DAILY LA PAROLA

Mangiare

UNAPAROLAALGIORNO

Dal francese antico mangier, che, attraverso l’ipotetica forma intermedia mandicare, arriva dal latino manducare, derivato di màndere (masticare).

Ovviamente si tratta di un’azione del tutto essenziale alla sopravvivenza, ma dire che ci abbiamo ricamato sopra è un eufemismo. Il mangiare diventa il fulcro delle relazioni sociali, elemento rituale di base, giocato dai bambini, strutturato identitariamente in famiglia, luogo senza cui l’incontro fra persone, per piacere o lavoro, quasi non esiste. Ovviamente si tratta anche di un verbo profondamente usurato a forza di essere pronunciato nei secoli: per tirare fuori un mangiare dal manducare latino serve una masticazione lunghissima. Masticazione che fra l’altro è alla base del manducare, derivato di màndere (mordere), probabilmente attraverso il manducus, il masticone e perciò il mangione.

Ora, in italiano hanno convissuto, dapprima, le forme di mangiare, di manicare e lo stesso manducare, senza incontrovertibili differenze di sfumatura, e l’affermazione di mangiare, francesismo, è stata piuttosto lenta e piana. Ciò che è davvero curioso – e che ci aiuta a inquadrare la contingenza dei nostri giudizi sulle parole – è che, dal Settecento e per un lungo periodo, la variante romanesca magnare (che ha sempre in una certa misura insidiato il toscano mangiare) è stata percepita come più elegante: ad esempio Antonio Maria Salvini, grecista vissuto a cavallo fra Sei e Settecento, diceva che addirittura l’opzione magnare era un vezzo a cui ricorrevano le dame per leziosità. Non proprio l’opinione corrente, no?

Comunque il mangiare, a partire dal masticare e ingerire cibo, apparecchia una quantità impressionante di usi più o meno figurati – da quelli macroscopici che fanno del mangiare un corrodere e consumare (pensiamo al cancello mangiato dalla ruggine, al cugino che si è mangiato il patrimonio di famiglia), a quelli più discreti del mangiarsi le parole, il fegato e via dicendo. Siamo sempre a parlare di mangiare, è naturale che ci si ritorni anche per significati figurati.

E finiamo al principio: il suono. Ci fa aprire e chiudere la bocca come una masticazione, alternando l’apertura massima della a alle nasali (anche durante la masticazione l’aria passa, dovrebbe passare dal naso), e alla complessità del gi che coinvolge gola, lingua, denti e labbra. Un verbo che è un vero compendio mimico, di una finezza che ci sfugge in quelle decine di volte al giorno che lo diciamo.

La parola di oggi è tratta dal sito unaparolaalgiorno.it, encomiabile progetto nato nel 2010 dall’idea di due giovani poco più che ventenni – Massimo, dottore in psicologia, web designer, sviluppatore software e appassionato di fotografia e Giorgio, 28 anni, dottore in giurisprudenza e scrittore –, con l’intento di riscoprire parole belle e poco conosciute, parole che usiamo nel quotidiano ma di cui ignoriamo il potenziale originale. Parole, insomma, che ci permettano di arricchire di sfumature la tavolozza di colori che abbiamo a disposizione per comunicare. «Dalla qualità dei pensieri che facciamo – scrivono nel loro blog – dipende la qualità della nostra vita». TESSERE li apprezza molto

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