È lapalissiano il fatto che tutti usiamo la parola lapalissiano: serve per definire qualcosa di così evidente che più evidente non si può, tanto che è persino ridicolo spiegarlo. Però è meno lapalissiana l’origine di questo termine. Verrà dal sanscrito? Dal greco? Dall’arabo? Ma no! La parola nasce da… un equivoco ed è relativamente giovane: diciamo che ha meno di cinque secoli. Tutta “colpa” di una battaglia, quella di Pavia: fu combattuta il 24 febbraio 1525 tra l’esercito francese, guidato personalmente dal re Francesco, e l’armata imperiale di Carlo V, comandata sul campo da Fernando Francesco d’Avalos e Carlo di Borbone. Lo scontro si concluse con la schiacciante vittoria dell’esercito dell’imperatore; il sovrano francese fu addirittura catturato e portato come prigioniero in Spagna.
In seguito a quella battaglia, che cambiò la storia europea, è nato anche un aggettivo: “lapalissiano, appunto. Perché? Beh, Lapalisse è il nome di un paesino francese con circa tremila abitanti, situato nella regione dell’Alvernia-Rodano-Alpi, 150 chilometri a nord-ovest di Lione. Forse i lapalissois (gli abitanti del paesino) sono così prevedibili da aver meritato un aggettivo? Macché, sarebbe troppo lapalissiano. Semmai, per capire, torniamo alla battaglia di Pavia. Lì si batté anche il maresciallo di Francia Jacques de Chabannes de La Palice (1470-1525), signore di quella terra quando il suo nome era ancora diviso tra “La” e “Palice” (ai tempi dei Romani era Lapidacius). I soldati agli ordini del maresciallo scrissero, dopo la morte, questo epitaffio: «Ci-gît Monsieur de La Palice. Si il n’était pas mort, il ferait encore envie» (Qui giace il signore de La Palice. Se non fosse morto, farebbe ancora invidia). Col tempo la effe di ferait (farebbe) fu letta esse (a quel tempo le due grafie erano simili), diventando quindi serait (sarebbe), e la parola envie (invidia) divenne en vie (in vita); con il risultato che il testo cambiò così: «Si il n’était pas mort, il serait encore en vie» (Se non fosse morto, sarebbe ancora in vita).
Da questa affermazione farlocca nasce il significato odierno della parola lapalissiano. Anche perché la sorte infierì ancora: nel XVII secolo Bernard de La Monnoye, accademico di Francia, poeta e letterato, intitolò a La Palice una canzone dove lo prendeva in giro come campione della banalità. Il brano fu recuperato da Edmond de Goncourt , che nell’Ottocento inventò il sostantivo femminile lapalissade, col significato di “verità lapalissiana” Risultato: il battagliero e sfortunato Jacques de Chabannes de La Palice ha regalato alla lingua italiana – sebbene senza colpa – quell’aggettivo poco onorevole.