DAILY LA PAROLA

Ciao

"Ciao", la parola italiana più usata e conosciuta al mondo, seconda forse solo a "pizza" ha un'origine curiosa: da "schiavo", a sua volta derivato dal latino medievale "slavu(m)"

Ogni giorno diciamo ai nostri amici e conoscenti che siamo felici di essere i loro schiavi. Però non ci facciamo caso. Eppure la parola ciao in italiano (e, da qualche decennio, in parecchie altre lingue) è una delle più pronunciate, dalla mattina alla sera. Ebbene, il nostro ciao nasce dall’antico dialetto veneto s’ciao, che deriva a sua volta da schiavo. Come se, salutando un amico, dicessimo, appunto, «Sono tuo schiavo». Quel termine, un tempo sinonimo di oppressione, è diventato un saluto ormai internazionale, sinonimo di amicizia. Chi l’avrebbe mai detto?

La storia di questa parola e del suo successo planetario (assieme a pizza è probabilmente il termine tricolore più usato nel mondo) è interessante. Partiamo da schiavo: deriva dal latino medioevale sclavu(m), cioè slavo. Parola che viene a sua volta dal greco bizantino Σκλάβος (Sklabos, slavo). Poi diventò il termine che definisce un «individuo di condizione non libera, giuridicamente considerato come proprietà privata e quindi privo di ogni diritto umano e completamente soggetto alla volontà e all’arbitrio del legittimo proprietario», visto che nel Medioevo il “commercio” di slavi catturati era molto diffuso.

Nel 1936 Angelo Pernice scrisse sull’Enciclopedia italiana Treccani che, col nome schiavoni, «gl’Italiani chiamarono gli slavi e con quello di Schiavonia il paese da loro abitato e specialmente la regione di là dall’Adriatico. Il nome deriva dal latino Sclavi, che fu quello col quale si indicarono gli Slavi sin dal loro primo apparire nell’Illiria e nella Dalmazia nel sec. VI d. C. (cfr. Greg. Magno, Ep.; Paolo Diacono, Hist. Lang., IV, 7, 10; Fredegario, Chron., IV, 48), onde anche Schiavi. Sotto questa forma si trova in Dante (Purg., XXX, 87). Sotto la prima forma in “Riva degli Schiavoni” a Venezia e nell’attributo di schiavonico e schiavonesco che hanno alcuni luoghi del Friuli e dell’Istria che sono stati stazioni di Slavi». Gli Schiavoni, tra l’altro,costituirono anche le truppe speciali della Repubblica di Venezia, soprattutto tra XVII e XVIII secolo; e ci sono ancora località con quel nome.

Dal veneziano s’ciavo si passò a s’ciao. L’espressione “schiavo vostro” o “servo vostro” si trova, tra l’altro, nelle commedie di Goldoni (1707-1793) e nella formula germanica di cortesia servus, che significa la stessa cosa. A quei tempi però era tutt’altro che il saluto confidenziale dei giorni nostri. All’inizio esprimeva molto più rispetto (ai limiti della sottomissione) in cofronto ai nostri attuali “buongiorno” e “buonasera”, tanto che, a quanto pare, nel Settecento veniva utilizzato soprattutto dalla servitù quando si rivolgeva ai padroni di casa. I veneziani furono i primi a usare s’ciao anche come saluto informale.

Qualcuno ha pure deciso che la parola ciao in italiano ha compiuto due secoli nel 2018, visto che la sua prima attestazione scritta risalirebbe al 1818, quando in una lettera la contessa veronese Giovanna Maffei riferì al marito i saluti del figlio ancora bambino: «Peppi à appreso a dire il tuo nome, e mi disse di dir ciao». A partire dall’Ottocento fuori dal Veneto s’ciao perse definitivamente la “s”, affermandosi soprattutto in Lombardia, poi nel resto d’Italia.
Probabilmente la sua diffusione in tutto il mondo c’è stata a meta del Novecento, grazie a una canzone: il 31 gennaio 1959 Domenico Modugno, al festival di San Remo, cantò Piove, il cui ritornello – “Ciao ciao bambina” – fece il giro del pianeta e diventò il il nuovo titolo. Prima ancora, però, il termine fu esaltato dal più celebre canzone partigiana italiana, Bella ciao, diventata celebre nel Dopoguerra e che negli ultimi anni viene spesso cantata in ogni corteo anche all’estero. Di certo, la parola è diventata un marchio italiano, dando pure il nome a un celebre motorino della Piaggio prodotto a partire dal 1967.

Negli ultimi anni il termine ha subito nuove metamorfosi: dal “cià-cià-cià” che si sente dire al termine di frettolose telefonate col cellulare, fino a Ciaone (qui, su TESSERE). Quest’ultima variante – Ciaone – merita un approfondimento. Ha spopolato nel linguaggio politico dal 2016, quando in aprile il deputato del Pd Ernesto Carbone la scrisse su Twitter in occasione del referendum sulle trivellazioni in mare: «Prima dicevano quorum. Poi il 40. Poi il 35. Adesso, per loro, l’importante è partecipare #ciaone». Sui social circolava da tempo. Prima ancora la cantante Emma Marrone aveva usato la parola in tv nel 2014, mimandola, durante la trasmissione Amici. Inoltre nel film Confusi e felici di Massimiliano Bruno (2014) la coppia protagonista si rivolge allo psicologo Claudio Bisio per porre fine ai suoi inconvenienti sessuali: Caterina Guzzanti pronuncia allora la frase «So’ du anni che c’ha lasciato, c’ha fatto proprio ciaone, ciaone proprio», riferendosi alla passività del pisello del partner.

Quando ciaone fu introdotto nel dizionario dei neologismi di Treccani, la linguista Valeria Della Valle spiegò così la scelta: «È un accrescitivo di ciao ed è usato a fini scherzosi, in particolare tra i giovani, nel cinema, nella musica. Nel dizionario dei neologismi inseriamo quelle parole che prendono piede sui mass media e sicuramente ciaone ormai è a pieno diritto tra queste». Insomma, la parola nata dal slavu(m), dopo una vita avventurosa, sembra avere ancora molte sorprese da riservarci. In attesa di scoprirlo… ciao a tutti!

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