Secondo i dati ISTAT per l’anno 2017, l’Italia si accinge a superare i 15 milioni di anziani su una popolazione complessiva di poco meno di 60 milioni di abitanti: i nuovi nati non riescono a sopperire lo sbilancio lasciato dai decessi.
Molti di questi anziani si trovano in condizioni di difficoltà nel condurre gli atti della vita quotidiana o nella gestione del proprio patrimonio.
È pensando a queste persone che è stata introdotta, con la legge 9 gennaio 2004 n. 6, la figura dell’“Amministratore di sostegno”. Questa legge riforma il titolo XII del Codice Civile (art. 404 c.c. e segg.) sostituendo la precedente rubricazione “Dell’infermità di mente, dell’interdizione e dell’inabilitazione”, con la nuova che recita: “Delle misura di protezione delle persone prive in tutto od in parte di autonomia”.
Si è così deciso di fornire una tutela più incisiva per coloro che, a causa di un’infermità o per una menomazione fisica o psichica, si trovano nell’impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi
Dal punto di vista strettamente giuridico, con “Amministrazione di sostegno” si indica l’istituto proprio del diritto privato che ha lo scopo precipuo di tutelare le persone prive, in tutto o in parte, di autonomia nell’espletamento delle funzioni della vita quotidiana. Tale aiuto si manifesta mediante l’intervento di persone fisiche, denominati “Amministratori di sostegno”, che possono permanere nel detto ruolo in via temporanea o permanente.
Tanto le persone bisognose di questo aiuto quanto quelle incaricate di proteggerle, così come gli altri “attori” presenti sulla “scena” acquisiscono così dei diritti e parimenti assumono dei doveri.
Diritti
Le persone che necessitano di aiuto per poter condurre gli atti della vita quotidiana o gestire il proprio patrimonio hanno dunque diritto ad avere una figura che sia a loro di sostegno. Ad esse viene ancora riconosciuta la capacità di agire, e solo quando questa dovesse venir meno si ricorre ad altri istituti quali l’interdizione o l’inabilitazione.
Queste ultime – ha affermato la Corte Costituzionale, con sentenza n. 440 del 9 dicembre 2005 – devono essere disposte solo quando gli interventi di sostegno non sono idonei a offrire adeguata protezione all’incapace; si introduce così il principio della gradualità delle misure ed il giudice deve preferire la misura che limita nel minor grado possibile la capacità del soggetto.
Ecco come si esprime la Corte Costituzionale: «con l’amministrazione di sostegno il legislatore ha inteso configurare uno strumento elastico, modellato a misura delle esigenze del caso concreto, che si distingue dalla interdizione non sotto il profilo quantitativo, ma sotto quello funzionale e ciò induce a non escludere che, in linea generale, anche in presenza di patologie particolarmente gravi, possa farsi ricorso sia all’uno che all’altro strumento di tutela, e che soltanto la specificità delle singole fattispecie e delle esigenze da soddisfare di volta in volta, possa determinare la scelta tra i diversi istituti, con l’avvertenza che quello della interdizione ha comunque carattere residuale, intendendo il legislatore riservarlo, in considerazione della gravità degli effetti che da esso derivano, a quelle ipotesi in cui nessuna efficacia protettiva sortirebbe una diversa misura».
All’Amministrazione di sostegno, dunque si attribuisce il merito di avere considerato la situazione della persona in difficoltà (sia portatore di handicap, immigrato con difficoltà di inserimento, etc.) non già come persona da compiangere, o verso cui avere un atteggiamento “caritatevole”, ma persona bisognosa di un “aiuto attivo” nel compimento di alcuni atti, secondo l’idea che «la debolezza non è dentro la persona, ma fuori dalla stessa».
Secondo quanto previsto dalla disciplina positiva, ampliata dall’interpretazione della giurisprudenza formatasi sull’argomento, si riconoscono 4 principali categorie di persone che possono ricorrere all’Amministrazione di sostegno: 1) persone che a seguito di infermità, ovvero menomazione, si trovino nella impossibilità, anche solo parziale di provvedere ai propri interessi; 2) gli anziani; 3) interdetti e inabilitati ove sia sopraggiunta sentenza di revoca di detta interdizione; 4) minori non emancipati, in questo caso però il decreto ha effetto solo al compimento del 18° anno di età.
L’amministrazione di sostegno può essere richiesta dall’interessato stesso, dai suoi prossimi congiunti o, a norma dell’art. 407 c.c., dal Servizio sanitario nazionale e dagli operatori sociali impegnati nella cura della persona.
È l’interessato che indica la persona che vorrebbe fosse nominata Amministratore di sostegno (art. 408 cc.), oppure è il Giudice Tutelare a provvedervi ove tale scelta non sia stata effettuata e ricorrano gravi motivi, scegliendo preferibilmente il coniuge, il convivente, o in via subordinata il padre la madre, il fratello/sorella.
Il beneficiario, conserva sempre, a prescindere da come formulato il decreto di nomina dell’Amministratore di sostegno, la facoltà di compiere tutti gli atti preposti al soddisfacimento delle proprie esigenze di vita quotidiana. Per le altre attività che esulano dal soddisfacimento delle proprie esigenze di vita potrà invece contare, , a seconda di quanto disposto dal Decreto di nomina, sulla rappresentanza esclusiva o sull’assistenza dell’amministratore di sostegno.
L’Amministratore ha tutti i diritti di agire per l’ordinaria amministrazione (acquisto di beni mobili) nell’interesse esclusivo del beneficiario.
& Doveri
L’amministratore di sostegno ha il dovere, in base all’art 410 del c.c., di operare tenendo conto dei bisogni e delle aspirazioni del beneficiario. Una volta nominato è tenuto a prestare giuramento di svolgere il proprio incarico con fedeltà e diligenza. È a tutti gli effetti, come stabilito dalla Sentenza n. 50754 del 3 dicembre 2014 dalla Suprema Corte di Cassazione, un pubblico ufficiale nello svolgimento delle sue funzioni, con tutte le conseguenze e le implicazioni del caso.
Egli deve informare tempestivamente il beneficiario circa gli atti da compiere e, in caso di dissenso dell’amministrato riguardo ad essi, deve informare il Giudice Tutelare.
É tenuto, ove ne ricorrano le circostanze, a continuare nello svolgimento dei suoi compiti per almeno 10 anni, ad eccezione dei casi in cui tale incarico viene rivestito dal coniuge, dal convivente, dagli ascendenti o dai discendenti.
Di norma l’incarico di Amministratore di sostegno è svolto in modo del tutto gratuito (art. 379 del c.c.), tuttavia se il Giudice Tutelare lo ritiene opportuno può essergli corrisposto un equo compenso, in particolare se non è un prossimo congiunto dell’amministrato ma, magari, un professionista, come ad esempio un avvocato. Il compenso (a volte calcolato in percentuale rispetto al patrimonio amministrato) è ovviamente a carico del patrimonio del soggetto beneficiato.
Gli operatori dei servizi pubblici o privati che hanno in cura o in carico il soggetto beneficiario non possono, ai sensi dell’art. 408 c.c., ricoprire le funzioni di amministratore di sostegno.
Tanto gli atti compiuti dall’amministratore di sostegno quanto quelli compiuti dal beneficiario in violazione di disposizioni di legge, od in eccesso rispetto all’oggetto dell’incarico o ai poteri conferitigli dal giudice o delle disposizioni di legge o di quelle contenute nel decreto – precisa l’art. 412 c.c. –, possono essere annullati su istanza dell’amministratore di sostegno, del pubblico ministero, del beneficiario o dei suoi eredi ed aventi causa.