DAILY LA PAROLA

Ponte

Il ponte è la materializzazione dell'attraversare, è metafora e misura della grandezza di una civiltà. Qualche volta lo è anche del suo declino

Si può sostenere che l’idea del ponte sia fra quelle su cui si fonda la civiltà, concetto di unione di parti tra di loro, risposta logica ed intuitiva ad un problema pratico (uno tra i primi che l’uomo ha dovuto risolvere) e la sua elaborazione si lega al progresso umano. Un’idea che trascende la realtà materiale e fisica per elevarsi a immagine e paradigma filosofico, l’idea di attraversare, unire, congiungere, raggiungere l’altro lato attraverso una proiezione fisica della strada, del cammino, o meglio di se stessi, si concretizza nel ponte che unisce gli opposti e consente di proseguire il viaggio.

Il ponte può essere di legno, di pietra o in muratura, di ferro, di barche, di funi, oppure ponte ferroviario, ponte aereo, ponte radio. Indispensabile opera civile, assume il pregio di segno estetico, quando è abbellito da fregi ed opere, o quando si impone come opera d’arte per la propria architettura. Impegnativo e costoso, il ponte è orgoglio e vanto per il costruttore e dimostrazione della grandezza di un popolo, sfoggio di potenza e tecnologia. Per questo, da sempre, è misura della grandezza di una civiltà, oggi e nel passato, basti pensare che i primi grandi costruttori di ponti furono i Romani, a loro si deve la costruzione di ponti galleggianti, ponti in legno e di pietra, alcuni dei quali sono giunti fino a noi.

Da semplice manufatto, fino ad opera architettonica e ingegneristica, lo sviluppo del ponte si affianca a quello delle reti stradali, delle città, rendendosi parte integrante di un processo evolutivo più esteso, oltre che sintesi del progresso tecnologico e culturale.

L’eleganza formale e strutturale del ponte è anche allusione al collasso e alla morte, in una convergenza di significati (quello esistenziale del viaggiatore e quello costruttivo del ponte) che, per esempio, troviamo sublimata in un racconto di Kafka, Il ponte, dove si realizza l’identificazione del ponte e del viandante in una trasposizione onirica:
«Ero rigido e freddo, ero un ponte, stavo sopra un abisso. Di qua avevo le punte dei piedi, di là avevo confitto le mani, e mi tenevo rabbiosamente aggrappato all’argilla friabile. Da una parte e dall’altra mi si agitavano le falde della giacca. In fondo rumoreggiava il gelido torrente popolato di trote».

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