DAILY LA PAROLA

Mitezza

La mitezza è una virtù che si impara, non è innata ma è un vero e proprio modo di essere nel mondo: un po' fuori moda, attualmente

Mitezza, il contrario di arroganza e aggressività, quelle che invece oggi vanno per la maggiore. La parola è balzata di nuovo agli onori della cronaca nel discorso programmatico pronunciato in occasione del voto di fiducia alla Camera dal premier Giuseppe Conte che ha dato vita al nuovo governo giallorosso: «La lingua del governo sarà una lingua mite perché siamo consapevoli che la forza della nostra azione non si misurerà con l’arroganza delle nostre parole».

Arduo l’elogio della mitezza in questi tempi, dopo gli eccessi nelle piazze e sulle spiagge. Vale la pena rileggere la riflessione di Norberto Bobbio per il quale mitezza non è arrendevolezza o rassegnazione, ma virtù dei non potenti e per questo, a suo avviso, antitetica alla politica che siamo abituati a conoscere. «Opposte alla mitezza, come la intendo io, – scrive Bobbio nel suo ‘Elogio della mitezza’ – sono l’arroganza, la protervia, la prepotenza, che sono virtù o vizi, secondo le diverse interpretazioni, dell’uomo politico. La mitezza non è una virtù politica, anzi è la più impolitica delle virtù». Un giudizio, quello di Bobbio, molto stimolante che, a suo tempo, non ha mancato di suscitare reazioni anche polemiche. Sulla corretta interpretazione mette in guardia la bella introduzione di Pietro Polito al manoscritto di Bobbio, ristampato lo scorso anno a un quarto di secolo dall’uscita. «La mitezza è un atteggiamento antieroico che non ostenta galloni, bandiere, divise. I miti non sopportano l’ingiustizia quanto disapprovano la violenza, non esagerano, mantengono la calma quando tutti intorno la stanno perdendo, non confondono l’equanimità con l’equidistanza, l’equilibrio con l’inazione, attraversano la vita e fanno del loro meglio per una vita più vera», scrive Polito.

La mitezza, spiega Barbara Spinelli (Il soffio del mite), è un dover essere, una specie di metodo: miti si diventa per esperimenti ed errori. E’ una virtù che si impara. Miti insomma non si nasce, ma si diventa dopo il corpo a corpo con conflitti e dolori.
La mitezza è propria di un comportamento dolce e pacato, lontano da reazioni violente, ma al tempo stesso implacabile, che non si ferma di fronte agli ostacoli. Come non ricordare la mitezza in politica accompagnata dalla fermezza dei principi che fu di grandi personaggi del recente passato italiano da Giorgio La Pira, ad Aldo Moro fino a Enrico Berlinguer.
«Miti – faceva osservare il direttore dell’Espresso Marco Damilano, proprio in occasione della ristampa dell’Elogio della mitezza di Bobbio – sono i centroamericani che in migliaia si sono messi in marcia verso la frontiera degli Stati Uniti, miti sono in Italia Domenico Lucano e Ilaria Cucchi». La mitezza, potremmo aggiungere, è di coloro che salvano vite in mare.

L’etimologia della parola mitezza porta a mite, dal latino mitis, cioè maturo, tenero, dolce. Negli animali è docile mansuetudine, come quella dell’agnello, identificato nella vittima predestinata e opposto al lupo. La mitezza è una delle virtù cristiane: «Beati i miti perché erediteranno la terra», si legge nel Vangelo di Matteo. Niente a che vedere con ‘La mite’ di Dostoevskij che finisce suicida. Si usa la parola mitezza anche per indicare la gradevolezza del clima.

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