LA DATA

13 gennaio 2012

Il 13 gennaio del 2012 accadde il naufragio della nave da crociera Costa Concordia, che costò la vita a 32 persone. La Concordia era salpata da poco da Civitavecchia, quando, alle 18,27, il comandante Francesco Schettino decise che ci sarebbe stato il passaggio ravvicinato, a sirene spiegate, vicino all’isola del Giglio, il cosiddetto “inchino”. Circa tre ore dopo, alle 21.45, la nave andò ad impattare sullo scoglio delle Scole, a poco più di un centinaio di metri dall’isola.

«Madonna ch’aggio cumbinato», fu la reazione di Schettino. L’impatto avvenne mentre la Concordia viaggiava a 16 nodi di velocità, una velocità alta in mare, che fu diminuita, ma ormai inutilmente, solo negli ultimi metri. Dalla scatola nera, poi emerse che nessuno si oppose alla manovra ravvicinata imposta da Schettino.

La prima crociera della Concordia si era svolta il 9 luglio del 2006; la nave, un vero e proprio gioiello tecnologico, vanto della compagnia italoamericana Costa Crociere, fu battezzata con un nome che rimandava all’unità e alla pace fra le nazioni europee; per questo i suoi tredici ponti furono intitolati ad altrettanti Stati del Vecchio Continente.

Nella funesta data del 13 gennaio, era partita da Civitavecchia per la crociera low cost “Il profumo degli agrumi” con direzione Savona, con 3.216 passeggeri a bordo e un equipaggio di 1.013 elementi, agli ordini del comandante Francesco Schettino, 52enne originario della penisola sorrentina.

La manovra dell’inchino è una prassi consolidata, anche se ufficialmente non riconosciuta, tra i comandanti delle navi da crociera, per salutare con luci e segnali acustici gli abitanti delle località costiere. La Concordia, durante il passaggio sottocosta, urta violentemente con la fiancata sinistra contro uno scoglio, subendo uno squarcio lungo 75 metri e largo due. Il boato allarma i passeggeri. Pochi istanti dopo, la motonave compie una sorta di testa coda e va ad incagliarsi a mezzo miglio dalla costa.

L’equipaggio cerca di mantenere la calma, comunicando ai crocieristi che è avvenuto un guasto tecnico, ma alle 22, mentre la nave cala nel buio più totale, questi ultimi iniziano a chiamare i parenti e viene così allertata la capitaneria di porto più vicina. Alle 22,26, il comandante ammette l’esistenza di «una via d’acqua», ma assicura che non ci sono morti e feriti da segnalare.

La capitaneria fa partire i soccorsi e, nel frattempo, a bordo, gli ufficiali, affidano il comando a Roberto Bosio, il quale dà il segnale di evacuazione immediata poco prima delle 23, con il prevedibile panico dei passeggeri, che prendono d’assalto le scialuppe. Nel caos, due turisti francesi e un marinaio precipitano in mare, morendo annegati e per assideramento.

Intorno alla mezzanotte, con la Concordia ormai riversa in acqua sul fianco destro, alcuni testimoni notano Schettino su uno scoglio vicino, mentre le operazioni di recupero dei passeggeri sono ancora in corso. Il sospetto che questi abbia abbandonato la nave per mettersi in salvo, spinge il comandante della capitaneria di porto di Livorno Gregorio De Falco, che lo raggiunge telefonicamente, a ingiungergli di risalire a bordo.

Le operazioni di salvataggio si concludono alle 4,46 del mattino, ma, purtroppo, all’appello mancano 27 persone, oltre alle tre vittime già accertate, portando il bilancio complessivo a 32 morti.

All’indomani del naufragio parte la caccia ai responsabili. Per Schettino scatta l’arresto, con le accuse di omicidio plurimo colposo, naufragio e abbandono di nave. Al vaglio degli inquirenti c’è la mancata segnalazione della richiesta di soccorso e il passaggio troppo ravvicinato alla costa del Giglio. Nel maggio 2017 la Corte di Cassazione conferma la sentenza che aveva precedentemente condannato il comandante a 16 anni di reclusione.

Difficili furono le operazioni di recupero dell’enorme relitto, iniziate il 29 maggio 2013 e giunte a una svolta nel settembre dello stesso anno con il completamento della rotazione. Triste il destino della nave dei sogni, che in molti hanno letto come allegoria del Bel Paese in crisi, per lungo tempo rovesciata in mare, divenendo parte dell’iconografia dell’isola, poi ingegnosamente risollevata, condotta a Genova e completamente smantellata.