CRITICA MUSICA

Il prisma di Flamagra

Dopo 5 anni, esce il nuovo album di Steve Ellison/Flying Lotus. "Flamagra", un disco in cui l'artista abbandona il concept per regalare ai fan un mosaico di 27 tracce e un autentico capolavoro
Foto: zimbio.com

Pronipote di John e Alice Coltrane, cugino del sassofonista jazz Ravi Coltrane, nipote della cantautrice Marilyn McLeod che ha scritto la celebre Love Hangover per Diana Ross, Steven Ellison è sempre rimasto – alla Nanni Moretti – un po’ in disparte sulla scena della musica americana. E forse per questo si è fatto notare parecchio, fin dall’esordio nel 2006 con l’EP Reset, come a dire “adesso si cambia”, seguito dall’album 1983 suo anno di nascita, proprio a dire “la storia cambia con me”. Subito sotto contratto con la Warp, la più stilosa etichetta elettronico/sperimentale del mondo, ha pubblicato solo cinque album in nove anni, per tacere poi dal 2014 ad oggi; premiato 2 volte agli Indipendent Music Awards, si è concesso poche aristocratiche collaborazioni giusto con Battles (per un festival), Erykah Badu (per un album) e Radiohead (per il remix di Reckoner).

Flying Lotus è l’identità in cui fonde indissolubilmente la sua abilità di compositore, arrangiatore, musicista e produttore: è la musica del XXI secolo bellezza. Che in questo caso è una fusione oscura e meditativa di trama e ritmo, dondolii e sperimentalismi, calore e detriti presi dal jazz, dall’hip-hop, dai suoni dei videogame, dall’IDM (intelligent dance music) e altro ancora.

Massimalista, bulimico e debordante come Frank Zappa, Steven Ellison/Flying Lotus 5 anni fa licenziava il capolavoro “definitivo” You’re Dead!, tutto dedicato alla ineludibile condizione della morte: un cupo affresco corale a cui hanno contribuito Kamasi Washington, Herbie Hancock, Kendrick Lamar, Snoop Dogg, il fido e ormai inscindibile Thundercat – altro pezzo da Novanta della scena black losangelina – insieme a tanti altri.

Non era facile tornare in questo mondo dopo aver realizzato un’opera così ambiziosa e potente, sulle cose della vita e sulla musica: e così Steven Ellison ha scelto di capovolgere il principio ispiratore, abbandonando il concept filosofico per privilegiare il processo creativo in se stesso. Flamagra è come un’operazione a cuore aperto: 27 tracce per ben oltre un’ora di ascolto, invece della stringata quarantina dei precedenti, pur sempre vicini alle 20 perché l’hip-hop è fatto di segmenti fulminanti, si sa.

Invece della sublimazione delle fonti, Flying Lotus questa volta mostra gli appunti, gli schizzi sonori, il work in progress: e ben oltre i campioni dichiarati – dalla serie Dragon Ball in Heroes, da una composizione di Alain Goraguer (quello del film di animazione Il Pianeta Selvaggio) in Black Balloons Reprise – affiora l’electro fusion di Herbie Hancock in Pilgrim Side Eye, si scivola sul passo post-rock a la Tortoise in Andromeda, si sente il respiro di Tom Waits in Say Something, pulsa lo spirito di Sun Ra in Actually Virtually.

Se More – featuring Anderson .Paak – non è distante dalle vette di Never Catch Me con Kendrick Lamar (su You’re Dead!), mentre Fire Is Coming con David Lynch è una filastrocca ingenua di poco conto; se Burning Down The House con George Clinton potrebbe essere il trionfo della leggenda afro-black, e invece è surclassata dalla straniante Yellow Belly interpretata dalla nuova musa del rap Tierra Whack; se la voce di Solange mette il suo autografo su Land Of Honey, eppure è Thundercat a lasciare la sua firma indelebile (il tris Find Your Own Way Home, The Climb e Pigmy); comunque Flying Lotus rifinisce le sue tracce – che raramente superano i 2 minuti – come fossero miniature, con la mano ferma dell’artigiano guidata dal genio sicuro dell’artista.

Flamagra non è un affresco, piuttosto un mosaico: se Steven Ellison avesse voluto farne un capolavoro avrebbe trovato il modo di tenere una decina di brani da parte per la versione de luxe, e invece si permette il lusso di attrarre la nostra attenzione per 67 minuti, che anche in piccole dosi da 2/3 è tanta roba. C’è tanto, di tutto, nu jazz, rave funk, lo fi electronica, in un tripudio prismatico che pure in mezzo a tuoni e lampi trova oasi di placido respiro: se vi pare che il jazz attuale sia un po’ troppo bianco e i neri siano quasi tutti scappati a fare casino con l’hip-hop, domandatevi perché. Flying Lotus non c’era e adesso c’è: e anche nel suo albero genealogico potrebbe stare la risposta.