L’influenza di Antonio Gramsci sulla riflessione critica e sull’opera poetica di Pier Paolo Pasolini ed Edoardo Sanguineti – due poeti e intellettuali militanti del secondo Novecento, tra loro più volte in esplicita polemica – è stata al centro di un intenso pomeriggio di studi promosso dalla Fondazione Gramsci Emilia-Romagna il 20 aprile scorso a Bologna nell’ambito delle iniziative organizzate per ricordare gli ottanta anni trascorsi dalla morte del fondatore de “l’Unità”, alla cui attività giornalistica TESSERE ha dedicato un libro.
Nati in anni vicini – Pasolini nel ’22 e Sanguineti nel ‘30 –, se ebbero modo di vivere gran parte del proprio tempo nella medesima epoca, pure Sanguineti appartenne integralmente alla stagione successiva al dopoguerra, quella dei movimenti critici presenti in tutta la scena internazionale; Pasolini, invece, giovane studente sotto il fascismo, ha attraversato anche le stagioni precedenti, vivendo un quadro evolutivo più marcato della società italiana fra passato e presente.
Ebbero in comune la scelta dichiarata di voler unire l’attività letteraria a un impegno per la trasformazione sociale e politica, non solo civile, come oggi si usa dire. Per questo, naturaliter, riflessione e pubblica testimonianza in loro si accompagnarono sempre all’attività poetica e critica.
Comune ad entrambi fu la volontà di abbandonare la poesia ermetica, che era allora prevalente ed aveva incontrato l’impegno solo come rifiuto, come un sottrarsi alla retorica. Lì si era fermata, proponendo, al posto della forzata politicizzazione richiesta del regime fascista, la purezza dell’espressione poetica.
Ancora comune furono l’occhio, e spesso la pratica, rivolti alle arti, a 360 gradi, l’apertura alla pittura , al cinema, al teatro.
A entrambi fu inevitabile il confronto appassionato, e per lunghi tratti militante, con il marxismo e con le forme più direttamente politiche della sinistra che vi si ispirava, in particolare il Pci. E, in misura minore ma non inesistente con i movimenti e i gruppi successivi al ’68.
È in questo contesto che, ancora una volta per entrambi, è maturata la centralità del riferimento a Gramsci.
I Quaderni cosiddetti dal carcere – recuperati dopo la morte di Gramsci e portati a Mosca per salvarli – furono pubblicati da Einaudi, sotto la supervisione di Palmiro Togliatti, in una prima edizione tra il 1948 e il 1951 organizzata secondo un ordine tematico.
È questo il Gramsci che appassionò Pasolini e Sanguineti. I Quaderni editi da Togliatti ottennero un enorme impatto nel mondo della cultura dell’Italia del dopoguerra, permettendo al Partito Comunista di avvicinare a sé un largo numero di intellettuali, artisti, scrittori, insegnanti, operatori culturali nonostante il perdurare a lungo di un ostracismo rigidissimo che allontanava i “comunisti” dalla presenza nelle istituzioni scolastiche e culturali, ne limitava il cinema e, quando arrivò, ne precludeva l’accesso alla produzione televisiva, se non con modeste e controllatissime eccezioni, almeno fino agli anni ’70.
Eppure la forza reale del pensiero gramsciano e il mito della sua vita, che affermavano il primato morale e filosofico di un marxismo sottile e aperto alla sfera della riproduzione culturale e delle idee socialmente diffuse (come Marx aveva affermato quello della produzione e del suo determinare la storia), riuscirono a garantire alla sinistra quasi una egemonia.
Nello stesso tempo l’identità gramsciana permise al Pci – anche nell’ultimo periodo della direzione staliniana a Mosca e poi negli anni a seguire – di costruire una propria originalità, ancorata non solo a scelte politiche contingenti, ma ad un corpo teorico alternativo, anche se non di rottura, alla tradizione marxista prevalente – quella marxista-leninista russa – e a quelle, eretiche e più estreme, di altri marxismi critici europei, in particolare francesi e mitteleuropei.
La complessità ed il fascino dei pensieri di Gramsci, furono tali da coinvolgere profondamente anche Pasolini e Sanguineti .
Vedere, sia pur sommariamente, su quali assunti gramsciani insisteva maggiormente il loro interesse può farci avvicinare alla drastica reciproca differenza fra i due poeti.
A Pasolini interessava Gramsci come sorgente degli elementi di conoscenza del materialismo storico, la filosofia della praxis di Marx, elaborata con una particolare ed inedita attenzione al ruolo dell’egemonia culturale e degli intellettuali.
Pasolini scriverà, ne Le ceneri di Gramsci, «Lo scandalo del contraddirmi, / dell’essere / con e contro te; con te nel core, / in luce, contro te nelle buie viscere» e la conclusione, con l’impostazione tipicamente pasoliniana del vasto tratteggio d’epoca, del profetismo disincantato e lucido: «Ma io, con il cuore cosciente / di chi soltanto nella storia ha vita, / potrò mai più con pura passione operare, / se so che la nostra storia è finita?»
Oggi questa profezia sembra di suprema capacità anticipatrice, e forse lo è, ma non bisogna dimenticare che si riferisce innanzitutto a quel suo tempo, la bonaccia degli anni lunghi che hanno seguito la guerra e l’aspirazione rivoluzionaria della resistenza antifascista.
Ma il «pensare come Gramsci», di cui Pasolini dirà di se stesso, non si ferma ai fondamentali: si rivolge alla vasta elaborazione sulle classi superate e poi annientate, nello sviluppo e dallo sviluppo, tema cui Pasolini, com’è noto, ha legato l’intero suo percorso.
Gramsci meridionalista sottopone a critica tutto il filo della storia del progresso nazionale, il Risorgimento e l’unità dello Stato. Pasolini, attentissimo all’espressione delle classi emarginate, a questo progredire si appassiona, quasi vi si abbevera.
La sua poetica è fortemente rivolta alla critica della modernizzazione dell’Italia: dal tentativo di fissare un diverso progresso, un diverso impegno, con il neo sperimentalismo di cui scrive nella rivista “Officina”, fino alla più generale tragica consapevolezza senza rimedio di un mutamento che non dà vita e che riguarda l’intera civilizzazione dell’umanità.
Di Pasolini ha parlato nel seminario bolognese Marco Antonio Bazzocchi, docente dell’Alma mater, da tempo impegnato sui temi pasoliniani e curatore, con Roberto Chiesi, della mostra che Bologna ha ospitato al Mambo, la Galleria di arte moderna, nel quarantennale della morte del poeta.
Bazzocchi ha analizzato i temi del volume Passione e ideologia. Pubblicato nel 1960 da Garzanti, assommava contributi in parte già venuti alla luce alla metà degli anni ’50.
In esso si individuano i temi cui abbiamo accennato, ritrovati nel cammino delle varie forme della «poesia dialettale del Novecento» e della «poesia popolare italiana». È qui che Pasolini dichiara che Gramsci è stato il suo autore più importante e che le proprie idee sono le stesse dell’autore dei Quaderni.
Dopo un’accurata relazione di Stefano Colangelo su La funzione di Gramsci nella critica letteraria, che ha delineato le varie e diverse fasi della fortuna di Gramsci nella storia culturale contemporanea a livello mondiale, hanno parlato di Edoardo Sanguineti, Niva Lorenzini dell’Università di Bologna ed Erminio Risso, allievo e collaboratore del poeta genovese.
Il Sanguineti poeta, critico letterario, saggista, autore di Ideologia e linguaggio fu fortemente influenzato da Gramsci nel suo interesse per la linguistica, per lo sviluppo e la creazione di una «lingua nazionale italiana».
È il Gramsci che, mentre critica le strade del moderno nella storia d’Italia, invoca – addirittura per forza soggettiva, per azione di avanguardia – un rinnovamento profondo, capace di dialogare ma anche di superare tutte le correnti novecentiste più recenti e più vive.
È sul giudizio relativo alla modernità e allo sviluppo che Sanguineti si divide profondamente da Pasolini. La critica di Sanguineti a Pasolini fu drastica. Il poeta – che si sentì e fu parte di un movimento radicale e trasformatore, protagonista rivoluzionario del presente anche nei linguaggi – non poteva tollerare il passatismo, sia pure consapevole, di Pasolini.
La poetica di Sanguineti e poi di quanti a lui hanno guardato come punto di riferimento, era intesa come il dovere di «gettare se stessi nel labirinto […] dell’irrazionalismo», «con la speranza […] di uscirne poi veramente, attraversato il tutto, con le mani sporche, ma con il fango, anche, lasciato davvero alle spalle». Il moderno va vissuto e la tecnologia conosciuta laddove è mediazione, strumento.
Sanguineti alle prese con la propria contemporaneità, dalla prima edizione di Ideologia e linguaggio del 1965 a quelle successive, porta avanti un serrato confronto con le istituzioni letterarie e le esperienze artistiche più radicali ed eversive del XX secolo. La dialettica tra avanguardia e tradizione, di cui il marxismo di Gramsci costituisce la chiave della porta d’ingresso, è una stanza critica nella quale il poeta impiega attrezzi di altri marxismi a lui contemporanei.
Niva Lorenzini, curatrice della giornata di studi, ha incuriosito il pubblico riferendo, quasi in una rivelazione, delle Schede gramsciane di Sanguineti. Si tratta di un piccolo testo che raccoglie 138 schede, compilate da Sanguineti per contribuire all’aggiornamento del Grande dizionario della lingua italiana di Salvatore Battaglia, dal quale emerge la fascinazione di Sanguineti per i frequenti neologismi di Gramsci, che il poeta, appassionato cultore di lessicografia, scopre e cataloga ripercorrendo l’opera dell’autore dei Quaderni: parole nuove, necessarie ad una rivoluzione del pensiero, basilari nella terminologia storico-politica e nella critica sociale e capaci di giungere al sarcasmo della stroncatura.
Di pari interesse è stata la testimonianza della Lorenzini riguardo lo “scaffale Gramsci” di casa Sanguineti, una raccolta di volumi “di e su” Gramsci appartenuta al poeta, dalla quale è possibile comprendere i peculiari percorsi di lettura e di confronto seguiti dall’intellettuale genovese, mai affievoliti, nemmeno negli ultimi anni.
Da quello scaffale emerge la capacità che Sanguineti ebbe di “insistere” nelle sue passioni in quella stagione – gli anni ’80 del ‘900 – durante la quale un buon numero di intellettuali tentarono di uscire dalla crisi del marxismo cercando il soggetto umano nella volontà, Nietzsche, o nella dissipazione. Non è piccolo merito. O, quantomeno, indice di una originalità rimarchevole.