignano sul Rubicone ed è stato esposto alla “7a Convention Internazionale di Orvieto Fotografia 2005” nonché in varie città nel circuito delle Gallerie FNAC – che ci vogliamo occupare, perché consente di fare qualche riflessione riguardo al tema dell’etica in fotografia.

Riprendere un volto, fare uno scatto a una persona che sta lavorando o cammina per strada deve porre qualche interrogativo a chi ha la macchina fotografica in mano riguardo a cosa questo possa suscitare nell’animo di chi viene “fissato” sulla pellicola o, adesso, in un certo numero di pixel e byte.

È un argomento a cui i professionisti di questo settore non sempre prestano attenzione, mentre invece sta dinanzi a loro con forza, non meno che per quanto si chiede un medico svolgendo il proprio lavoro con il paziente al quale presta cure per rispettarne il volere e la dignità.

L’etica, spiega l’enciclopedia Treccani, è «in senso ampio, quel ramo della filosofia che si occupa di qualsiasi forma di comportamento umano, politico, giuridico o morale». Noi sappiamo che ogni epoca ha prodotto la propria etica e che il concetto si presta a numerose interpretazioni, il più delle volte strettamente legate ai valori morali e alla spinta interiore del singolo.

Dorothea Lange

Ma considerando come il concetto di etica si applichi alla fotografia si deve andare ai primi del 900, quando Dorothea Lange documentava in dagherrotipi la situazione di disagio nelle comunità rurali del sud degli Stati Uniti, aprendo la strada a tutti i reporter venuti dopo di lei, e domandarsi se si era posta il problema di essere o non essere etica nei confronti delle persone ritratte.

Proprio in Femina Rea Enrico Genovesi si è dovuto misurare con la necessità di uno sguardo che fosse delicato e discreto, ritraendo donne detenute colte nelle sezioni femminili di alcuni penitenziari italiani.

«Il fulcro del racconto – riferisce Genovesi – era orientato alla condizione emotiva di quelle donne, al loro quotidiano, al sentimento nascosto fra le pieghe di una realtà sofferta, in certi casi subita loro malgrado. Il mio è stato un cercare di raccontare questo loro frangente di vita senza giudizi moralistici, con onestà e rispetto».

Sin dall’inizio della conversazione, Genovesi ha sentito il bisogno di fare chiarezza sull’ambito fotografico in cui si muove: il “reportage di approfondimento”. Ovvero quella parte del fotogiornalismo che scava in profondità nelle storie, slegandole dal contingente e renderle “atemporali e trasversali” e dove la realtà dei fatti diventa un passaggio per andare oltre, un punto di partenza per nuove considerazioni.

Enrico Genovesi è un autore particolarmente sensibile alla dimensione etica del fare fotografia. Sull’argomento dice: «L’etica in sé è un concetto di difficile definizione. È certamente un termine riferito al “comportamento” ma troppo generico, quindi di frequente sottoposto ad interpretazioni anche personali e di comodo. Normalmente si tende a ritenere etico tutto ciò che corrisponde alla propria linea di pensiero. Ecco che io preferisco parlare di “comportamento deontologico”, o più semplicemente di “patto morale”. Nell’ambito fotografico in cui mi muovo esistono regole precise, è sufficiente osservarle. Penso tuttavia, allargando il discorso, che chiunque decida di rendere pubblica una qualunque fotografia percepibile come reale, cioè verosimile, abbia il dovere di non innescare dubbi sulla sua natura, chiarendo sin da subito la sua eventuale artificiosità se questa non fosse evidente al primo sguardo. E’ una questione di doveroso rispetto. Una fotografia contiene informazioni che saranno trasmesse allo spettatore. Nel mostrarla stringo pertanto con il mio interlocutore un patto morale basato sulla verità di ciò che gli sto trasmettendo e, ovviamente, sulla mia onestà intellettuale.»

Enrico Genovesi © Femina Rea 2

Dice ancora Genovesi: «Nel comunicare con il “linguaggio delle parole” non mi permetterei mai di riferire cose false seppur credibili, qualcuno dovrebbe pertanto ancora spiegarmi perché utilizzando il “linguaggio delle immagini” dovrei sentirmi autorizzato a farlo. L’inosservanza di questo elementare principio etico farebbe venir meno il “patto di onestà” che stabilisco con il mio interlocutore, intaccando oltremodo la mia credibilità di persona e la mia autorevolezza d’autore».

L’etica nella fotografia è quindi per Enrico Genovesi una forma di rispetto nei confronti non solo degli individui ritratti, ma anche ed in egual misura, verso gli spettatori del suo lavoro fotografico a cui vengono fornite informazioni visive quasi sussurranti, silenziose, senza giudizio.

Femina Rea nasce nel 2004, pubblicato dopo un periodo di ricerca, visite, riprese, ritraendo donne detenute nelle carceri di Empoli, Firenze e Livorno. Quanto è importante, chiediamo a Genovesi, darsi il tempo per la ricerca e perché non semplicemente andare e scattare?

«Il valore della fotografia di approfondimento tematico – risponde – è dato proprio dal tempo. Esso è la componente primaria, soprattutto nei reportage a carattere sociale. Il contenuto deve essere filtrato attraverso lo sguardo attento e, appunto, etico di chi fotografando si prende una grande responsabilità. L’interpretazione degli autori di fotografie su un dato tema ne determina lo spessore e stabilisce le intenzioni, suscitando, in chi vedrà l’immagine, interrogativi e riflessioni».