IL PERSONAGGIO INTERVISTE VISIONI

Mattia Berto, un teatro di cittadinanza

«Guarda, la vita se lo mangia, il teatro …». Mattia Berto è così, anima innamorata in cervello esplosivo. Si spinge a fotografare un ragazzo addormentato ai bordi del Canal Grande, poi la gente che attende ai pontili dei vaporetti. «Sono pazzo di questa città, è per questo che ho scelto di continuare a lavorare qui. Per me Venezia è un’unica, grande casa dove le calli sono corridoi, una perfetta scena a cielo aperto … deve essere abitata, e non ridotta ad un parco-giochi. Mi piacerebbe che Venezia diventasse come Berlino, ne avrebbe tutte le potenzialità. Allo stesso tempo – la passeggiata si dirige per Ruga Rialto, fino ad un piccolo caffè defilato in una calle trasversale – è bigotta, provinciale, internazionale: l’amante perfetta. Qua c’è bisogno di vita, di quotidianità non falsata».

Reduce dal successo di Tempesta_La resa dei conti, un laboratorio teatrale agito in esterni, con incursioni nei luoghi simbolo del centro storico ed interpretato da veneziani di ogni generazione, e di Tanto scappo lo stesso, al Festival dei Matti, con la collaborazione di Serena Ballarin, Mattia si racconta con una determinazione ed una lucidità incredibili per la sua giovane età. Laureato all’Università di Venezia in Tecniche Artistiche e dello Spettacolo, attore, regista, illustratore, Berto è dal 2012 Direttore artistico della programmazione del Teatro di Villa Groggia a Venezia: «Riportare in vita uno spazio culturale abbandonato come il Teatrino Groggia, in un momento terribile come quello che si stava vivendo in quegli anni, tra crisi e tagli ai bilanci, è stata un’avventura meravigliosa e un po’ folle … proprio come me – sorride – Per essere precisi, l’idea non è mia. Ho una grande amica, una splendida signora ottantenne che si chiama Anna Ponti, figlia del primo sindaco veneziano dopo la Liberazione, da sempre impegnata sul fronte dei diritti civili, del volontariato, per e con la città. Una sera, eravamo andati assieme a vedere Sei Venezia di Carlo Mazzacurati e, tornando a casa, ha esclamato: “Ma c’è il Groggia chiuso, dobbiamo farlo riaprire!”. L’ho trovato straordinario: un uomo di trent’anni e una donna di ottanta, la stessa volontà … che bel gioco tra generazioni, ma facevamo sul serio». Nonostante la crisi, il progetto prende forma: «In Municipalità – racconta Mattia – (perché una volta il Groggia dipendeva dalla Municipalità, mentre oggi la competenza è del Comune), arrivavano montagne di richieste per far ripartire lo spazio, tra cui molte degli addetti ai lavori. Io invece –Berto sembra aver sempre avuto le idee chiare – ho preferito spingere per creare un sistema di democrazia partecipata. Così è stato creato il Comitato Groggia; ricordo ancora quando ci siamo riuniti per la prima volta nel convento delle Suore Carmelitane Scalze, nel chiostro a Sant’Alvise. Sei di sera, profumo di minestrina: eravamo in tanti, associazioni cittadine, compagnie teatrali, gruppi di ogni tipo che rivendicavano un luogo. Abbiamo capito lì che di quella realtà avevamo proprio bisogno. Dopo due anni di lavoro è nato il Cantiere Groggia e siamo partiti».

Mattia Berto, negli anni precedenti, era stato soprattutto impegnato in ruoli attoriali e nella regia (dal 2001, ad esempio, si era occupato di Ad alta voce, ideato e sostenuto da Coop Adriatica, durante il quale aveva diretto artisti noti come Serra Yilmaz, Maria Pia Di Meo, Lucia Poli, Stefano Benni, Francesco Pannofino e Vasco Mirandola). Negli anni di formazione, Mattia aveva seguito workshop e laboratori presso il Master dell’Istituto della Commedia dell’Arte Internazionale, sotto la direzione del Maestro Gianni De Luigi; successivamente, aveva collaborato con Adriano Sinivia, Yutaka Takei, Franco Mescola, Carolyn Carlson, Maurizio Scaparro (come lo definisce lui «il grande maestro dell’interconnessione»). «Faccio teatro da quando ero proprio un bambino – racconta – con la mia prima insegnante, Marcella Duse, che mi ha fatto conoscere le basi di questo mestiere. E sono stato fortunato, innanzitutto perché sono nato a Venezia e poi perché i miei genitori, sono figlio unico, mi hanno sostenuto: mio padre Aldo, un commerciante illuminato, si è sempre occupato di ristorazione come tutta la sua famiglia d’origine; mia madre, Claudia Cadorin, cresciuta in una famiglia di artisti, mi ha trasmesso la sua passione per queste cose». Cresce così Mattia, pieno di meraviglia e di fattiva volontà, un atteggiamento positivo nei confronti della vita che gli fa superare ogni momento di sconforto, ogni ostacolo. «Sono sempre stato piuttosto pragmatico. Se si vuole ottenere qualcosa, bisogna agire e non lagnarsi del Fato, delle occasioni perdute o della stupidità del prossimo. Se poi sei pragmatico e un po’ matto, meglio ancora … Chissà – aggiunge – magari se non ci fosse stata la crisi, la necessità di tirare la cinghia, il Groggia l’avrebbero affidato a qualche pezzo grosso. Io non percepisco un centesimo, campo con altri ruoli, ma per me il teatro ha rappresentato una bella sfida. Quando ho cominciato, nel 2012, ero un attore che si stava dedicando alla direzione artistica, non lo avevo mai fatto prima».

I risultati, a tutt’oggi, a giudicare dalla bella esperienza delle stagioni che Mattia e i suoi collaboratori sono riusciti a montare, fino all’ultima, Sprint Time (come sempre dedicata ai bambini e alle famiglie), sono eccellenti. Berto, fin dalla tesi di laurea, si è specializzato in spettacoli e laboratori indirizzati ai più piccoli: «Mi piace occuparmene, perché la rinascita della città io la penso a partire dai bambini. Si tratta di un segnale politico, oltre che artistico … anche lo “spettacolo più merenda” (offerta dalla Coop grazie ad una convenzione) va in questa direzione. Sono felice perché il Groggia è diventato il teatro dei veneziani, senza paura, con allegria, proprio giocando su questo doppio ruolo: da un lato è ormai un’abitudine consolidata, lo spettacolo domenicale e la merenda per i bimbi; dall’altro è anche un luogo dove trovare, ad esempio, l’eccellenza di Emma Dante per una sola data in Veneto. Amo pensare al Teatrino come ad un posto in cui crescere, anche se a me piace giocare, vorrei restare bambino e continuare a giocare fino a cent’anni». Mattia Berto ride di gusto, al di là delle voci che ogni anno danno il Groggia a rischio chiusura: «Ogni crisi è un’opportunità, un’occasione – ribadisce – per inventarsi qualcosa di nuovo. L’importante, nel divertirsi, è restare rigorosi, seri, coerenti con le proprie idee». Quello che lo manda in bestia è il pressapochismo di chi pensa che il teatro per bambini sia “facile”, e altrettanto casuali i laboratori per i più piccoli: «Sono molto severo, e non tanto sullo spettacolo in sé (gli spettacoli brutti si dimenticano), quanto quando vedo condurre male il lavoro di laboratorio. Per me, lavorare con i bambini di tre anni, e sono tra i pochi in Veneto che si occupa della fascia della scuola materna – puntualizza con un certo, meritato, orgoglio – deve restare una passeggiata in punta di piedi. Il mio operare deve avere il piacere della leggerezza. Voglio pensare che a loro resti una traccia felice … si lavora sullo spazio, sull’ascolto, sul gruppo, ma non nell’ottica di formare attori, mai: piuttosto, ho visto bambini timidissimi salire in scena e trovarvi un terreno di libertà. Ecco, allora è bello, quando si fa per gioco. Anche perché magari – aggiunge – , sempre per gioco, attori si diventa più in là, per davvero. Come è successo a me».

Concentriamoci sui rapporti, cerchiamo di fare rete, sembra dirci Mattia Berto con il suo lungo, fantasioso percorso: una strada d’inclusione, di attenzione ai più fragili, siano essi appunto bambini, ma anche persone con disagio mentale (la sua collaborazione con il Festival dei Matti continua dal 2013), carcerati, disabili. Con l’andar degli anni le sue performances, i laboratori hanno coinvolto persone di tutti gli strati sociali. «Il Teatrino – commenta – mi ha aperto alla realtà e alle tante dimensioni di questa realtà. È banlieue, è luogo di confine; vicino c’è la Casa dell’Ospitalità per i senza fissa dimora, un centro per gli anziani, la ludoteca». Il teatro di Mattia Berto ha il grande merito di poter essere definito un teatro di cittadinanza, in cui tutti possono riconoscersi e al quale tutti possono partecipare. Proprio al fine di elaborare e proporre alla città progetti, collaborazioni e sinergie, Mattia ha creato già nel 2011, con Giacinta Maria Dalla Pietà e Piero Ivancich Toniolo, l’associazione m.p.g. cultura che è rimasta nel tempo la principale promotrice di molte sue iniziative.

Inoltre, nel 2016, con la fotografa Giorgia Chinellato (definita dallo stesso Berto «attenta sperimentatrice dell’animo umano»), ha concepito un ulteriore atto rivoluzionario che parte da Venezia: Teatro in bottega, sequenza di azioni teatrali site specific che hanno preso vita nei negozi storici della città lagunare, per poi sconfinare a Cortina e, nel novembre dell’anno scorso, anche a Firenze, con la realizzazione del corto Commesso viaggiatore, interpretato e diretto dallo stesso Berto: «Il progetto Teatro in bottega – racconta Mattia – nasce come reazione allo spopolamento del centro storico cittadino, alla chiusura dei negozi tradizionali, che a Venezia sono luoghi dalla storia antica che hanno sempre favorito gli incontri tra le persone. Se vogliamo – aggiunge – possiamo intenderlo come un campanello d’allarme che ci fa notare la scomparsa di luoghi di aggregazione sociale». Un episodio per tutti di Teatro in bottega basta a capire lo spirito con cui Berto porta avanti le sue idee sul territorio: Learning from Las Vegas (il cui titolo riprende quello di un celebre saggio del 1972 di Venturi, Scott Brown e Izenour, testo fondamentale per l’emergere del concetto di postmodernismo). Ebbene Mattia, in questa performance, conduce un gruppetto di ultra ottantenni nella famosa Sartoria Nicolao Atelier vicina all’Abbazia della Misericordia ( nota per i costumi storici elaborati per produzioni teatrali, operistiche e cinematografiche come Shakespeare in love). Vestiti in perfetto stile settecentesco, ma con qualche dettaglio in dissonanza (giusto per gradire), il regista filma i suoi “attori per caso” davanti ai graffiti, a Piazzale Roma sugli attraversamenti pedonali o vicino a una pompa di benzina. La Venezia di ieri, smaccatamente goldoniana (se non fosse per il cicisbeo in occhiali da sole) e la Venezia contemporanea si saldano in una chiave energetica ed allegra, senza piagnistei o moralismi. L’intero progetto rientra nella non convenzionale ricerca di Mattia sui luoghi del quotidiano: da una celebre macelleria di Rialto ad una storica bottega di tessuti nei pressi della Ca’ d’Oro fino ad un locale come l’Harry’s Bar, dichiarato nel 2001 patrimonio nazionale dal Ministero dei Beni Culturali. L’anno scorso Teatro in bottega è diventato anche un docufilm nell’ambito della serie Noi siamo cultura, per la regia di Giuseppe Carrieri, prodotto dall’emittente televisiva La EFFE.

Oltre al suo impegno come direttore artistico del Teatrino Groggia, a cui si è aggiunta per molti anni la responsabilità della programmazione della stagione per ragazzi del Teatro Dario Fo di Camponogara, Berto ha condotto laboratori in collaborazioni ripetute e continuative con il Comune di Venezia, l’Università di Ca’Foscari, la Fondazione dei Musei Civici, il Teatro Stabile del Veneto, Arteven Circuito teatrale Regionale, Palazzo Grassi e – recentemente – con la Casa Circondariale di Santa Maria Maggiore: tra i titoli My cityGoldoni MetropolitanoBalera GroggiaMicronde0A_una fabbrica per supereroi e il già citato Tempesta_la resa dei conti. Nel 2014 ha diretto Waiting Room, un’operetta lirica che è stata replicata a Liegi e a Granada; nel 2015 The lovers; nel 2016 Canto VI, un pranzo maniacale sensuale. Nel 2017 ha curato la regia di Me anzoletto, scritto da Marco Gnaccolini e  di Afterplay di Brian Friel. «Mi spinge la curiosità, la voglia di connettere mondi – commenta – come mi ha insegnato Scaparro. Per l’otto marzomo dell’anno scorso, ad esempio, abbiamo creato un progetto che mi piace molto: si chiama Futura, ha preso il via da Casa Goldoni e continua ancor oggi. Consiste nell’intervistare un gruppo di bambine, con domande semplici e fondamentali: cosa pensano del mondo, di che cosa hanno paura, se sono felici di essere femmine, e così via. È sempre appassionante vedere le cose con i loro occhi … L’installazione è un video, girato e montato da Giuseppe Drago, che alterna le interviste ad immagini che caratterizzano il mondo delle donne, frammenti di storie, figure simbolo. Grafica e foto del progetto sono di Giorgia Chinellato». Per citare il titolo del laboratorio a Santa Maria Maggiore, dentro o fuori, teatro dappertutto; per resistere, pare, ma anche per procurarsi le armi giuste: abbracci e condivisioni, aperture e ottimismo. Perché, ammonisce Mattia Berto, non si può restare immobili per la paura della tempesta in arrivo. Tanto vale attrezzarsi.