IL NUMERO

68

È scomparso all’età di 68 anni il cantautore bolognese Claudio Lolli, uno dei più importanti artisti della scena musicale italiana degli anni Settanta, quella dei cosiddetti “cantautori di seconda generazione”. Il suo debutto, alla celebre Osteria delle Dame a Bologna, fucina della musica impegnata, ha avuto un padrino d’eccezione, Francesco Guccini.

Nato nel capoluogo emiliano il 28 marzo del 1950, Lolli è stato definito dalla critica il simbolo della canzone politica post ’68, quella che metteva in musica l’insoddisfazione e la malinconia del vivere quotidiano. Il suo esordio, è stato nel 1972 con l’album Aspettando Godot, in cui emergevano molti dei temi che avrebbero accompagnato la sua lunga produzione: l’impegno politico, il disagio esistenziale, la malinconia della quotidianità, la critica alla famiglia e alle istituzioni “tradizionali”, l’anticlericalismo e la ricerca affannosa del senso della vita.

Antimilitarista, immerso nel dibattito ideologico e sociale, con il secondo album, Un uomo in crisi – che contiene anche un brano dedicato a Antonio Gramsci, Quello lì (compagno Gramsci) – divenne il cantautore più trasmesso dalle “radio libere”, che dal 1976 avevano cominciato a proliferare con successo su tutto il territorio italiano e che stavano cambiando il volto della radio tradizionale.

Dopo l’album Ho visto anche gli zingari volare, del 1976, unanimemente considerato il suo capolavoro, la scelta di pubblicare il successivo Disoccupate le strade dei sogni con una casa discografica indipendente, nonché l’avversione per la pubblicità e la promozione dei propri dischi, decretarono la “caduta in disgrazia” del cantautore. Fino almeno agli anni Novanta, quando tornò ad avere successo con LP quali Nove pezzi facili (antologia di inediti, nuove versioni di vecchi brani e canzoni in versione originale), Intermittenze del cuore e Viaggio in Italia.

A marzo dello scorso anno, ha pubblicato l’album Il grande freddo, grazie a un crowdfunding lanciato via web. L’ultimo e straordinario lavoro che gli è valsa la Targa Tenco nella categoria “Miglior disco dell’anno in assoluto”.

Professore di liceo in pensione (Italiano e Storia allo scientifico “Leonardo da Vinci” di Casalecchio di Reno), cantante libero e senza compromessi, diceva di sé: «Ho ricevuto molte critiche, ho fatto la figura, come si direbbe oggi, del coglione. Ho parlato di politica, della sofferenza dell’adolescenza. Forse sono stato brutale e malinconico, ma non triste. Un cliché, questo, che mi ha perseguitato per anni. Poi è arrivato quello del cantautore politico, la voce di Autonomia operaia. Ma mi sono difeso continuando a scrivere».