DAILY LA PAROLA

Ingenuità

L'ingenuità può anche essere patologica, se influisce troppo nel comportamento e nelle scelte. Ma che bello, ogni tanto, essere un po' naïf e guardare il mondo senza vederne le brutture!

L’ingenuità di per sé, solitamente, non è una sindrome ma un modo d’essere, che può anche diventare “patologico” quando l’ingenuo deve essere continuamente assistito, seguito, aiutato per evitare che combini guai, o si lasci abbindolare da manipolatori con pochi scrupoli. È bonaccione e credulone, si fa circuire facilmente perché parte dal presupposto che gli altri non mentano, non siano maliziosi e che quindi non possano prendersi gioco di lui. Non concepisce l’astuzia, il raggiro, la cattiveria, per cui è fiducioso, sincero, candido, semplice e credulone. Saranno poi il tempo e la vita stessa a insegnargli che bisogna guardarsi dai furbetti, bisogna saperli riconoscere immediatamente e dunque tenerli lontani.

L’ingenuità diventa patologica, una vera e propria sindrome, quando si classifica come disfunzione dell’intelligenza emotiva e cognitiva, tale da influire negativamente sul comportamento e sul rapporto con gli altri, senza che ciò comporti un vero e proprio ritardo o disfunzione psicologica.

Il termine ingenuo deriva dal latino ingenuus cioè “indigeno” e definiva un elemento “innato” che apparteneva all’uomo puro, non intaccato dalle brutture del mondo. Ma indicava anche colui che era nato libero, ossia da genitori non schiavi. Per traslazione, il termine è passato a definire ciò che è degno di un uomo libero, ciò che è onesto e schietto e puro da influenze negative.

Come spiega la dottoressa Marilena Cremaschini, che si occupa di counseling e coaching, «conservare un certo grado di ingenuità vorrebbe dire, etimologicamente, conservare ciò che è veramente onesto e degno di un essere umano, cioè un tratto della propria umanità originaria, primitiva, non corrotta dalla società e dai suoi sistemi illegali e fuorvianti. Essere ingenui significava anche conservare un legame originario ed immediato col mondo, sentirsi a proprio agio nella rivelazione embrionale delle cose, come avviene nel bambino che nasce ingenuo rispetto alla malizia ed alla malvagità del mondo. Ecco perché la persona ingenua viene oggi identificata come un po’ stranita, un po’ spaesata e fuori moda rispetto al suo tempo».

Sören Kierkegaard aveva compreso il significato profondo dell’ingenuità e riteneva che la perdita di tale qualità  nell’uomo moderno fosse uno dei segnali più allarmanti dell’imbarbarimento e dell’imbruttimento della civiltà. Nel suo La dialettica della comunicazione etica ed etico-religiosa, così scriveva il filosofo danese: «Non è affatto segno di maturità il perdere completamente l’ingenuità, ancor meno è naturale per l’esistenza umana il non esserlo mai stata. All’esistenza umana sana e onesta appartiene sempre, fino all’ultimo, un certo momento d’ingenuità».

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