DAILY LA DATA

19 settembre 305
Muore (e nasce) San Gennaro

C'è un momento preciso nella storia in cui nasce l'amore tra il santo e il suo popolo, una storia che ha dell'incredibile e solo la genialità partenopea poteva partorire: il patto tra San Gennaro e i napoletani

Scendendo da Spaccanapoli, all’ingresso del quartiere Forcella, appare l’immagine del patrono, alta più di 15 metri: «Santifico le persone del popolo come Caravaggio. Forse sembra blasfemo ma scelgo gente comune per dare il volto a Santi e Madonne, persone che conosco e mi hanno colpito. Il San Gennaro ritratto sul muro di Forcella è un mio amico, un operaio napoletano di 35 anni». Si tratta della magnifica opera dello street artist Jorit Agoch, inaugurata il 19 settembre 2015, giorno del miracolo dello scioglimento del sangue.

San Gennaro lo si ama anche da non credenti: «questo Santo umano a cui si può chiedere tutto senza temere giudizio o rimprovero», dice Roberto Saviano, perché Gennaro è uno di famiglia.

Ma chi era San Gennaro? Eletto vescovo di Benevento, dove svolse il suo apostolato nella seconda metà del III secolo, Gennaro era amato dalla comunità cristiana e rispettato anche dai pagani. Nel contesto delle persecuzioni di Diocleziano si inserisce la storia del suo martirio. Egli conosceva il diacono Sosso (o Sossio) che guidava la comunità cristiana di Miseno e che fu incarcerato dal giudice Dragonio, proconsole della Campania.  Saputo dell’arresto di Sosso, Gennaro volle recarsi insieme a due compagni, Festo e Desiderio, a portargli il suo conforto in carcere.

Dragonio fu informato della sua presenza e fece arrestare anche loro tre, provocando le proteste di Procolo, diacono di Pozzuoli, e di due fedeli cristiani della stessa città, Eutiche ed Acuzio. Anche questi tre furono arrestati, e condannati insieme agli altri a morire nell’anfiteatro ancora oggi esistente, sbranati dagli orsi. Ma durante i preparativi il proconsole Dragonio si accorse che il popolo dimostrava simpatia verso i prigionieri, e prevedendo disordini nel corso dei cosiddetti giochi, cambiò idea e il 19 settembre del 305 li fece decapitare. Una donna di nome Eusebia riuscì a raccogliere in due ampolle (i cosiddetti lacrimatoi) parte del sangue del vescovo e a conservarlo con molta venerazione, cosa comune per commemorare i Cristiani martirizzati.

C’è un momento preciso nella storia in cui nasce l’amore tra il santo e il suo popolo, una storia che ha dell’incredibile e solo la genialità partenopea poteva partorire: il patto tra San Gennaro e i napoletani.
Nel 1526 Napoli voleva liberarsi dal flagello della guerra, che aveva anche causato la peste, e da quello del Vesuvio che continuava a provocare terremoti. I napoletani promisero al santo che, in cambio della grazia, gli avrebbero costruito una nuova cappella, più grande di quella già esistente. E per sottolineare che la cappella non sarebbe stata né della Chiesa né dello Stato, ma di tutti i cittadini di Napoli, fecero un patto notarile ufficiale il 13 gennaio 1527, unico caso al mondo di contratto notarile tra un popolo e un’entità metafisica!

La grazia la ottennero, e nel tempo la cappella, grazie a un patrimonio di beni popolari ma anche al contributo di re, regine, papi e imperatori, arrivò a raccogliere un vero e proprio tesoro, il famoso Tesoro di San Gennaro, composto da più di ventunmila capolavori. E qui un altro colpo di genio partenopeo: la Cappella del Tesoro di San Gennaro non è sotto l’egida della curia napoletana, bensì di un gruppo di 12 laici che prende il nome di Eccellentissima Deputazione della Cappella del Tesoro di San Gennaro che, esclusivamente in nome e per conto del popolo napoletano, custodisce il culto del Patrono, il suo busto del 1300, le sue venerabili reliquie (sangue, mascella e cranio) nonché il tesoro. La Cappella del Tesoro è stata edificata nella navata destra del Duomo, cioè nel cuore dell’istituzione religiosa, a sottolineare uno straordinario atto di libertà e autonomia legittimato da ben 4 bolle papali. Ogni napoletano è proprietario in infinitesima parte del Tesoro.

Come già detto, il Tesoro di San Gennaro nasce dalle varie donazioni da parte di Regnanti, nobili, poveri, e per questo motivo nessuno si è mai permesso di toccarlo nemmeno per far fronte alle diverse carestie, pestilenze, eruzioni o terremoti, mai è stato toccato né fuso. Per capire esattamente che cosa significa per il napoletano il Tesoro, basta ricordare una delle storie più famose sul suo recupero dopo la Seconda Guerra Mondiale. Accadde nel 1947.

Durante la guerra fu deciso di portare il Tesoro a Monte Cassino, base tedesca, ma quando si seppe che l’omonima abbazia sarebbe stata bombardata, allora fu portato in Vaticano. Finita la guerra, nonostante le insistenze della Deputazione e della Curia, il Tesoro non veniva restituito. Allora si fece avanti don Giuseppe Navarra, detto ‘O rre ‘e Puceriale (Poggioreale), che si offrì gratis alla bisogna: «’O tesoro ‘o vaco a pigghià je stesso». In Curia si fidano. Accompagnato dal capo della Deputazione e da un autista, don Peppino monta su una Fiat 22 e, munito di speciale salvacondotto, sparisce.

Della spedizione non si hanno più notizie per giorni. Napoli è in angoscia. Finché una notte l’auto non ricompare davanti al Duomo. Con perfetta naturalezza Navarra riconsegna i preziosi dentro cassette sigillate. Per riportarli indietro ha dribblato piogge torrenziali, fiumi esondati, posti di blocco dei carabinieri. Il cardinale fa per allungargli un centone, ma ‘O rre rifiuta, chiede solo di baciargli l’anello. Secondo altre fonti, invece, accetta il denaro ma per devolverlo ai bisognosi. In ogni caso diventa un eroe popolare. Alla fine degli anni Cinquanta finì in carcere per debiti fiscali, a Poggioreale. Ne sarebbe uscito dopo meno di due settimane. Per grazia ricevuta, ma non da San Gennaro: dal presidente della Repubblica Luigi Einaudi.

«San Gennà, pensaci tu»: dalla guarigione da una malattia a una vincita al lotto, a San Gennaro si può chiedere di tutto, come a un amico di famiglia, da disturbare nei momenti di bisogno. Massimo Troisi e Lello Arena ne fecero uno sketch rimasto memorabile nella storia del teatro e della televisione, nel quale entrambi cercavano di avere l’attenzione del santo per qualche grazia da ricevere, pretendendo diritto di prelazione in quanto già “clienti”. Ed è proprio questo il tipo di rapporto che i napoletani, credenti e no, hanno con San Gennaro. Un rapporto fisico, quasi carnale.

Del Santo esiste anche una versione 2.0: EvvivaSANGENNARO è la prima applicazione per iPad, iPhone e iPod Touch che consente agli oltre 25 milioni di devoti di accendere una candela direttamente nella Cappella del Tesoro di San Gennaro a Napoli. Chiedete una grazia, provare per credere…