Il calendario maschile sembra fatto di una, al massimo due date, eccezion fatte per quelle del campionato calcistico nelle quali è, ovviamente, un maestro e per qualcun altra probabilmente talmente ripetuta che è impossibile scordarsela. Per il resto nebbia. Nebbia bassa in val Padana. A ricordare c’è lei, depositaria del fluire e del ripetersi del tempo e accaparratrice di fosforo nella dispensazione fatta a suo tempo dal buon dio. Puntuale come un orologio svizzero, ecco l’interrogatorio degno di un’aula di tribunale.
«Sai che giorno è oggi?». Quando con nonchalance lei pronuncia questa frase, lui si sente come pugnalato alle spalle e si irrigidisce. Poi comincia una disperata ricerca nei meandri della propria indifferenza – e insofferenza – a qualsiasi ricorrenza, anniversario, compleanno, festa comandata e non. Certo che non lo sa, che diamine, altrimenti non starebbe lì con il cucchiaino in mano a lasciare che il caffè si freddi. Annaspa cercando di indovinare. Ma è un’impresa impossibile perché per lei circa 300 su 365 giorni sono meritevoli di nota, attenzione, ricordo, se non di festeggiamenti e scambi di doni, effusioni, bigliettini, pensieri “carini”. Carini, dio come odia quell’aggettivo! Sembra quasi di vedere il rollio dei suoi neuroni alla ricerca della risposta esatta, inopinatamente distratti dal controllo dei titoli di borsa o del listino clienti.
Cerca di prendere tempo: «È il 23 marzo, due giorni dopo il primo giorno di primavera». «Esatto, quindi?», rincara lei. Il cervello di lui lavora al massimo: «L’anniversario di matrimonio no, ci siamo sposati a novembre. Il suo compleanno no, perché è nello stesso mese del mio. Nemmeno quello dei figli, che sono nati tutti a giugno, chissà perché… E allora? L’onomastico no perché si chiama Jessica e, grazie al cielo, non c’è una santa con quel nome. La festa di sua madre? Ma chissenefrega…e poi no, le abbiamo mandato i fiori due settimane fa». E allora? Il 23 marzo non è San Valentino, né la festa della donna, né la festa della mamma, né l’ultimo giorno di scuola prima delle vacanze quando c’era lectio brevis… «Quindi?», incalza lei. «È forse una festività soppressa?», borbotta lui disperato. «Sì, certo – lo aggredisce lei, caustica – soppressa dalla tua mente, così come tutte le altre».
Non c’è verso. Lui non ricorda mai una ricorrenza. E dire che non ha nemmeno bisogno di annotarsi gli impegni di lavoro o di svago. Lui l’agenda ce l’ha in testa e non toppa un appuntamento. Vorrebbe arrendersi ma, siccome gli hanno insegnato che un uomo non si arrende mai, fa un ultimo tentativo: «È anche il giorno in cui si deve pagare l’Iva». Lei spalanca gli occhi: «L’Iva? Ma che cavolo c’entra con l’anniversario della nostra prima volta?». Lui tenta di salvarsi in corner: «No, appunto, niente. Dicevo così per dire: oggi c’è una ricorrenza positiva e una negativa…».
È fatto così: non c’è verso che si ricordi per tempo una ricorrenza. Per lui bisogna seminare indizi il giorno prima, suggerimenti, cerchi di pennarello rosso sul calendario. E spesso non basta. È necessario lasciare cadere lì con indifferenza frasi del tipo: «Lunedì siamo a cena da tua sorella, vuole festeggiare il suo compleanno». Oppure: «Domani sono già dieci anni che ci siamo conosciuti, come passa il tempo…». Non è programmato dalla natura per prestare attenzione ai ricordi, per lo meno non a calendarizzarli. Per lui ogni giorno è nuovo, non porta con sé tracce del passato, è senza obblighi. Certo, quando ci si ricorda del suo compleanno e gli si fa festa non le considera smancerie. E se un figlio, magari in viaggio in Australia, non gli fa gli auguri per tempo, pronto a chiamarlo alle nove del mattino – ora di Roma – mette il muso e va domandando: «Come mai Filippo non ha ancora chiamato». Verrebbe da dirgli: «Avrà preso da te». Ma ci si trattiene, è inutile infierire con un inabile alle ricorrenze. Ci si limita a un «ma non eri quello che si dovrebbe festeggiare solo il primo maggio?».
«Per fortuna ci sei tu», si lascia scappare quando lo si è salvato dall’ennesima figuraccia ricordandogli la festa del papà o l’onomastico del suo capo che è molto attento a questi dettagli. Per lui l’unico calendario da consultare è quello calcistico. Sa di non potercela fare, ma a volte sembra che lo faccia apposta come se ricordarsi il primo appuntamento non fosse abbastanza da uomo. E invece lei ricorda tutto, al minuto e al secondo, comprese le condizioni atmosferiche e come erano vestiti, che cosa hanno bevuto, la conversazione quasi parola per parola. Lui, l’analfabeta delle ricorrenze, a stento ricorda qual era la sua appendice virile all’epoca: «Avevo la Golf? Secondo me ti sbagli, avevo ancora la decapottabile rossa». Non si sa se guardarlo con compatimento o accusarlo di confonderla con un’altra, quella che l’ha preceduta magari, di cui purtroppo non ha mai saputo la data dell’abbandono, giusto per aggiungere una ricorrenza e brindare alla sua salute.
Ma ogni tanto è lui a giocare d’anticipo, riuscendo a stupirla. In una di quelle mattine nebbiose d’inverno in cui si vorrebbe tornare sotto le coperte, pronuncia lui la fatidica frase: «Lo sai che giorno è oggi?». Si resta spiazzate, incredule. Si teme un principio di Alzheimer per aver dimenticato una data importante, al punto che la ricorda addirittura lui. Si alzano gli occhi al calendario della cucina, si sfogliano freneticamente le agende, quella di lavoro e quella personale, poi si deve capitolare. Sarà una data storica, le uniche che lui riesce a ricordare. Ma quale? Non è la caduta delle Torri Gemelle, né la presa della Bastiglia, né la firma dell’armistizio della Seconda guerra mondiale… Sarà forse il Natale di Roma? La giornata delle Forze Armate? I Patti Lateranensi? L’inizio della Rivoluzione d’ottobre, che poi era a novembre? «No no, acqua acqua», risponde lui. Quando, infine, dopo averle passate in rassegna tutte, dal giorno del Ringraziamento al Kippur, alla fine del Ramadan, si è costrette ad arrendersi, se ne esce serafico: «È l’anniversario del giorno in cui mi sono accorto di essermi innamorato di te». Un’affermazione che non permette verifica, ma che importa… Ok, poker d’assi. Stavolta ha stravinto. Non resta che assaporare il piacere della sconfitta.