LA DATA

8 novembre 63 a. C.

«Quo usque tandem abutēre, Catilina, patientra nostra?». «Fino a quando abuserai, o Catilina, della nostra pazienza?». È il celeberrimo incipit ex abrupto della prima Orazione contro Catilina, che Marco Tullio Cicerone pronunciò davanti al Senato romano, l’8 novembre del 63 a.C.

Seguirono altre tre Catilinarie, scritte dall’oratore tra il novembre e il dicembre di quell’anno, contro Lucio Sergio Catilina, il senatore romano che ha legato il suo nome alla congiura con la quale tentò di sovvertire la repubblica romana e il potere oligarchico del senato.

L’apostrofe di Cicerone fu l’inizio della fine per Catilina, che proprio la notte precedente aveva assoldato due sicari, Gaio Cornelio e Lucio Vargunteio, per far uccidere Cicerone nella sua stessa casa.

I piani di Catilina di ottenere con le armi il potere che non era riuscito a conquistare con le vie legali erano arrivate all’orecchio di Cicerone, grazie alle rivelazioni di Fulvia, amante di uno dei congiurati, Quinto Curio Rufo. Era stato lui stesso a raccontare per per filo e per segno il piano della congiura alla donna, che lo aveva riferito a Cicerone.

Tuttavia furono le lettere anonime ricevute da Cicerone alcuni giorni dopo a convincerlo di quanto stava per accadere e che era in pericolo la sua stessa vita. Così, dopo aver mostrato le lettere in Senato, smascherò le manovre di Catilina, che intendeva marciare su Roma e occuparla, lanciando la celebre e violenta invettiva che la accusava di tradimento e cospirazione.
La storia racconta come è andata a finire, con Catilina che trovò la morte il 5 gennaio del 62 a.C., in una battaglia nei pressi dell’odierna Pistoia.

A prescindere dalla ricostruzione storica e dal fatto che la congiura di Catilina sia uno degli eventi più famosi, discussi e controversi degli ultimi decenni della Repubblica Romana, senza entrare nei meriti e nei demeriti dei due protagonisti che sono stati abbondantemente oggetto di studio di illustri storici del passato e del presente, le Catilinarie rappresentano indubbiamente l’esempio più brillante di quell’ars oratoria che ha reso celebre Cicerone. Celebre e anche odiato da tutti gli studenti dei licei che si sono trovati costretti a tradurle.

Tanto famose che l’incipit della prima viene utilizzato anche nel linguaggio comune, per lo più nella forma abbreviata quo usque tandem…, per ricordare all’interlocutore di non continuare ad abusare della pazienza, dell’indulgenza o della buona educazione di chi in quel momento sta parlando e si rivolge a lui invitandolo a cambiare atteggiamento.

Ancora oggi ci sono cultori della lingua latina, studiosi, scrittori che si interrogano se la prima delle Catilinarie, quella di maggiore impatto emotivo per i contenuti e il modo del tutto fuori dagli schemi con cui fu pronunciata dal suo autore, sia il frutto delle regole della retorica applicate a sommo studio. Oppure se Cicerone l’abbia scritta e declamata sull’onda dell’emotività per quello che era appena successo a lui e quello che stava per accadere alla città.

Lo scrittore inglese Richard Harris, che ha dedicato una trilogia alla storia dell’antica Roma e al personaggio di Cicerone, propende, ad esempio, per la seconda ipotesi e lo racconta nel suo libro Conspirata, precisando che Cicerone aveva già tutto in testa, doveva solo parlare, secondo il principio di Catone rem tene, verba sequentur.