Si stima che tra il 1600 e il 1700, nel periodo del massimo splendore della musica barocca e di diffusione del Bel Canto, in Italia si castrassero circa 4.000 bambini l’anno.
Nel 1588 papa Sisto V vietò l’utilizzo delle cantanti donne nei cori liturgici. Le acute voci femminili vennero sostituite così da “voci bianche” protratte nel tempo, ottenute cioè dalla mutilazione sessuale che permetteva di mantenere il timbro della voce di un bambino ma con la potenza e l’ampiezza sviluppata da un corpo adulto.
Nel 1589 la chiesa cattolica ammette la presenza dei castrati nel coro di San Pietro, determinando di fatto l’accettazione di una pratica che rimarrà in voga fino alla fine del Settecento.
Il divieto all’utilizzo delle donne si applicò anche in campo operistico rendendo i cantanti castrati delle vere e proprie stelle internazionali, non solo per una morbosa curiosità ma soprattutto per le grandissime ed inusuali capacità vocali, identificando tali cantanti come massima espressione del Bel Canto.
Nel 1861, con l’Unità d’Italia, la castrazione venne dichiarata ufficialmente illegale, nel 1878 papa Leone X proibì l’ingaggio di cantanti castrati nei cori della Chiesa.
Solo nel 1903 Pio X firmò la fine ufficiale della pratica: «Se dunque vogliamo adoperare le voci acute dei soprani e contralti, queste dovranno essere sostenute dai fanciulli, secondo l’uso antichissimo della Chiesa».