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Sulla rotta degli “invisibili”

Annalisa Camilli, giornalista di Internazionale, ha scritto un reportage sulla rotta "invisibile" che i migranti percorrono nei Balcani, per entrare in Italia dal confine orientale. Nessuno ne parla, eppure ogni giorno ci sono nuovi arrivi a Trieste, mentre lungo la frontiera avvengono pesanti violazioni dei diritti umani su cui è sceso un preoccupante silenzio
Foto tratta da “Panorama”

«Quando sono entrato in Italia ho ringraziato dio e poi mi sono messo a ballare in mezzo alla strada», racconta Tariq Abbas, un ragazzo pachistano di 26 anni, mentre mostra il punto esatto in cui è sceso dall’auto del passeur che qualche mese fa lo ha portato dalla Bosnia all’Italia, davanti a un bar sull’autostrada che dalla Slovenia conduce a Trieste. Aveva provato ad attraversare la frontiera tra Bosnia e Croazia quindici volte, senza riuscirci. Alla fine ha deciso di pagare un trafficante per essere portato in auto a destinazione, in Italia, insieme ad altre dieci persone. Si trovava da mesi nel campo governativo di Bira, un’ex fabbrica di Bihać, in Bosnia, dove è stato allestito un campo ufficiale dall’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim).

A Bira mancava tutto, racconta Abbas. L’acqua, i servizi, la fiducia negli altri. Risse e furti erano all’ordine del giorno in una situazione sempre più difficile. «Ero partito dal Pakistan un anno e mezzo prima e mi trovavo bloccato in Bosnia da mesi». Così l’unica strada è stata quella di affidarsi a uno dei tanti passeur che frequentano il campo. «È pieno di persone che offrono di facilitare il viaggio, all’interno degli stessi campi in Bosnia», racconta. Ha speso una cifra altissima: 3.500 euro per farsi portare prima a piedi e poi in auto dove voleva arrivare. Mentre percorre il sentiero che costeggia l’autostrada, Abbas mostra gli oggetti che altre persone hanno lasciato lungo la strada: zaini, sacchi a pelo, indumenti. Sono le tracce di un passaggio costante e silenzioso.

Una rotta di cui non si parla
L’8 novembre un ragazzo siriano di vent’anni è stato ritrovato senza vita nei boschi della Slovenia, a Iliza Bistrica, a pochi chilometri da Trieste. Come tanti prima di lui, come tanti dopo di lui, provava ad attraversare la frontiera, percorrendo una rotta che non è mai stata chiusa, nonostante l’accordo con il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan costato all’Unione europea sei miliardi di euro nel 2016 e malgrado la costruzione del muro tra Ungheria e Serbia voluto dal premier ungherese Viktor Orbán nel 2015. Il ragazzo siriano aveva vent’anni e voleva raggiungere i suoi fratelli, emigrati anni prima in Germania. Si è perso nei boschi, in autunno, per sfuggire ai controlli della polizia slovena e croata lungo i sentieri che attraversano il confine. Secondo quanto ricostruito dalla volontaria Lorena Fornasir, il ragazzo aveva chiesto aiuto tramite un amico cinque giorni prima ed era venuto suo fratello dalla Germania per cercarlo, senza fare in tempo a trovarlo vivo. Per cinque giorni il ragazzo avrebbe aspettato i soccorsi nel bosco, senza ricevere aiuto.

Lo stesso giorno del suo ritrovamento trentacinque persone sono state fermate tra Croazia e Bosnia, e rimandate indietro in quella che si è trasformata nella frontiera orientale dell’Europa, proprio nelle stesse ore in cui in tutti i paesi del vecchio mondo si celebrava il trentesimo anniversario della caduta del muro di Berlino. “Non si è trattato di una fatalità”, afferma Gianfranco Schiavone del Consorzio italiano di solidarietà (Ics) di Trieste, membro dell’Associazione studi giuridici sull’immigrazione (Asgi). «Ma è la manifestazione di una situazione drammatica che riguarda migliaia di profughi lungo la rotta dei Balcani. Quella morte si aggiunge ad altre avvenute negli ultimi anni lungo questa rotta», continua Schiavone, secondo cui gli arrivi in Italia dalla rotta dei Balcani sono bassi, ma costanti.

«Stiamo parlando di una ventina di persone al giorno che arrivano a Trieste dai Balcani», continua. Eppure, secondo l’esperto, «c’è molto silenzio su quello che succede lungo la frontiera orientale, perché è come se non si volesse riconoscere che pesanti violazioni dei diritti umani stanno avvenendo in territorio europeo: in Croazia, in Slovenia». Sono numerosi i report che denunciano le violenze della polizia croata che picchia, deruba e respinge indietro migranti e profughi, violando una serie di norme internazionali. Ma, secondo gli esperti, su questo aspetto è sceso un silenzio preoccupante.

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