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Quelle realtà racchiuse nella storia di due amiche

Fin da L’amore molesto, ma ancor più con la quadrilogia de L’amica geniale, Elena Ferrante ha mostrato che la sua facilità di scrittura, di comunicare sensazioni, far rivivere cose dimenticate e perse nei meandri della memoria è sensazionale.

Inizia piano piano con la storia di due bambine nemiche-amiche, ma anche l’una complemento dell’altra, fin dalle scuole elementari, e si sviluppa e avviluppando il lettore fino all’età adulta in un crescendo di emozioni. Così sembra di vivere, anzi di essere nati, nella periferia della Napoli del dopoguerra, nella Napoli di Lauro e della camorra, della violenza insita nella vita di tutti i giorni e nei pochi momenti belli che essa riserva. Ancor più forte è l’attrazione per chi non ha vissuto in quell’ambiente ma che ne è stato comunque contiguo per diversi motivi.

Se si nasce in un paese, grande più o meno come un rione di Napoli o di Roma, si è comunque vicini per forza se non per scelta. Si è vicini al povero come al ricco, al proletariato come alla borghesia, che nei paesi non è mai illuminata. Si scoprono cose che non s’immaginano, l’odore acre e fastidioso della povertà, quello che prende alla gola e provoca un senso di nausea che si è costretti a nascondere per non ferire il piccolo amico. Si scopre la cattiveria del figlio del dottore o della figlia della professoressa di francese. E si scopre come il mondo, anche in piccolo, sia diviso rigidamente in classi. Si sperimenta sulla propria pelle, o su quella di chi ci è vicino, che “scalare” la società è più difficile di quanto si creda. Non basta studiare o fare i soldi, bisogna riuscire a comprendere i meccanismi per potersi integrare. E non è vero ciò che dice Erri De Luca sulla scuola pubblica: «…non aboliva la miseria, però tra le sue mura permetteva il pari. Il dispari cominciava fuori».

Il dispari c’era e si vedeva dalla qualità dei grembiuli, dalla foggia dei fiocchi, dall’occhio di riguardo che gli insegnanti avevano verso i figli dei maggiorenti del paese/rione, dai libri nuovi e profumati rispetto a quelli avuti in eredità dai fratelli maggiori o rimediati in chi sa quale modo dai genitori meno abbienti.

E quindi ancor più forte è il coinvolgimento per chi nelle strade del rione rivede e ripercorre le strade della propria infanzia, adolescenza e gioventù. Quelle vie calcate in un perenne andare e venire perché altro non c’era da fare. Rione come un microcosmo che contiene già da subito tutte le sfaccettature della vita. Dalla rassegnazione al sapere che non si potrà mai andare via, alla voglia di fuggire verso un nuovo mondo che si pensa e si intravede al di là del tunnel. E, comunque, se ci si riesce, lascia sempre dentro un senso d’inadeguatezza, d’insoddisfazione a cui non si sa dare spiegazione. Di un qualcosa di cui si dovrà sempre rendere conto anche se si pensa che il proprio passato sia realmente passato.

Neanche Elena Ferrante fornisce questa spiegazione: perché è all’interno di ciascuno di noi. Si adatta a pennello la battuta di Corrado Guzzanti: «La risposta è dentro di te e comunque è sbagliata».

È sbagliata perché non c’è risposta univoca alla vita e alle scelte, libere (se esistono) o indotte. Ognuno sa il perché di certe scelte, oppure crede di non saperle. Problemi insormontabili per chiunque, figuriamoci per le piccole donne che crescono nella periferia napoletana, strette nella morsa dell’ignoranza, della violenza, dei luoghi comuni. Nel maschilismo imperante, nella violenza giornaliera, quasi naturale, ereditata da migliaia di anni di persecuzione. Sì, è molto più difficile per una donna uscire dal proprio mondo per cercarne un altro, nemmeno migliore, semplicemente diverso.

E non basta fuggire, fisicamente o mentalmente, da ciò che il destino ha riservato. Ci sarà sempre un’anima buona che rammenterà, con malizia o ingenuamente, da quale parte del mondo si arriva, da quale cultura, o incultura, si è usciti. Se non si riesce a troncare con nettezza, con cattiveria e perseveranza certi legami, prima o poi si torna sul luogo del delitto. Delitto non commesso dai personaggi ma dalla società che li circonda.

L’emancipazione di una delle due protagoniste dovuta allo studio, alla presa di coscienza sociale e politica, indotta o meno che sia – siamo ormai negli anni ‘70 – non la tengono lontana dall’invischiarsi di nuovo nelle dinamiche di quartiere. Così anche per la propria alter ego che ha compiuto la sua scelta rimanendo all’interno di quel settore di società nella quale è nata e cresciuta. Entrambe devono scontrarsi con la violenza, i luoghi comuni, il maschilismo che all’epoca dei fatti narrati erano ben più forte di adesso, forse.

Le due protagoniste pagano le proprie scelte: una con un salto sociale che le viene o lei pensa le venga ricordato ad ogni occasione, anche quando, dopo aver scritto un libro, si avvicina, per salvare la sua amica, al mondo operaio con più convinzione, tanto da intraprendere una collaborazione con “l’Unità”. Il giornale fondato da Gramsci è in molte pagine una presenza costante ed importante. Leggere di questo suo ruolo e pensare che sia ancora chiuso per incapacità gestionale e politica fa veramente male.

L’altra con decadenza fisica e sociale, se pure sia possibile, dopo essere stata anche invidiata per il buon matrimonio realizzato. Paga l’essersi schierata contro il suo uomo, contro gli uomini e la vita del rione. Paga la voglia di riscatto e la mancanza di subalternità verso i luoghi comuni. E a volte sembra, nell’ambivalenza del rapporto, scagliarsi contro l’amica, quella che fugge e che è poi la voce narrante di tutta l’opera di Elena Ferrante.

Bei libri, che danno il piacere della lettura e del pensare. Personaggi tratteggiati con nitore, senza sbavature, che il lettore capisce in ogni loro intima piega potendo immedesimarsi in ognuno di loro perché tutti hanno ragione e tutti, qualcuno molto più degli altri, hanno torto nell’affrontare la vita. La difficoltà dell’accettare i condizionamenti, le soperchierie, il già trovato fatto, gli errori generazionali e il lasciarsi vivere perché tanto è inutile schierasi contro chi è più forte.

E poi Napoli, nel suo divenire sempre uguale a se stessa. Con problemi antichi che non si risolvono ma si incistano, diventano purulenti e si trasmettono anche ai napoletani stessi come un marchio indelebile. Napoli come paradigma di situazioni che si riscontrano ovunque, che ognuno vive tutti i giorni.

Con le sue parole l’autrice apre le porte della memoria dove sono stati racchiusi episodi, parole, volti della vita che in qualche modo avevano turbato, infastidito o altro ancora. Così come si tengono vivi e presenti quelli che hanno gratificato nel corso degli anni. Tutta quella generazione ha vissuto il cambiamento, l’evolversi, non sempre in meglio, dei panorami che la circondavano, lo sparire dei campi in cambio di complessi residenziali più o meno belli, più o meno di lusso, i quali hanno stravolto non solo ciò che i suoi occhi vedevano ma, in alcuni casi, anche le sue vite. Così come la crescita dei compagni di giochi, il loro cambio di atteggiamento, di carattere, sicuramente influenzato dalla posizione sociale, dalla cultura e dall’ambiente di provenienza. Nelle pagine dell’opera tutto ciò viene riproposto senza pietà, senza veli che addolciscano i ricordi. Così è la vita e nasconderla o velarla, ammantarla di qualcos’altro per abbellirla, non è altro che un tentativo di ingannarsi.

Certo, i piani di lettura e la morale proposti da Elena Ferrante sono diversi, sono tantissimi quanti sono i lettori, anche quelli a cui non sono piaciuti i suoi libri. Si potrebbe parlare di un piano geografico circoscrivendo il tutto a Napoli e alla sua incasinatissima vita che non vede sorgere una nuova alba di speranza dall’illusione della prima giunta di sinistra, alla vita nei quartieri più disagiati, alla convivenza con la camorra e con le difficoltà di ogni giorno ma non sarebbe giusto perché certi problemi si ritrovano in altre parti del Paese, se non in tutta l’Italia.

C’è l’animo del lettore, quello che in certe situazioni è nato, cresciuto, vissuto e porta le proprie tracce impresse nella pelle; quello che è stato contiguo e a cui sono rimasti pochi segni di quel mondo; chi si è sentito in parte già condannato e chi in cerca di un riscatto sociale, politico, economico, umano.

Non manca poi l’osservatore esterno, colui che guarda e giudica spesso dalle apparenze, dalla breve visita occasionale sia essa per motivi di lavoro o solo per turismo. Ecco, forse, la storia delle amiche napoletane, portando avanti un discorso nel tempo storico e reale, aiuterà più di un articolo di giornale – i tanti soloni – a capire meglio certe situazioni che, val la pena ripeterlo, non sono esclusiva della città partenopea.

Ma limitare il tutto solo alla napoletanità dell’opera, che comunque c’è ed è preponderante in molti punti e non potrebbe essere altrimenti, sarebbe errato. Ci sono gli interpreti su carta come nella vita reale e se poi nella mente certe figure si sovrappongono l’effetto è assicurato. Diverso per ogni lettore a seconda del punto d’osservazione che si diceva prima. Ognuno può individuare il personaggio da interpretare nella finzione letteraria, può scegliere per chi parteggiare o da quale punto osservare, dipende dalla vita di ognuno.

Lila che fugge forse fuori tempo massimo: ma poi è lei che fugge o Elena che lotta per la propria vita con i nuovi mezzi che la cultura le ha dato? Pasquale con le sue scelte politiche estreme, Nino con la sua ambiguità non risolta, o qualcuno tra i tanti che hanno scelto l’acquiescenza e il supposto quieto vivere, o altri punti di vista a piacere. Come non parlare poi dei diversi modelli di famiglia che vengono proposti?

Insomma, è uno specchio della vita, basta guardarsi e vedere cosa lo specchio restituisce. Un’opera dove il coinvolgimento è totale se si affronta liberando la mente da luoghi comuni, come se per la prima volta ci si immergesse in acqua corrente dove nessun altro si è ancora mai immerso. Come se accadesse in altra parte del mondo ma non in Italia, se si abbandonano pregiudizi verso la letteratura italiana e senza l’invidia o l’esaltazione fatta da altri

Un libro deve essere una scoperta, quindi della trama in questo consiglio di lettura – pagina dopo pagina, riga dopo riga e parola dopo parola – si legge volutamente poco. Sarebbe sminuire la passione che Elena Ferrante ha trasposto nelle tante pagine della sua tetralogia, l’implacabilità delle proprie descrizioni umane e sociali in cui nessuna parola è superflua e a cui non c’è bisogno di aggiungerne altre.

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