Sono comunista ma zen. E lo dice con una sorta di orgoglio, frutto di un lungo percorso verso una serenità “politica”, partito dalla ribellione e dal radicalismo naif che appartiene a tutti quelli che hanno un sogno rivoluzionario. Tonino Guerra era così: al traguardo dei novant’anni e di tanti ancora da mettere a frutto, se ne è uscito con il suo «Sono un comunista zen» alla vigilia del conferimento del titolo di “tutore” del paesaggio e della bellezza. Un riconoscimento per la sua propensione a dare suggerimenti ai fini del bene comune, una vera rarità in questo medioevo umanoide.
Un suono prima che un’idea che gli è piaciuta moltissimo per raccontarsi, una specie di “pin” da applicare sulla propria giacca. Certo, in questo, di mondo, non ci sarebbe tanto spazio per la ricerca, per la stupefazione, per l’attitudine fanciullesca di considerare una esistenza, anche la propria, per quello che è: un’occasione. Un’occasione per ascoltare, prima di tutto chi non la pensa come te, cercando di convincere senza strumentalità e offrendo punti di possibile incontro. Senza volgarità.
Un’occasione per meravigliarsi dell’altrui intelligenza. Un’occasione per mettersi a disposizione di un pensiero lungo che possa porre le basi per una famiglia, un quartiere, un paese ed un intorno migliori, costruendo giorno per giorno mattoni di tolleranza, inclusione, apertura ad altre storie.
Comunismo zen, appunto. Che significa rispettare le regole di base e le grandi aspirazioni, garantendo l’accesso al sapere e al bene comune, sostenendo chi ha poco o niente, praticando le desuete aspirazioni alla libertà ed alla laicità. Aggiungendo ad esse quel colore così caldo che ha l’utopia.
Il comunismo zen si costruisce giorno per giorno. In casa, nei luoghi di lavoro, alle riunioni, col senso civico, con l’amore per i propri simili, con le idee. Senza aver troppa fretta di vedere i risultati. Utopia ha tempi lunghi, gambe un po’ traballanti come quelle dei vecchi che, però, non rinunciano ad uscire di casa a sfolgorar saggezza. Il comunismo zen si costruisce soprattutto con i pensieri, mutuando i vissuti speciali, la storia, la propria provenienza specifica, la tradizione individuale, il contesto personale. Ammorbidendo la rabbia, quando si riesce. Analizzando le critiche. Ripercorrendo gli errori, rimodulando gli obiettivi e cercando quell’isola che c’è e che si è solamente spostata un po’ più in là, verso Occidente.
Ed è l’esatto opposto della rassegnazione. Della stagnazione e dell’assuefazione.
Anch’io vorrei godere di questo status invidiabile che genera saggezza e prepara la dialettica.
E che è sempre speranza, nonostante la forza del buio.