CRITICA MUSICA

Sesso e rapporti plurimi in prima tv: purché sia divertente

Ma quale amore? Sesso! Coppia? Macché, vedute aperte! In prima serata tv. Nel lontano 1978, proprio quando nacquero i consultori, fu legalizzato l’aborto e, maledizione!, fu assassinato Moro. Autrice dello choccante colpo, Raffaella Carrà. Il ritornello semplice semplice di Tanti auguri lo si canta ancor ora.

Ma quale amore? Sesso! Coppia? Macché, vedute aperte! In prima serata tv. Nel lontano 1978, proprio quando nacquero i consultori, fu legalizzato l’aborto e, maledizione!, fu assassinato Moro. Autrice dello choccante colpo, Raffaella Carrà. Il ritornello semplice semplice di Tanti auguri lo si canta ancor ora.

Correva l’anno 1978. Un ritornello scanzonato, allegro ed orecchiabile, irruppe nella vita degli italiani, dando una sferzata alla noia di scelte musicali sempre molto controllate ed improntate sul binomio cuore/amore. Questa volta, infatti, c’entrava solo ed esclusivamente il sesso. Sesso inteso come puro piacere. Liberatorio e divertente, in ogni sua forma ed in qualsiasi contesto. Addirittura poligamo, anche per le donne.

La canzone è Tanti auguri di Raffaella Carrà, scritta da Gianni Boncompagni e Daniele Pace sulle musiche di Paolo Ormi, e il famosissimo ritornello, ancora oggi ai primi posti nelle classifiche di “motivetti da cantare sotto la doccia” o in momenti di spregiudicata euforia, recita appunto così: «come è bello far l’amore da Trieste in giù… tanti auguri, a chi tanti amanti ha».

Complice dell’immediato successo e dell’ampia diffusione del pezzo, fu sicuramente il suo impiego come sigla di testa di un programma di varietà in onda il sabato sera sulla prima rete nazionale, dal titolo Ma che sera. Lì Raffaella Carrà tornò a farsi apprezzare dal pubblico italiano dopo qualche anno di esibizioni all’estero, riconfermandosi icona sexy e show girl coinvolgente, capace di entusiasmare il pubblico più disparato.

La grande novità tecnologica che permetteva finalmente agli italiani in grado di permetterselo un televisore a colori fece il resto: il caschetto della cantante ora lo si poteva ammirare biondo.

Il balletto, la cui scenografia era curata da Gino Landi, fu girato nel famoso parco a tema di Rimini L’Italia in miniatura: una elegante, ma anche audace, Raffaella Carrà inneggiava con trasporto e convinzione al piacere di fare l’amore divertendosi e dando anche un vero e proprio “calcio” alla paura dell’abbandono e alla conseguente sofferenza («…e se ti lascia, lo sai che si fa, trovi un altro più bello che problemi non ha») mentre danzava tra i monumenti più rappresentativi del bel Paese, compresa la bellissima piazza San Pietro, simbolo del Vaticano.

La leggerezza della canzone, così come l’impronta di tutta la trasmissione, erano sintomo di una chiara insofferenza sociale rispetto alla stagione dell’austerity dettata, all’inizio del decennio, dalla crisi petrolifera ed anche la manifestazione chiara ed elementare del bisogno di esorcizzare antichi tabù. Quattro anni prima un plebiscitario referendum aveva fatto piazza pulita di chi avrebbe voluto cancellare il diritto da poco acquisito di divorziare quando le cose non vanno più e proprio quell’anno venne approvata la legge che istituiva i consultori nei quali era previsto si facesse anche educazione sessuale e a cui ricorrere non avendo altra vanti se non quella dell’aborto.

Ed ecco qui «come è bello far l’amore da Trieste in giù… » ed affermare che farlo, godendo e facendo godere, in qualunque posizione o come meglio piace, è benefico per gli individui, tanto da indurli ad essere meno inclini all’odio e quindi alla guerra: «…io mi sono convinta che non c’è odio e non c’è guerra quando a letto l’amore c’è».

La vera novità, naturalmente era il fatto che la censura non avesse messo bocca permettendo che andasse in onda nell’ora in cui tutta la famiglia è davanti alla tv.

La messa in onda coincise però, purtroppo, con il drammatico rapimento di Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse: una delle pagine più tristi per l’Italia intera. Perciò, malgrado la canzone e tutto il resto del programma furono accolti e seguiti, si alzarono voci che li consideravano fuori luogo e inopportuni. La stessa cantante ammise in un’intervista dell’epoca, di essersi “vergognata” per aver allegramente cantato quell’irriverente ritornello mentre c’era intorno una situazione sociale e politica tanto grave, e che lei stessa avrebbe sperato in uno stop alla reale messa in onda, da parte dell’azienda di Stato.

Ciò nonostante, quella meteora impattò contro il muro dei pregiudizi nei confronti del piacere sessuale in quanto tale, delle donne in particolare, che avevano semplicemente voglia di provarlo, quel piacere, senza sentirsi in colpa ingiustificatamente: «…come è bello far l’amore, io sono pronta e tu?».

Non solo: l’ideale di libertà sprigionato dalla spensieratezza del ritornello era tale che fu accolto anche dal mondo gay come un invito a manifestare l’entusiasmo ed il piacere di amarsi senza paura, fino al punto di eleggere la Carrà come proprio modello di coraggio, per la fierezza con la quale si era fatta portavoce di un messaggio così “avanti” rispetto alla mentalità del tempo: «…l’importante è farlo sempre con chi hai voglia tu».

La forza e l’efficacia della canzone risiede proprio nella semplicità del testo rivolto a tutti, «…da Trieste in giù», ed alla portata di tutti, «in campagna ed in città». Un testo, se vogliamo, banalmente elementare, tanto che lo cantano volentieri persino i bambini, senza che la cosa risulti sgradevole, nonostante l’ardito significato. La eco di quell’inno nel corso degli anni non ha mai smesso di farsi sentire e il motivetto risuona ancora oggi nelle case degli italiani. Indipendentemente dalla qualità della musica, il brano ha assolto alla propria funzione: infondere emozioni, rievocare ricordi, sensibilizzare gli animi, stimolare il pensiero, generare riflessioni anche attraverso il divertimento, oppure semplicemente divertire e basta.

Tanti auguri è, infatti, l’augurio che ci si possa divertire tutti indistintamente, liberandoci delle zavorre di pensiero inutili, e che lo si faccia, anche con follia e spregiudicata incoscienza perché «…tante volte l’incoscienza è la strada della virtù». E se non lo è, almeno è la strada per essere sé stessi, incondizionatamente.

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