Secondo i Fasti Ostienses, frammenti di iscrizioni che riportano avvenimenti dal 49 a.C. al 175 d.C. ritrovati ad Ostia Antica, in questo giorno di maggio viene inaugurata la Colonna Traiana, l’immenso fumetto marmoreo che, nel cuore dell’Urbe, celebra la conquista della Dacia, attuale Romania, da parte dell’imperatore Traiano. È l’ultimo, grandioso progetto espansionistico dell’Impero che, da allora in poi, sarà impegnato nel difendere i propri confini piuttosto che ad espanderli.
Primo esempio di colonna coclide (da cochlis, chiocciola), ovvero decorata da un ornamento che vi si avvolge intorno e contiene una scala a chiocciola al suo interno, il monumento appartiene alla tipologia del “centenario”, è cioè alta 100 piedi romani (corrispondenti a circa 30 metri, che salgono a 40 se si include il basamento e la statua alla sommità) e vede circa 200 metri di fregio istoriato che si arrotolano intorno al fusto per 23 volte, a mo’ di papiro, raccontando nel dettaglio di 155 quadri le diverse fasi della prima e della seconda campagna. Nel basamento, ornato dalle immagini della Vittoria alata, si apre una porta che, attraverso la scala, conduceva alla camera sepolcrale che doveva ospitare le urne d’oro contenenti le ceneri dei cesari. La statua in bronzo dell’imperatore posta sulla sommità rimase al suo posto fino al Medioevo, quando scomparve; poi papa Sisto V, nel 1588, diede mandato a Domenico Fontana di porvi quella di San Pietro che ancora oggi la sovrasta.
Con rigorosi intenti topografici e cronistici, gli episodi di battaglia sono intervallati da 12 scene di marcia e di trasferimento e ben 17 inserti in cui si illustra minuziosamente la costruzione degli accampamenti, delle strade, dei ponti, delle stazioni di posta, con un intento illustrativo che srotola davanti ai nostri occhi questa sorta di grande carta geostorica, animata e brulicante di vita. Secondo la tradizione delle pitture trionfali, veri e propri quadri che venivano portati e mostrati alla folla per l’appunto nel corso dei trionfi, quando i generali facevano sfilare le immagini che servivano ad illustrare al popolo di Roma i suoi fasti, in questa intelaiatura geografica si collocano gli episodi significativi dal punto di vista politico e della trattativa, le scene di consiglio, i discorsi alle truppe, i sacrifici lustrali, la consegna dei prigionieri e gli inserti propagandistici, come le torture inflitte ai prigionieri romani, il suicidio dei capi dei Daci, la presentazione della testa di Decebalo.
Il rilievo della decorazione marmorea, contornato da un orlo irregolare e mosso, ad evocare la stoffa con cui erano realizzate le pitture trionfali, appare basso, pittorico, frequentemente contornato da un solco profondo, realizzato con il trapano, secondo una tecnica già in uso nell’arte ellenistica e tesa a sottolineare la forza delle figure che balzano fuori dallo sfondo. E quella che oggi appare ai nostri occhi un’elegante colonna in marmo bianco era, come sempre i monumenti antichi, coperta di abbondante policromia, sulla quale dovevano baluginare sotto il sole gli inserti di bronzo dorato posti qua e là fra le mani dei soldati, ad evocare lo splendore delle armi della formidabile macchina bellica romana.
Vivido, attento, solcato di rughe d’espressione intorno all’inconfondibile naso aquilino, il volto dell’imperatore è perfettamente riconoscibile in molti dei riquadri che il “Maestro delle imprese di Traiano” (così è conosciuto l’ignoto scultore a capo delle maestranze che realizzano il progetto, mentre l’ideatore della complessa decorazione è con ogni probabilità Apollodoro di Damasco) ci ha lasciato in questo fantastico nastro intarsiato in 19 blocchi di marmo pario: un’esaltazione cosciente, niente affatto sovrumana, insieme razionale e sentimentale, che trova spazio anche per la pietas verso la tragica sorte delle popolazioni barbariche, eroicamente soccombenti alla potenza di Roma.