DAILY LA PAROLA

Capitone

Capitone (ma anche capitano), tra Olindo Guerrini, Pellegrino Artusi e Nicola Zingaretti. Storia semiseria di cucina e politica

Dopo aver letto su TESSERE le belle parole di Clelia Pettini sull’etimo – e pure sul senso – del sostantivo capitano, non possiamo esimerci da non affrontare l’affaire capitone. Per comprendere il soprannome del ministro Salvini – in omaggio alla beffarda invenzione di Luca Bottura – ci rifacciamo a un nostro conterraneo (nostro e naturalmente di Luca) che su questi tempi confusi che viviamo, pieni di epigoni mussoliniani che terrorizzano i bambini e confortano gli sprovveduti, avrebbe certamente trovato le parole di scherno più adatte: Olindo Guerrini.

Era infatti un poeta. Un poeta, uno scrittore, ma anche un bibliofilo. Soprattutto era un grande appassionato di cucina. Viveva a Sant’Alberto, pura palude romagnola/ravennate, luogo desolato con un campanile al centro, dove era nato nel 1845 (quattro anni prima che vi andasse a morire per gli stenti la povera Anita Garibaldi inseguita, insieme al marito Giuseppe, dalle feroci truppe austriache) e nella vita fu soprattutto un onesto bibliotecario con la passione per la scrittura. Si firmava nei modi più strani, nomi che lo resero famoso: Lorenzo Stecchetti è il più noto, ma anche Argia Sbolenfi, Marco Balossardi, Giovanni Dareni, Pulinera, Bepi, Mercutio.

Amico ed estimatore di Pellegrino Artusi, gli spediva ricette per contribuire alla realizzazione della sua monumentale opera La scienza in cucina e l’arte di mangiare bene grazie alle quali ebbe anche lui modo di elaborare un libro L’Arte di utilizzare gli avanzi che gli rese (dopo una solida fama di poeta e giornalista) una certa notorietà tra le massaie. Scrive il nostro all’Artusi: «Eccole dunque, come le avevo promesso, alcune ricette per ricucinare quello scellerato lesso che è il castigo delle tavole modeste per la indispensabile, quanto frequente e monotona, sua apparizione. Le ho raccolte qua e là nella mia copiosa biblioteca culinaria, ma non le ho provate…Vuol ella a suo comodo occuparsene?»Naturalmente gli spedisce di tutto: alchemiche formule per fare le polpette e altre per riciclare le bucce dei piselli, suggerimenti per la zuppa di visciole (amarene selvatiche) e consigli per come fare il famoso Capitone. «È mai stato in valle? Bisognava vedere [alcuni anni fa] Caldirolo – scrive – il centro della pesca, quell’enorme casone rossastro, solitario nella malinconia della laguna lucida, silenzioso tra i voli dei gabbiani crocidanti come un convento di trappisti separato per sempre dal consorzio umano… Mi creda… il cefalo e l’anguilla come a Codirolo non ne ho mangiato più e certo non ne mangerò più…».Consigliava all’amico forlimpopolese poi fiorentino d’elezione di tagliare il Capitone a rocchi, infilarlo nello spiedo con una foglia di alloro tra un pezzo e l’altro e cucinarlo in bianco (cioè a fuoco moderato) ma «con una bella vampata di fuoco ardente per fare la crosticella croccante».

Ora Guerrini alias Stecchetti, forzando e forzando, potrebbe far rima con Zingaretti. Metti allora che il capo dell’opposizione – siamo sempre in periodo di Feste dell’Unità – si illumini su questi esempi ed elabori (finalmente) una strategia politica per rimettere il Capitone sulla griglia. Politicamente parlando tagliarlo a rocchi potrebbe essere metaforicamente tradotto in farlo a pezzi. Ma come? Infilandogli un po’ di alloro – dove non si può dire – e cucinandolo in bianco, cioè a fuoco lento, casomai chiedendone le dimissioni immediate in Parlamento senza dimenticare «la bella vampata di fuoco ardente per fare la crosticella croccante», che potrebbe tradursi in una grande manifestazione in piazza. E i Russi? Ma i Russi nemmeno sanno cosa sia un Capitone. Adorano l’Italia e le sue ricette. Appena l’assaggiano sicuro come il Natale che l’apprezzerebbero… e ne chiederebbero il bis.