La luce pomeridiana inonda la stanza, nella casa veneziana di Serena Nono, alla Giudecca. Una luce ancora invernale, ma chiara, come certe tele a cui la pittrice sta lavorando in questo periodo.
Il parquet a spina di pesce è ancora quello su cui gattonava bambina, ai tempi in cui il padre Luigi e i suoi amici – da Marino Zuccheri a Massimo Mila, Giuliano Scabia, Luigi Pestalozza e Yevgeny Yevtushenko – portavano avanti la loro opera di creazione e lotta; lo stesso il giardino e la riva, in faccia alle Zattere, con lo sguardo che spazia sul bacino di San Marco.
Serena Nono ha da poco ultimato I film di famiglia, un documentario sugli anni 1959-1974, tratto dai film 8mm e super 8 della famiglia del compositore Luigi Nono: riprese amatoriali riversate con un montaggio intelligente ed appassionato, con la cifra per nulla retorica che da una decina d’anni contraddistingue le opere filmiche di Serena Nono. Un’attività iniziata quasi per caso, nel 2007, con un filmato, Ospiti, dedicato alla Casa dell’Ospitalità di Sant’Alvise a Venezia, struttura comunale che accoglie persone senza fissa dimora; ospiti, appunto, che hanno condiviso le loro storie con l’artista.
«Li avevo conosciuti perché collaboravo a Sant’Alvise con un laboratorio di pittura e scultura – racconta Serena – e, quando mi venne voglia di raccontare quelle vite in un documentario (quasi una scommessa con me stessa, perché non avevo grandi competenze di ripresa), l’allora Direttore Nerio Comisso mi ammonì: “Basta che poi non ci abbandoni …”».
Serena Nono non se ne andrà affatto e ad Ospiti – spaccato disincantato e dolce ad un tempo di esistenze smarrite e poi recuperate senza pietismi – faranno seguito (sempre con gli amici della Casa dell’Ospitalità) nel 2009 Via della croce, la rievocazione della Passione di Cristo attraverso la Via Crucis personale dei protagonisti e, nel 2013, il più conosciuto e celebrato Venezia salva. Film, quest’ultimo, rivelazione di un talento strutturato, anche per il mirabile intreccio tra una vicenda d’ambientazione storica (liberamente tratta dall’omonima tragedia di Simone Weil) e l’utilizzo di splendidi attori non professionisti. Facendo letteralmente il miracolo di realizzare un grande film con mezzi limitati, Serena tiene i fili di un lavoro collettivo che ha coinvolto la città, le istituzioni e i privati, con risultati incredibili quanto spettacolari. A Venezia Salva, per cui l’artista realizza anche uno storyboard di 360 acquerelli (in parte pubblicati, con il DVD, dall’editore Castelvecchi) faranno seguito nel 2015 il corto The last time e L’amico, una storia di speranza, di condivisione e di un allestimento teatrale che non si riuscirà a fare. Fino a I film di famiglia, completato nel 2017.
Ne scaturisce un ritratto del musicista e dell’uomo Luigi Nono (nato a Venezia nel 1924 e scomparso nella sua città nel 1990), nell’intimità della sua vita familiare, mentre la Storia ed i suoi protagonisti entrano ed escono dalle pareti di casa con la naturalezza delle stagioni: Nono e la moglie Nuria, la suocera Gertrud Schönberg e le riprese dedicate allo studio del compositore austriaco a Los Angeles; le partite di calcio e ping pong nel giardino alla Giudecca; gli incontri veneziani con collaboratori e artisti, come i membri del The Living Theatre.
Spirito libero, Nono, legato al Partito Comunista Italiano da convinzioni profonde, ma di continuo avversato per la propria produzione che prendeva le mosse dalla dodecafonia di Schönberg (considerato un reazionario), sempre alla ricerca di un linguaggio nuovo che potesse supportare contenuti nuovi, istanze di liberazione, di lotta e testimonianza: «Fare musica – lo si apprende dalla sua viva voce nel documentario – è un modo d’intervenire nella società, perché il musicista è un uomo del proprio tempo e partecipa ai drammi del proprio tempo … E tuttavia – sono ancora indicazioni precise, ineludibili istruzioni per l’uso – ciascuno di noi dovrebbe cercare di approfondire secondo la propria specificità (…) Io – osserva Nono – a mano a mano che cerco di approfondire, sfuggo alla possibilità di essere incasellato».
Così sarà per La fabbrica illuminata, che costituisce nel percorso di Nono un’importante presa di posizione sia artistica che politica. Il lavoro, composizione per soprano e nastro magnetico a quattro piste, con testi di Giuliano Scabia e, nel finale, di Cesare Pavese, è commissionato dalla RAI per il concerto inaugurale del Prix Italia del 1964. Decisi a denunciare le durissime condizioni di lavoro nelle acciaierie, gli autori si recano – con il grande tecnico del suono Zuccheri – nello stabilimento Italsider di Genova Cornigliano, per raccogliere direttamente le voci e le parole degli operai, nonché i rumori della lavorazione. Tuttavia, quella prima esecuzione nell’ambito del Prix Italia non avrà luogo: la RAI decide di ritirare il brano, ritenuto troppo politicizzato. Così La fabbrica illuminata viene eseguita quello stesso anno a Venezia, nell’ambito del Festival di Musica Contemporanea della Biennale: «Sono venute ad assistere, da molte fabbriche, delegazioni di operai non organizzati – racconta Nono – e il dibattito che ne è scaturito è proseguito fino al mattino seguente…».
«Realizzare questo film – commenta Serena – mi ha consentito di illuminare a mia volta, attraverso le vicende di casa filtrate dall’occhio della cinepresa, un percorso artistico e politico di estremo interesse, soprattutto perché si aveva la consapevolezza di essere cittadini del mondo, un periodo in cui la politica era vissuta tra la gente e si occupava dei problemi reali della gente, cercando anche di sentire vicine altre realtà, problematiche ed ingiustizie che avvenivano a livello globale. Ho voluto evocare quei tempi e mantenere uno sguardo obiettivo, non del tutto nostalgico, soprattutto attraverso le parole di mio padre. Luigi Nono – afferma – è stato spesso accusato di contaminare la propria musica con l’impegno politico; in quegli anni, fu anche poco eseguito in alcuni Paesi ed attaccato da certa critica per ragioni politiche. Vedendo questo documentario – conclude – penso si possa capire come e perché tale impegno fosse inscindibile dalla ricerca artistica, e come la ricerca rappresentasse per il compositore Nono (ma anche per “l’uomo del proprio tempo”) una necessità».
I film di famiglia ripropone quindi i viaggi in Sud America del musicista, dal 1967 al 1972 – Venezuela, Perù, Argentina, Cile e Cuba – sempre accompagnato dalla moglie e dalle figlie piccole, Silvia e Serena Bastiana. Frammenti di struggente bellezza raccontano, tra i tanti, l’incontro di Nono con Luciano Cruz, giovane dirigente del M.I.R. cileno (Movimento di Sinistra Rivoluzionaria) a Santiago, nell’estate del 1971. Poco tempo dopo, nel settembre dello stesso anno, giunge improvvisa la notizia della sua morte “accidentale” a soli ventisette anni. A lui Nono dedicherà Como un ola de fuerza y luz.
Nel film si cita anche la collaborazione con il regista russo Yuri Liubimov del Teatro Taganka di Mosca – sua la regia di Al gran sole carico d’amore – e i soggiorni della famiglia Nono nella capitale sovietica e a Rusa (il Villaggio di vacanza per l’Unione dei compositori in URSS), per poi tornare a Venezia, in quella Giudecca dove Nono ha vissuto per gran parte della sua esistenza. Qui, più che mai, le riprese amatoriali di Luigi e Nuria danno la misura di come non vi siano confini tra la vita e l’arte, tra lo straordinario e l’ordinario, tra quel sentirsi giudecchini (con Nuria che filma le proteste degli abitanti per le fognature a cielo aperto a Campo Marte, o le attività ricreative per i bambini) e cittadini del mondo, con le bimbe in barca ad accogliere gli Inti Illimani in arrivo in laguna o a montare tutti insieme – intellettuali celebri e i compagni della Giudecca – le impalcature per la memorabile Festa Nazionale dell’Unità del 1974.
Appare evidente la speranza, l’investimento morale di quella generazione che non voleva scindere la politica dal sapere, e il sapere dalle persone, in nome – per dirla con Nono – di nuovi contenuti, di nuove idee. E se questo significa sbagliare, cozzare contro muri di perbenismo o di ideologia, pazienza: «… gli uomini che hanno creato qualcosa, hanno rischiato continuamente – l’audio che rimanda la voce di Luigi Nono, dai materiali dell’Archivio, è nitido e puro –. Poi, l’errore… l’errore in fondo è un concetto quasi da “santificare”, non parlo degli errori drammatici, certo, ma di quelli creativi…».
Finisce così I film di famiglia, con un lento ballato di notte, visibile a stento, alla Festa dell’Unità. Non sembra una favola bella, è la storia di tutti.