ATTUALITÀ STORIE

I “fornitori” dell’Olocausto

Le ferrovie olandesi (NS) hanno deciso di risarcire chi, per colpa loro, è stato mandato al campo di transito nazista di Westerbork e da lì verso i luoghi di stermino. Ma le NS non sono gli unici "fornitori" del genocidio, sono solo quello che ha pagato più tardi

Per evitare un pesante giudizio della magistratura le ferrovie olandesi (NS), e dopo aver rifiutato per quindici anni di rifondere i sopravvissuti e gli eredi delle vittime, hanno deciso di risarcire chi, per loro colpa, è stato mandato al campo di transito nazista di Westerbork, nel nord dei Paesi Bassi, e da lì verso i luoghi di stermino. Furono in 110 mila gli olandesi ebrei, rom e sinti rastrellati e spediti via carri bestiame verso l’Olocausto. Solo 5 mila tornarono e meno di 500 furono i sopravvissuti. La vicenda, sin qui inedita, è stata raccontata da Maria Luisa Vincenzoni su Strisciarossa con una serie di dettagli impressionanti, sia sulla protervia della direzione delle ferrovie olandesi, e sia sulla tenacia di uno dei sopravvissuti – Salomon Barend Mulkler, 83 anni, figlio di ebrei olandesi uccisi ad Auschwitz – che si era battuto per anni al fine di ottenere una (relativa ma assai simbolica) giustizia.

La decisione delle NS è arrivata poche settimane fa, quando il procedimento civile era oramai agli sgoccioli e sarebbe stata inevitabile una condanna delle ferrovie olandesi che, a questo punto, si sono frettolosamente rimangiate il vecchio rifiuto e hanno accettato di risarcire, anche per tutelare l’azienda con un gesto, costoso certo ma che le restituisce un minimo di credibilità. Secondo calcoli ancora sommari, i sopravvissuti riceveranno qualcosa come 15 mila euro, mentre agli eredi di chi è morto nei campi di sterminio andranno tra i 7.500 e i 5 mila euro.

Le somme saranno anche minime rispetto al danno e al dramma umano, ma comunque è un gesto che ha precedenti (i giudici olandesi si preparavano a vantarli) nel senso che i “fornitori” dell’Olocausto e di tutti i genocidi, anche quelli in atto, devono risarcire individualmente le vittime e le generazioni superstiti. Ma in questo caso il fatto nuovo consiste nel pauroso lasso di tempo intercorso tra la fornitura dei treni e la rassegnata decisione delle NS di risarcire pur di evitare una condanna probabilmente più severa.

Sino ad ora le grandi compagnie tedesche, austriache, statunitensi e svizzere che erano state tra i fornitori del genocidio (dai gas per le camere della morte ai medicinali-killer, ai mezzi di trasporto, ai cibi per le truppe naziste) avevano seguito la linea delle pubbliche scuse – anche NS aveva creduto di cavarsela così – ma anche di un fondo di “riparazione” per vittime e sopravvissuti: quel che le ferrovie olandesi avevano pervicacemente rifiutato sino a ieri. Nel 2000, ad esempio, il colosso svizzero Nestlè (che nel 1939 aveva finanziato il partito nazista e approvvigionava di cioccolata la Wehrmacht) pagò 15 milioni e mezzo di dollari per i sopravvissuti (ebrei, sinti, rom, omosessuali) che avevano lavorato come schiavi nelle sue fabbriche.

La lista dei fornitori è ben più lunga. Hugo Boss era una delle numerose compagnie che produceva le divise delle SS. Pagò anch’essa. A metà degli anni Novanta si scusarono anche alcune aziende chimiche e farmaceutiche. Dopo la fine della guerra Bruno Tesch e Karl Weinbacher, della ditta chimica Tesch & Stabenow, furono messi sotto processo davanti a una corte marziale britannica e condannati a morte per aver fornito ai nazisti il gas pesticida Zyklon B da usare per uccidere i deportati. Gerhard Peters, che aveva lavorato come ufficiale operativo della società commerciale Degesch fece invece due anni di carcere.

Salomon (Salo) Muller ha per anni instancabilmente insistito per un risarcimento individuale, che restituisse un nome alle vittime e ricostruito il vantaggio tratto dallo sterminio, decidendo di cominciare da un vagone ferroviario simbolico: quello in cui furono spinti sua madre Lena Blitz e suo padre Louis Muller, entrambi impiegati in una compagnia tessile. Lena, lasciando Solomon bambino all’asilo, quel giorno gli aveva detto «A stasera, ma fai il buono intanto». Poco dopo, assieme al marito, sarebbe salita su uno dei treni per il campo di concentramento. Salo Muller l’ha sempre immaginata in quel viaggio verso Auschwitz, preceduto da una tratta su un treno olandese. Il bambino venne nascosto in otto diverse abitazioni. Finita la guerra e lasciato il liceo, studiò da fisioterapista. Venne notato dall’assistente dell’Ajax e divenne non solo un esperto di movimento e riabilitazione, ma anche un coach nella comunicazione.

Muller non parlò per molti anni della guerra e dello sterminio, neppure in famiglia, neppure con la moglie i cui genitori erano a loro volta stati uccisi nel campo di sterminio di Sobibor. Ruppe il silenzio quando gli chiesero di raccontare le sue memorie in un film. In un primo momento rifiutò, poi iniziò a parlare. Fu allora che decise che qualcuno doveva pur iniziare a pagare per quell’ultimo viaggio di Lena e di altre 110 mila persone. Quando il portavoce delle ferrovie ha dato l’annuncio del risarcimento individuale, Salomon si è commosso. Aveva vinto.
Chi non ha vinto (e non solo per il tardivo monte-risarcimenti) sono le ferrovie dei Paesi Bassi. Cara costò a NS l’operazione del trasporto delle vittime. Vero è che l’azienda incassò al momento l’equivalente di 2 milioni e mezzo di oggi, ma per aiutare i nazisti NS realizzò addirittura un ramo ferroviario apposito che portava dalla linea Mappel-Groningen fino a Westerbork, e grazie a questo ramo passarono le centinaia di vagoni e dozzine di locomotive. Ma la compagnia subì più perdite che guadagni essendo diventata subito un obiettivo per le azioni di sabotaggio della resistenza olandese e per i bombardamenti degli alleati. Nel 1945 la maggior parte dei ponti ferrovieri era distrutta e così pure in larga misura i treni.