2068 anni fa, nella notte tra il 10 e l’11 gennaio del 49. a. C. Giulio Cesare attraversò il Rubicone, il fiume che tracciava il confine tra la Gallia Cisalpina e il territorio di Roma. Poco più di un torrente, lungo meno di 100 chilometri, che difficilmente sarebbe potuto diventare famoso altrimenti, questo corso d’acqua è invece conosciuto da sempre in molti Paesi del mondo, grazie al modo di dire, tradotto in più lingue, “attraversare il Rubicone”. Vale a dire, “prendere una decisione importante, definitiva, irrevocabile”, “operare una scelta senza ritorno”.
È quella che fece il futuro dittatore – sancita dalla celeberrima frase «alea iacta est» (il dado è tratto) – quando alla testa di 5 mila uomini e 300 cavalieri, marciò contro Roma, armato e pronto all’attacco. Cesare, infatti, si era fermato sul Rubicone di ritorno dalla vittoriosa campagna militare in Gallia, poiché per ragioni di sicurezza, oltre quel confine non si poteva proseguire armati. Ai senatori, che preoccupati per la forza e la fama del condottiero, gli ordinarono di rinunciare ai poteri acquisiti e di sciogliere l’esercito, rispose con la nota decisione, che avrebbe cambiato il corso della storia.
Stava per iniziare il periodo della dittatura di Cesare, dopo la battaglia di Farsalo e la sconfitta di Pompeo, intorno al quale il Senato si era stretto nell’estremo tentativo di difendere la repubblica. Appena cinque anni, e sarebbero arrivate, nel 44 a.C., le Idi di marzo (il 15 di quel mese), diventate esse stesse un modo di dire, a indicare che un dato evento o una particolare decisione hanno segnato la fine di chi è oggetto della metafora.