CRITICA MOSTRE

Le carte dei Futuristi in mostra a Cesena e a Bologna

La voce delle carte – Autografi del Novecento nella Biblioteca Malatestiana”. Piazza Bufalini 1. Sala San Giorgio. Cesena. Fino al 2 settembre.
La voce delle carte – Corrispondenze dal Fondo Papini”. Quadriloggiato dell’Archiginnasio. Bologna. Fino al 3 giugno

C’è questa lettera, forse nota o forse no, davvero sorprendente. L’ha scritta Dino Campana, l’autore de I Canti Orfici. La riprova che a spulciare nei carteggi del passato, tra lettere, appunti, note da pubblicare o da dimenticare, è possibile ritrovare vere e proprie perle.

Campana è arrabbiatissimo contro quelli della redazione de “La Voce” (in particolare Papini e Soffici). Ha mandato loro da leggere, nella speranza di una pubblicazione, l’unica copia del suo poema (manoscritto dal titolo provvisorio Il più lungo giorno che poi diverrà i Canti) e questi glielo hanno perso. Protesta, minaccia, insulta, ma non ottiene soddisfazione. Di qui la decisione di scrivere a Filippo Tommasi Marinetti, che considera il padre ideologico del gruppo che compone il corpo redazionale della rivista fiorentina (che sarà il più importante giornale letterario dei primi del ‘900) e lo sfida a duello. «Davanti alle enormi vigliaccherie dei vostri – scrive – ho preso la decisione di sfidarvi a duello. Vi prego perciò di mandarmi [i soldi per] il viaggio in terza classe (16,70) più 5 lire per le spese. Questa decisione comunicatela a Carrà che desidero vi serva padrino… [Loro] non accettano la sfida. Per questo la faccio a voi che li chiamate futuristi».

La missiva, molto più lunga e divertente per quanto onesta, sincera e sofferta fa parte di un lotto che l’Istituto dei Beni Culturali della Regione Emilia Romagna ha acquisito da un fondo appartenuto a Giovanni Papini, contenente più di 800 carte (manoscritti e testi di poeti, di critici, artisti, filosofi, economisti e via elencando) e ora oggetto di due mostre (curate da Isabella Fabbri e Alberto Calciolari): una a Bologna, all’Archiginnasio (le lettere) e una alla Biblioteca Malatestiana di Cesena (i manoscritti).

Perché è sorprendente? Ma perché da questi due allestimenti salta all’occhio il carattere dissacrante, furioso, esaltato eppure magnifico di quei giovani artisti che dettero vita ad uno dei movimenti più rumorosi, babelici e assordanti della prima metà del secolo scorso. Ciò che rimaneva allora della letteratura post risorgimentale, erano soprattutto formalismi alto borghesi. C’erano Carducci, Pascoli, Manzoni, forse D’Azeglio, ma era uno stare dentro ai canoni del buon comportamento. Invece questa redazione, il futurismo stesso, queste lettere, sono una bolgia di idee, di polemiche, di litigi. Salta fuori ad esempio che dopo l’addio dalla direzione de “La Voce” di Prezzolini, viene  nominato direttore Papini.

Giovanni Papini

In una lettera a Scipio Slataper (uno dei più assidui collaboratori della rivista) i due non se le mandano a dire. Slapater contesta la nomina. Papini si difende. Sono a un passo dalla rottura. Alla fine rimarranno in buoni rapporti, ma tra polemiche, gelosie e turbamenti vari “La Voce” è una redazione turbolenta e ribollente di polemiche e polemisti. C’è poi la lettera di Marinetti a Soffici. Una lettera, potremmo dire, di servizio. Gli parla del catalogo dell’esposizione di Roma “Libera futurista”, gli dice di pubblicare un articolo di Pratella e gli chiede 200 copie del suo libro “Cubismo e futurismo”. Ma poi, tra le righe, gli accenna alla serata di qualche giorno prima a Milano, al Teatro Dal Verme, dove s’era tenuto il famoso “Gran Concerto Futurista di Intonarumori” (direttore Luigi Russolo e un’orchestra che vedeva rombatori, crepitatori, scoppiatori, stropicciatori, gorgogliatori, ululatori, sibilatori, etc) che, com’è noto, finì in rissa.

Dal tono del racconto Marinetti è divertito, contento. Come se la provocazione musicale avesse prodotto ciò che desiderava. Tant’è che gli accenna alla rissa avvenuta il giorno dopo davanti al conservatorio di Milano tra lo stesso Russolo e l’onorevole Cameroni, critico musicale del giornale “L’Italia” (giornale cattolico) che, ovviamente, aveva stroncato la serata. Scrive Marinetti: «Carissimo Soffici avrai letto nei giornali la nostra irruzione in platea al teatro Dal Verme. Nessuno di noi fu ferito. Soltanto Mazza fu sfiorato alla fronte. Ieri sera Russolo schiaffeggiò l’on Cameroni nel salone del Conservatorio [per cui] soltanto oggi ho il tempo di scriverti».

Le esposizioni di questi carteggi dicevamo sono due: una a Bologna e una a Cesena. Il motivo è che il fondo Papini è stato acquisito dal genero Stanislao Paszkovski (marito della figlia di Papini, Viola) e reso deposito perpetuo della Malatestiana. Qui dunque si trovano 218 autografi in versi e prosa di 54 autori soprattutto italiani. Gente come Sibilla Aleramo, Corrado Alvaro, Giovanni Amendola, Dino Campana, Vincenzo Cardarelli, Giorgio De Chirico, Piero Jahier, e ancora Mario Missiroli, Marino Moretti, Aldo Palazzeschi per non dimenticare Umberto Saba e Giuseppe Ungaretti. Un’impressionante serie di narratori, poeti, artisti e filosofi i cui scritti erano in parte destinati alla pubblicazione, in parte semplicemente dimenticati tra le carte del Papini. Come fu del resto, per tornare alla nostra storia iniziale, per il Campana. Lo scritto smarrito che l’aveva fatto infuriare fu ritrovato infatti a casa di Soffici, ma solo nel 1971nella sua abitazione di Poggio a Caiano.

Come si sia ricostruito diventando I Canti Orfici (opera di assoluto spessore poetico) fa parte della leggenda del libro “scritto a memoria”. Probabilmente sono stati riscritti facendo fede nelle diverse stesure preparatorie. Ma tant’è. E a proposito di ritrovamenti citiamo infine la magnifica sorpresa di aver ripescato tra queste carte L’Esame di coscienza di un letterato la sofferta, magnifica e importantissima lettera di Renato Serra dal fronte della guerra del 15-18 che rimane uno dei testi più lucidi per capire lo spirito con cui i letterati affrontarono la Prima guerra mondiale. La scrisse tre mesi prima di venire ammazzato a 31 anni sul Podgora, presso Gorizia, durante la terza battaglia dell’Isonzo.