DAILY LA PAROLA

Teppista

Il termine viene da lontano, nasce nella MIlano ottocentesca da una compagnia rissosa, ma patriottica, che indossava un tipico copricapo

Teppista viene da téppa, termine dialettale milanese che significa muschio, piantina tenera e morbida, spesso usata per decorare i presepi, che certo non richiama la riottosa e spesso vigliacca arroganza del genere di malvivente contraddistinto da questo nome.

Per arrivare dagli umbratili muschi agli spavaldi teppisti bisogna quindi partire da Milano e restarci dopo essere tornati indietro nel tempo fino agli anni del regno Lombardo-Veneto. Siamo nel 1816 o forse nel ‘17 e in città col termine téppa erano chiamati i prati muschiosi che circondavano l’area a nord del Castello Sforzesco, piazza Castello.

La zona era stata eletta quale punto di ritrovo e di partenza per le proprie scorribande, della così detta Compagnia della Teppa, una congrega di vitelloni ante litteram, guasconi dediti ad imprese goliardiche, ma anche ad atti di vandalismo e violenza gratuita; prepotenti e rissosi, ma patriottici, sebbene tollerati dalla polizia, che certo non poteva essere insensibile alla evidente ingerenza austriaca nelle questioni del regno.

La ragione di questa tolleranza, che comunque fu breve, risiedeva probabilmente nel fatto che alcuni dei componenti della Compagnia facessero parte della buona società milanese. Nel 1821 infatti, dopo l’ennesimo oltraggio, un deciso intervento di ordine pubblico vi mise fine, anche, e probabilmente soprattutto, per via di infiltrazioni e aderenze con la Carboneria.

I membri della Compagnia erano soliti indossare un cappello tricorno, la téppa, di felpa plumée, stoffa di pelo lungo e arruffato come il muschio. Secondo alcune fonti il nome della congrega deriverebbe quindi dall’uso di questo tipico copricapo, liberale e irrequieto rispetto al più formale e conformista cilindro, invece che dalle umide zolle di quella che ancora era una zona periferica della città.

Secondo un vocabolario dell’epoca i teppisti sono «giovinastri prepotenti e crudeli, che fanno il male per amore del male e per smania di sbravazzare». Oggi la definizione che troviamo sul vocabolario Treccani è certamente meno romantica essendolo, teppista, semplicemente «chi compie atti vandalici o violenti».

Segno dei tempi e della crescente divisione del lavoro, la specializzazione ha visto il nascere dei cyberteppisti, meno efficienti o efficaci dei cyberterroristi, ma più generalisti dei cyberbulli; o gli ecoteppisti, decisamente più utili; i teppisti della domenica, legati al mondo del pallone e quelli della politica, come si legge su Internazionale, che mandano all’aria governi facendo, si spera, del male gratuito più a loro stessi che al paese.

Tornando ad espressioni dialettali, in Toscana ad esempio, il termine téppa può essere usato al singolare, con un’eccezione più bonaria, da pronunciare con un mezzo sorriso affettuoso, dopo la prima arrabbiatura: “ … e tu ssei una téppa di nulla!”, apostrofando un gianburrasca in fuga.

A conferma, se mi è consentito passare al lessico famigliare, abbiamo ribattezzato Téppa Pig il piccolo di casa, sia per la faccia da acqua cheta, che per le passioni per il noto cartoon Peppa Pig, e, non ultima, per le salsicce.

Tornando in politica con Ennio Flaiano, ricordo volentieri, ma non troppo, che il fascista è teppista, e che ha tante altre amene qualità descritte magistralmente qui.

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