CRITICA LIBRI

Primo Levi, Céline e l’ultimo Sapiens

Sulla rivista “Doppiozero”, un interessante articolo di Mario Barenghi sul libro di Gianfranco Pacchioni L’ultimo sapiens. Un viaggio al termine della specie (recita il sottotitolo), partendo dai racconti di invenzione di Primo Levi di cui quest’anno ricorre il centenario della nascita e a cui TESSERE ha dedicato una “appassionata” biografia. In quei racconti lo scrittore torinese aveva visto lungo e giusto, attraverso la scienza contemporanea, fino all’ultima inquietante domanda: «Diventeremo davvero così? Umani parzialmente artificiali, geneticamente manipolati, rinnovati periodicamente nei tessuti e negli organi, interconnessi con reti neurali computerizzate, immersi nella realtà virtuale, ibridi tecnologici, cyborg?»

Nel gennaio 1987, quando Einaudi decise di ripubblicare dopo 16 anni Vizio di forma, Primo Levi scrisse all’editore una lettera, rallegrandosi che venisse riproposto «il più trascurato» dei suoi libri, e che alcune delle più fosche previsioni contenute in quei racconti non si fossero avverate (prima fra tutte, la catastrofica ipotesi di un improvviso aumento della viscosità dell’acqua). Altre invece erano divenute, nel frattempo, realtà: o almeno, apparivano prossime alla realizzazione.

Gianfranco Pacchioni, docente di chimica all’Università di Milano Bicocca, scienziato attento sia agli aspetti organizzativi della ricerca sia alle ricadute sociali delle scoperte scientifiche, è ritornato sui racconti d’invenzione di Primo Levi – segnatamente su Storie naturali (1966) e Vizio di forma (1971) – usandoli come lente per mettere a fuoco alcune delle più produttive linee di ricerca della scienza e della tecnologia contemporanee. Ne è risultato un libro vivace, inquietante e istruttivo: da un lato un omaggio al grande scrittore torinese, che ha dato prova di una lungimiranza a volte davvero straordinaria, dall’altro un aggiornamento sul nostro presente e soprattutto sul nostro futuro prossimo che non può non destare sconcerto. Il senso complessivo delle trasformazioni e innovazioni in atto è annunciato dal provocatorio titolo L’ultimo Sapiens, doppiato dalla céliniana specificazione Viaggio al termine della nostra specie. La premessa, affidata a Telmo Pievani, certifica che proprio di questo si tratta: stiamo procedendo a velocità inaudita verso una soglia evolutiva oltre la quale Homo sapiens sarà diventato qualcosa di diverso da ciò che è oggi.

Da un certo punto di vista, la parola-chiave di questo libro non è però un sostantivo, e nemmeno un verbo, bensì un aggettivo: «esponenziale». Quale che sia l’esito dei mutamenti in corso, un dato è certo: l’incremento nella rapidità della loro progressione. Assuefatti a ritmi di crescita lineari, stentiamo non tanto a cogliere le singole novità (spesso assai vistose), quanto a ponderarne le ripercussioni sulla vita individuale e collettiva (che è invece il punto di forza della letteratura di anticipazione). Indispensabile è un rapido sguardo retrospettivo. Negli ultimi duecento anni la vita è cambiata più di quanto non fosse avvenuto nei precedenti diecimila: nell’agricoltura, nell’industria, nel commercio, nei trasporti, nelle comunicazioni. E negli ultimi tre o quattro decenni, gli sviluppi dell’elettronica, della telematica, delle nanotecnologie, della biotecnologia sono stati impetuosi. A che punto siamo, oggi? Pacchioni ci fornisce una sorta di stato dell’arte, nella forma di omaggio all’acume di Primo Levi.

Nel racconto A fin di bene Levi immagina che la rete telefonica, raggiunto un certo grado di complessità, cominci a prendere decisioni autonome. Tale è la frontiera degli attuali studi sull’intelligenza artificiale. Molti ricordano la partita a scacchi giocata a New York nel 1997 in cui il calcolatore Deep Blue sconfisse il campione del mondo Garry Kasparov; ai più è invece sfuggito l’episodio analogo che ha visto il campione del mondo di Go (un antico gioco da tavola cinese) soccombere di fronte a un supercalcolatore sviluppato da Google, evento notevolissimo, perché il Go si gioca su una griglia di 19 caselle per lato, molto più grande di una scacchiera. In altre parole, Deep Blue poteva calcolare tutte le mosse possibili; AlphaGo no, perché il loro numero è inarrivabile (si parla di 10172). «Allora cosa si può fare? Semplice, insegnare al computer a giocare, e non solo a calcolare le mosse»: a comportarsi cioè come un essere umano.

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