CRITICA LIBRI

Le sirene di Karen Blixen

Il libro "La coda della Sirena", della giornalista e scrittrice Anna Cataldi, racconta la genesi di uno dei film più amati di tutti i tempi: "La mia Africa" che dobbiamo a questa donna indomabile di aver potuto ammirare sul grande schermo. Sette anni per realizzarlo, quanti sono stati gli Oscar vinti. Ecco la sua storia

«Ogni anno, più o meno alla stessa data, ricevo una busta gialla, anzi marrone. Arriva da uno studio legale di New York. È trascorso così tanto tempo da quando ho ricevuto la prima che a volte mi chiedo se l’avvocato che scrive sia ancora vivo (…) Contiene il rendiconto dei profitti per il film La mia Africa, di cui sono stato produttore associato. Di profitti, dicono quelle cifre, non ce ne sono!»

È l’incipit del libro La coda della Sirena (Rizzoli editore), di Anna Cataldi, giornalista, scrittrice e produttrice cinematografica, che racconta come Out of Africa, questo il titolo originale, sia arrivato sul grande schermo. Uno dei dei film più iconici degli anni 80, vincitore di sette premi Oscar nel 1986, che ha incantato e fatto sognare intere generazioni, è nato dalla convinzione e dall’ostinazione di questa signora, forte e tenace, oggi settantanovenne, che nel dal 1977 al 1984 ha viaggiato tra Europa e Stati Uniti per realizzare un film che all’inizio sembrava impossibile.
Nata a Torino ma cittadina del mondo, nominata da Kofi Annan ambasciatrice di pace per le Nazioni Unite, Anna Cataldi ha partecipato a missioni in Bosnia, Afghanistan, Pakistan, Cecenia, Angola, Ruanda, Sudan e Somalia, di cui ha scritto testimonianze su “Epoca”, “L’Espresso”, “Herald Tribune”, “The Nation” e “El País”. Elegante, colta e raffinata, ritratta da Sebastião Salgado durante le missioni per l’Onu in straordinari bianco e nero che tiene appesi nella sua casa di campagna, in Maremma, quando ha deciso di scrivere questa sua terza fatica, ha ripercorso molto più che la propria memoria.

«Tutto è iniziato da un viaggio in Sudan e in Kenia, con i tre figli, nel 1977 – racconta – durante il quale ho iniziato a leggere La mia Africa di Karen Blixen. Fino ad allora non conoscevo i suoi libri, di cui pochi mesi prima mi aveva parlato il fotografo Peter Beard, in occasione di una sua mostra a New York. Aveva immortalato la baronessa danese in celebri scatti, negli ultimi anni della sua vita, quando era ormai divorata dalla malattia che l’avrebbe portata alla tomba. Ne rimasi impressionata, tanta era la forza e la sofferenza che sprigionavano quelle foto crude e realistiche. Da lì il mio desiderio di leggere i suoi libri. La mia Africa raccontava una Nairobi diversa da quella che stavo vivendo io con i miei figli, la sua era l’Africa dei primi pionieri europei che si avventuravano in questo continente affascinante e sconosciuto. In seguito, durante il viaggio mi è capitato di leggere anche Silence will speak, della scrittrice inglese Errol Trzebinski, che racconta la vita del fotografo Denys Finch-Hatton e la sua storia d’amore con Karen Blixen, mai descritta in termini espliciti in La mia Africa».

È a questo punto che Anna Cataldi prende la decisione di portare Karen e Denys sul grande schermo e inizia il suo viaggio tra Londra, dove compra i diritti di Silence will speak, New York, Los Angeles, Copenaghen, per sette lunghi anni, tanti quanti gli Oscar poi vinti dal film. Un percorso a ostacoli, segnato da porte in faccia, rifiuti, sconfitte, inciampi, cambi di mano tra case produttrici, fino all’arrivo della Universal, di Sideny Pollak e di Robert Redford. Il resto è storia del cinema.

Tutto raccontato nel libro (che peraltro contiene una ricca appendice di persone, luoghi, film e libri citati) con una prosa brillante e scorrevole, dove scivola via leggera e divertente non solo la genesi del film, ma i fotogrammi del mondo patinato di Hollywood, tra l’amicizia con Audrey Hepburn, con la quale Anna diventerà ambasciatrice di pace per l’Onu, e personaggi leggendari, alcuni deludenti, che la scrittrice conosce personalmente, come Roman Polański e Orson Welles, che peraltro bocciano l’idea del film.

E poi momenti di scoraggiamento, arresti e ripartenze, aneddoti divertenti. Uno per tutti quello del grande produttore hollywoodiano che, prendendo Isak Dinesen (uno degli pseudonimi con cui Karen Blixen, il cui vero nome era Karen Christentze Dinesen, baronessa von Blixen-Finecke firmava i suoi libri), per il vero nome di un autore maschio, esordì con un «Ma a chi vuole che interessi una storia tra due gay ambientata in Africa?!» Eppure tutti dicevano di aver letto La mia Africa, racconta Anna Cataldi, salvo scoprire che a fatica sapevano chi avesse scritto il libro.

Tutto ciò non è bastato a fermare Anna, che, con la caparbietà e la tenacia che solo le grandi passioni possono alimentare, non ha ceduto di un centimetro. Anche per questo, La coda della sirena è molto più di un libro, è un viaggio fisico e spirituale, il resoconto di un percorso umano che dalla sconfitta l’ha portata alla realizzazione di un sogno, inseguito a ogni costo, dai grattacieli di Manhattan, agli Studios di Hollywood, da Copenaghen alle distese della savana. Tutto è evocativo, anche la copertina del libro che riproduce una foto scattata dalla stessa autrice sull’altopiano Voi, in cui Denys Finch-Hatton si schiantò con l’aereo. La donna di spalle è la scrittrice Errol Trzebinski.

L’articolo è uscito anche su Succedeoggi, la factory gemella di TESSERE