CRITICA LIBRI

Teodora, imperatrice di Bisanzio

"Io, Teodora. Memoria di un'imperatrice": esce, per i tipi di Carta Bianca Editore, un libro destinato a far discutere e a riscrivere un periodo storico, al femminile, da Giustiniano in poi

Francesca Farioli Minguzzi è donna intelligente e decisa. Ha modi gentili, ma è in grado di spiazzare il suo interlocutore, specie quando si cerca di attirarla in trabocchetti stereotipati sull’antagonismo tra maschile e femminile. Dopo studi giuridici, impegnata nella fondazione d’arte di famiglia, ha scritto un bel libro – tra la biografia narrata in prima persona e il racconto – tutto dedicato a Teodora imperatrice di Bisanzio. S’intuisce, nella narrazione piana e scorrevole, lo sfarzo dei mosaici ravennati; torna alla mente l’icona di stile che ha attraversato il tempo e lo spazio, dalle turcherie settecentesche agli ori di Klimt, da Sarah Bernhardt alle collezioni di Romeo Gigli e Karl Lagerfeld. Tuttavia, l’autrice ha utilizzato un approccio molto diverso, una chiave talmente originale da suscitare polemiche nel mondo accademico e non; un dibattito che si è via via allargato al ruolo della donna negli eventi storici, soprattutto oggi, mentre si torna a parlare di Antigone, fierezza e autodeterminazione.

Non c’è dubbio che Io, Teodora. Memoria di una Imperatrice (Carta Bianca Editore, 2019) sia un libro scomodo per gli storici di professione, perché gode di una prospettiva particolare, innovativa, ma fondamentale per tutte le civiltà che si sono sviluppate nel bacino del Mediterraneo: Teodora, la ballerina, l’etèra splendida e ambiziosa avrà – secondo l’analisi documentata e sviluppata in decenni di studio che ne offre Farioli Minguzzi – un ruolo determinante nella definizione del Codice Giustinianeo, specie per ciò che concerne la legislazione sui diritti delle donne. Se questo faccia di lei la prima femminista con valenza giuridica della storia, l’anticipatrice di tante lotte che ancora ci coinvolgono, è tutto da discutere. Però il taglio che la studiosa sceglie è affascinante e per nulla campato in aria: attraverso la prosa di Francesca, si è proiettati nel concretizzarsi di un sogno imperiale che non attiene più ai fasti romani, ma sposta il suo orizzonte a Bisanzio, «la città delle città che, adagiata sul Corno dell’Abbondanza – scrive l’autrice – governa le ricchezze delle due parti del mondo».

Da qui si riparte, mentre ad ovest i barbari percorrono l’Europa, devastandola. Dall’Albania alla Grecia, dalla Turchia all’Armenia, Siria, Egitto, Libia, Tunisia e Marocco: questo è l’Impero Romano d’Oriente. Nel 330 d.C. Bisanzio diventa Costantinopoli; molto di più di una capitale, il cuore di un mondo. È qui che, nel 497, nasce Teodora, in una famiglia poverissima: la madre, attrice, indirizza allo spettacolo le tre figlie; il padre è guardiano degli orsi all’Ippodromo. Teodora, la più piccola, è condotta alle scene a soli sei anni; sa che significa intrattenere il pubblico tra una gara e l’altra, è svelta d’occhio, impara velocemente. Molta della sua fama dissoluta si deve agli storici, specie a Procopio di Cesarea che – riporta l’autrice – la descriverà con disprezzo, evidenziando la sua propensione alla lussuria come unico dato distintivo della futura imperatrice: «all’epoca Teodora – sostiene Procopio –non era affatto matura per andare a letto con uomini … si dava allora a sconci accoppiamenti da maschio … e anche nel lupanare dedicava molto tempo a questo impiego contro natura». Un altro storico, Giovanni da Efeso, si limita a definirla «Teodora da postribolo».

Francesca Farioli Minguzzi

È Francesca Farioli Minguzzi a ristabilire dei distinguo: un conto, spiega, erano le meretrici vere e proprie, praticamente schiave, un  altro le attrici-ballerine, che raccontavano storie e s’intrattenevano con gli ospiti (e il tutto poteva anche sfociare nell’offerta delle proprie grazie, ma non necessariamente). Comunque, Teodora vede e comprende: quando avrà il potere, dopo il matrimonio con Giustiniano, farà di tutto per modificare in senso legislativo la condizione delle etère, delle cortigiane: «Durante le mie ultime pantomime – è lei stessa a ricordare, nel racconto di Farioli Minguzzi – avevo raggiunto una tale maestria, che quasi mi esibivo senza veli: il pudore era estraneo alla mia persona e forse era proprio quella naturalezza a rendermi incantevole. Provavo più vergogna per chi approfittava di noi che per il nostro lavoro». Questo è il punto che la studiosa individua con grande lucidità: la necessità primaria che Teodora, fin da giovanissima e poi salita al soglio imperiale, manifesta per una trasformazione più ampia della società, in termini di giustizia e di diritti civili. Non è un progetto che riguardi esclusivamente il mondo femminile: l’intuizione formidabile di Teodora è che una profonda ristrutturazione giuridica – sia delle competenze, sia dei diritti – possa offrire all’Impero un maggior benessere, pace sociale, equilibrio politico. L’incontro tra Teodora e Giustiniano è il sodalizio tra due anime complementari e intelligenti: questione di stima (che maturerà negli anni), di condivisione delle scelte, oltre che di attrazione fisica.

A chi le chiede – nelle presentazioni del libro è capitato – se Teodora convinca Giustiniano a cambiare leggi e modalità di applicazione in virtù della sua seduttività, l’autrice risponde con stile e un pizzico d’ironia: «La bellezza, quando c’è, può passare. La complicità, la determinazione meno. Teodora era, soprattutto, determinata. Molto determinata. Questa era l’arma principale». Grazie a lei, all’imperatrice dallo sguardo di brace, le etère potranno infatti contrarre matrimonio con patrizi o uomini di rango senatorio, grazie all’abolizione della Lex Papia Poppea che lo vietava espressamente. Teodora diventa imperatrice, ma non rinuncerà mai alla propria religione, al credo monofisita. Otterrà la grazia per il vescovo Maras, deportato a Petra con i suoi seguaci, e lo farà come una persona che non rinnega le proprie radici, prima ancora che come sovrana. Farà sì, nel corso degli anni, che maltrattamenti e sevizie esercitati nei confronti delle donne siano puniti da leggi inequivocabili. Soprattutto convincerà Giustiniano dell’assoluto bisogno di un’opera legislativa unitaria che salvaguardi tutto il suo popolo, nella vita quotidiana e nei momenti fondamentali dell’esistenza: «Io imparavo. – racconta la Teodora di Francesca Farioli Minguzzi – La discussione sulla mia persona, il clamore che ho suscitato dopo la mia morte, dovrebbero essere considerati a partire dalle affermazioni di gratitudine e di stima contenute in diverse norme riportate nel Digesto, nel Codice, nelle Istituzioni e nelle Novelle, dove Giustiniano volle citarmi come sua diretta ispiratrice ( … )Le innovazioni delle quali mi fregio ( … ) cambiarono la vita delle donne: matrimonio, divorzio, adulterio, successione, emancipazione da qualunque “proprietario”».

Francesca Farioli Minguzzi ricorda, nel libro, che fu Teodora stessa a salvare l’Impero nel momento più buio, quando scoppiò la rivolta e l’intera Bisanzio era in preda alla violenza. Lei costrinse il marito, già pronto alla fuga, a mantenere – anche fisicamente – la posizione: «Voi mi avete dato la porpora e ora me la dovete togliere! Venite pure a prenderla – urla Teodora al suo popolo – Io di qui non mi sposto. È la porpora il migliore dei sudari». «Scendevo verso di loro – racconta – esile e piccola: andai verso quella gente inferocita con una tranquillità disarmante. Guardai uno ad uno quei poveretti genuflettersi al mio cospetto».

Il carisma di Teodora, la sua intelligenza empatica hanno cambiato il futuro, anche se – si sa – nel lungo periodo le conquiste possono andare perdute, le speranze deluse, lo sviluppo invertire la rotta. «Tuttavia – ribadisce Francesca Farioli Minguzzi. – non è una buona ragione per rinunciare». Negli occhi, appena un lampo, la determinazione invincibile di Teodora.