DAILY LA PAROLA

Brusta

La storia della brusta, che se non ci fosse, non ci sarebbe nemmeno la bruschetta

Attizziamo la brusta e non lasciamola spegnere nel cimitero nella parole perdute a cui pare destinata. Da quando l’uomo ha scoperto il fuoco e ha imparato a cuocere le carni, quel calore silenzioso, immerso nella cenere, ha nutrito e salvato da infezioni interi popoli e ha anche riscaldato stanze e letti gelidi.

Oggi è perfino difficile trovare nei dizionari qualcosa che ci dia conto del significato del termine. Il rimando è quasi sempre al sinonimo brace, sostantivo che indica un «fuoco senza fiamma prodotto dalla lenta combustione di legname grosso o di carbone». Ed è questo in effetti ciò che per anni è stato classificato come brusta e che oggi, nel lessico corrente, sopravvive stento nelle colazioni di campagna a base di pane abbrustolito e nelle sagre paesane dove spesso non manca il banchetto della bruschetta, ovvero pane, olio buono, aglio e sale. Ma bastano pochi chilometri verso la città e il pane non è più abbrustolito ma ormai tostato e la bruschetta non fa certo parte delle rigorose diete post natalizie.

Pare che la vecchia brusta sia giunta da lontano. Qualcuno fa riferimento addirittura al termine sanscrito prush (brace accesa) da cui poi l’albanese brusc e via via, per contaminazioni successive, fino al tedesco brunst che anche oggi significa calore. Indubbiamente molta fantasia e parecchia improvvisazione. Sembrano invece più attendibili i riferimenti al latino perusta, participio passato del verbo per-urere, ovvero bruciare.

Se l’etimologia della brusta resta comunque incerta, del vecchio sostantivo non si sono dimenticati gli esercenti di ristoranti e trattorie tipiche, specialmente nei luoghi dove la brusta si è usata a lungo specialmente nella rigide serate invernali quando una buona dormita ristoratrice veniva conciliata dal prete a cui si attaccava uno scaldino pieno proprio di brusta. Alt: i più giovani non liberino la fantasia! Nessun sacerdote si usava per addolcire il ghiaccio sotto lenzuola. Semplicemente col termine prete (in Veneto era prevalente l’uso suora) i nostri nonni identificavano un aggeggio di legno, concepito per realizzare uno spazio vuoto sotto le coperte e per mantenere agganciato un recipiente pieno di brusta.

Così, per esempio, sul monte Amiata esiste anche oggi un’ottima “Brusta-breceria” dove viene offerta la tipica cucina di una volta. Un caso dei tanti. Nel mio paese, ad esempio, un abile artigiano ha addirittura realizzato un grosso braciere che può contenere un bel po’ di brusta e quindi consentire di cuocere alla griglia parecchia carne per volta. Il bracierone di Marcello Ghizzani è di casa in tantissime feste dove, usato gratuitamente, continua a far la fortuna dei bilanci di molte associazioni di volontari. Ovviamente utilizzando quell’ingegnoso aggeggio, vengono organizzati moderne grigliate e anglofoni barbecue. Tutti mangiano e bevono contenti e nessuno si ricorda e magari ringrazia la vecchia, utilissima brusta confinata ormai nei meandri della storia del linguaggio.

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