IL PERSONAGGIO

Clarice Lispector, la donna incaricata di occuparsi delle cose del mondo

Clarice la si legge tutta insieme o davanti all’urgenza, aprendo a caso le pagine. Ogni parola è calibrata per rendere fisica la lettura, nella sua chirurgica necessità di descrivere le sensazioni, nella ricerca ossessiva di una missione da compiere. Compito non facile, per il lettore misurarsi, con questa lettura che richiede simbiosi. Tanto faticoso correre quanto naturale la corsa.

«Tu ti domanderai perché mi occupo del mondo. È che sono nata con questo incarico. Da bambina mi sono occupata di una fila di formiche […] adesso non trovo nessuna formica da guardare […] occuparsi del mondo esige molta pazienza: dovrò aspettare il giorno in cui mi apparirà una formica» (Acqua Viva, Sellerio 1997).

Clarisse Lispector è nata il 10 dicembre 1920 in una famiglia ebrea russa costretta ad emigrare in Brasile a causa della persecuzione degli ebrei durante la Guerra civile. La scrittrice dirà di non avere alcun legame con l’Ucraina: «Su quella terra non ho letteralmente mai messo piede: mi hanno portata in braccio».

Il suo stile va oltre qualsiasi tentativo di definizione, la sua scrittura respira, non ha paura delle parole «La mia ispirazione non viene dal soprannaturale, ma dall’elaborazione incosciente, che affiora in superficie come una specie di rivelazione. Inoltre, non scrivo per compiacere qualcuno» le sue parole arrivano come águas-vivas (“meduse” in italiano), o ci bruciano o ci seducono.

«[…] percepivo un primo rumore come quello di un cuore che batte sotto terra. Posavo quietamente l’orecchio contro il suolo e ascoltavo l’estate farsi strada lì dentro e il mio cuore sotto terra […] e sentivo la paziente brutalità con cui la terra chiusa si apriva dentro in parto, e sapevo con quale peso di dolcezza l’estate maturava centomila arance e sapevo che le arance erano mie. Perché io volevo» (Acqua Viva, cit.).

Ha studiato Giurisprudenza e si è sposata nel 1943 con Maury Valente, diplomatico, con il quale ha vissuto fuori dal Brasile, tra il 1944 e 1960, a Napoli, Berna e negli Stati Uniti; ha avuto due figli, si è separata dal marito nel 1959 ed è rientrata in Brasile: ha tradotto in Portoghese Oscar Wilde, Edgar Allan Poe, Jack London, Bella Chagall, Agatha Christie, John Farris, Anne Rice; sono state traduzioni fatte per sopravvivere. Ha scritto anche per diversi periodici, giacché per tutta la sua vita ha mantenuto il contatto stretto con la stampa che era iniziato nel 1941. È morta di cancro a Rio de Janeiro nel 1977, il 9 dicembre per l’esattezza.

I suoi personaggi sono oggetti contundenti, nei quali Clarice sta dentro e fuori, guarda ed è guardata: assenti di passato ma colmi di presente e nuda vita. Si immerge nella pericolosa manipolazione della materia esistenziale, quella cosa profonda di cui non si riesce a parlare e che neppure si riesce a pensare in forma compiuta, ma sappiamo esistere. Rovista e fruga tra le parole mancanti cui dare forma fisica, colore, suono in una perpetua sperimentazione linguistica in cui possiamo rintracciare la Molly Bloom di Joyce ma anche la dissoluzione delle parole operata da Beckett.

«Dammi la mano: ora ti racconterò come sono entrata nell’inespressivo che è sempre stato la mia ricerca cieca e segreta. Come sono entrata in quello che esiste tra il numero uno e il numero due, come ho visto la linea di mistero e di fuoco e che è la linea clandestina. Tra due note musicali esiste una nota, tra due fatti esiste un fatto, tra due granelli di sabbia per quanto uniti esiste un intervallo di spazio, esiste un sentire che sta in mezzo al sentire – negli interstizi della materia primordiale passa la linea di mistero e di fuoco che è il respiro del mondo, e il respiro continuo del mondo è ciò che noi udiamo e chiamiamo silenzio» (La passione secondo G.H., Feltrinelli 1991)

Clarice Lispector è stata una colonna portante della cultura brasiliana del ‘900. Aveva gli occhi verdi e difficoltà a pronunciare le r.

«Sono nata per amare gli altri, sono nata per scrivere e per crescere i miei figli. Amare gli altri è così vasto che include il perdonare me stessa, con ciò che avanza. Amare gli altri è l’unica salvezza individuale che io conosca: nessuno è perduto se dà amore e a volte riceve in cambio amore».

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