Come avevamo annunciato alcuni giorni fa, al convegno su “scienze della mente e realtà” organizzato dall’Università di Pisa e dell’Istituto Lama Tzong Khapa di Pomaia, con la partecipazione di illustri scienziati e del Dalai Lama, TESSERE ha mandato un “inviato molto speciale”, il proprio socio e collaboratore Gilberto Briani, psicoterapeuta del cui percorso è possibile leggere nella sua biografia in fondo all’articolo. Ecco la sua “emozionale” cronaca.
Quando è entrato nella sala, il brusio dei più di mille convenuti è cessato come d’incanto.
Tutti si sono alzati in piedi e un profondo silenzio è sceso nell’immensa aula del palazzo dei congressi, quasi che un occulto maestro di cerimonie avesse sommessamente trasmesso con un cenno le opportune istruzioni.
Confesso che sono rimasto sorpreso di questo spontaneo comportamento che uniformava scienziati e religiosi, curiosi e allievi, studiosi e studenti. Non mi aspettavo un tale profondo rispetto, una devozione così assoluta, dato che ormai sono estranei al nostro vivere occidentale, svuotato di valori e scarnificato da ogni implicazione spirituale. Poi, ho compreso che la persona che entrava così sommessamente in sala era una guida spirituale, umile e autorevole, e non il capo politico di una fazione rumorosa e volgare come siamo, purtroppo, abituati a vedere. Il carisma di questo vecchio signore non aveva bisogno di proclami per essere esercitato. Una luce intensa emanava dalla sua persona, per il solo fatto di esistere e di vivere secondo le regole più profonde che conducono a una pace interiore. Ed era proprio questa pace interiore ad emanare da lui, coinvolgendoti fino ad accorciare il respiro, allontanando ogni raziocinio.
Per quale altra persona una platea intera si sarebbe spontaneamente alzata in piedi e rimasta così a lungo in un silenzio contemplativo? Proprio non saprei…
Coinvolto in questa rarefatta atmosfera, direi quasi solenne, un brivido inatteso mi ha percorso la schiena e una emozione profonda si è scatenata intensa e inattesa nel mio essere. Ne sono stato non solo sorpreso, senz’altro felice.
Il convegno a Pisa
È stata la migliore introduzione che poteva esserci al tema del convegno sul complesso rapporto fra i fenomeni mentali e la realtà esterna.
Dire che sono stati due giorni intensi è riduttivo; sono stati due giorni dove la mia mente o il mio cervello, le mie reti neuronali fino alla mia coscienza (ancora nessuno sa definirla con esattezza), sono state messe a dura prova da una serie di imput sia da parte dei monaci buddhisti che da parte degli scienziati e dei filosofi, con un bombardamento di informazioni, riflessioni ed emozioni di rara potenza.
Sono state organizzate tre sessioni una più interessante e profonda dell’altra: la prima sessione sul rapporto fra la scienza della mente e la meccanica quantistica; la seconda sul rapporto fra la scienza della mente e le neuroscienze; infine la terza sul rapporto fra la scienza della mente e la filosofia.
La particolarità del Buddhismo
Il Buddhismo non è una religione, né una professione di fede. Tuttavia, dato che non accetta il concetto di un Dio creatore, ma sottolinea piuttosto la fiducia in se stessi, nella propria forza interiore e nelle proprie potenzialità, altre religioni considerano il Buddhismo come una specie di ateismo. Questo è molto importante perché in virtù di questa sua caratteristica la visione buddhista può essere integrata facilmente dalla comunità scientifica e spesso atea occidentale, facilitando così un avvicinamento fra due mondi altrimenti molto distanti fra loro.
Il Buddhismo va considerato essenzialmente come una scienza della mente, anzi la scienza della mente più avanzata che la cultura sotto ogni latitudine conosca. «La psicologia buddhista è di una tale profondità che, in confronto a quella occidentale, è come quella di un adulto accanto ad un ingenuo bambino», ha esclamato con una sana risata il Dalai Lama rivolto agli… “addetti ai lavori occidentali”. In quel momento un brivido mi ha scosso il corpo, e scrivendo mi domando ancora perché.
Il mezzo monaco…
Il Dalai Lama ha dichiarato di sentirsi mezzo monaco e mezzo scienziato; dichiarazione che illustra benissimo il Buddhismo secondo l’interpretazione che gli sta a cuore e che vuole diffondere. È monaco in quanto portatore di valori spirituali universali, quali la gentilezza e la compassione verso tutti gli esseri senzienti; è scienziato in quanto vuole indagare con tutti i mezzi scientifici, perciò fondati sui principi della scienza occidentale, la natura della nostra realtà, sia interna che esterna. Perciò ha promosso e promuove con grande determinazione, sia un’analisi in prima persona dei processi mentali – introspezione, concentrazione, meditazione, ecc. – sia un’analisi in seconda e terza persona – psicologica, psicofisiologica, psichiatrica, neurofisiologica e neuro scientifica – dei processi mentali. Intende realizzare, ha detto, uno sviluppo comune e convergente fra la tradizione filosofica e psicologica del Buddhismo e la filosofia e la scienza sviluppate dalla cultura occidentale. Un progetto bellissimo al quale lavora da molti anni coinvolgendo fior di studiosi e scienziati da entrambe le parti.
Ascoltandolo mi sono chiesto come mai questa apertura allo studio di varie culture non sia partita dal mondo occidentale ma da quello orientale: non sarà che la cultura occidentale vive in una paranoica visione di superiorità rispetto a tutte le altre?
Una possibile risposta a questa domanda si può trovare nell’approccio profondamene diverso nel sistema educativo e culturale che separa l’Occidente dall’Oriente e del quale il Dalai Lama è uno dei massimi esponenti. Egli cerca con grande volontà ed energia di illustrare, evidenziare e diffondere una dottrina pedagogica profonda ed efficace per lo sviluppo emozionale e mentale delle giovani generazioni che trovi il suo fondamento nell’educazione alla pace interiore, che si manifesti in una consapevole gentilezza d’animo e in una sentita compassione verso tutti gli esseri viventi.
È chiara la profonda e macroscopica differenza con l’educazione occidentale, basata su principi essenzialmente rivolti alla competizione e al valore vincente dell’individuo; una visione che può portare alla sopraffazione dell’Altro. In Oriente, invece, i principi educativi si rivolgono alla condivisione di valori che risiedono nell’intimità dell’essere stesso.
Durante un suo intervento il Dalai Lama ha infatti evidenziato quanto i principi spirituali siano importanti per la convivenza umana e ha citato l’India come un paese straordinario perché in esso convivono fraternamente milioni di persone con moltissime fedi religiose e credi differenti fra loro. Vige in quello Stato una tolleranza religiosa incredibile, che facilita lo scambio umano e una coesistenza non solo pacifica ma anche collaborativa.
Potete immaginare i popoli che vivono in Europa – dove da millenni si succedono massacri a massacri – e quelli da qui emigrati per colonizzare interi continenti del pianeta, uniti da uno spirito ecumenico che li renda capaci di una convivenza gentile e collaborativa fra loro? Quanto è difficile immaginarlo!
Qualità “fragili” quali la gentilezza o la compassione sono bandite dall’orizzonte educativo e culturale di tutte le nazioni europee. San Francesco, ormai quasi mille anni fa, è rimasto l’unico Santo che ha predicato valori simili al Buddhismo, e ha lasciato con il suo esempio soprattutto un’eredità dove l’ideale di vita più importante è considerato l’amore per tutte le creature. Non è certo questa l’immagine che appare ancor oggi nel nostro mondo occidentale, sempre teso a dividere e creare differenze, quasi per una inconscia (o conscia) paura di perdere la propria identità e, soprattutto, la propria superiorità: “America first”, è il lugubre grido di battaglia che oggi riecheggia nell’etere, minaccioso e pericoloso come non mai!
… e il mezzo scienziato
Il Dalai Lama, secondo la sua biografia, è sempre stato affascinato dall’aspetto meccanico, fisico della realtà, tanto da stupire, fin da ragazzo, per la sua abilità tecnica nello smontare e rimontare, ad esempio, delicati meccanismi, primo fra tutti – e forse l’unico a disposizione a quei tempi nel Tibet –, l’orologio. Storie a parte, il Dalai Lama ha dimostrato poi negli anni di possedere una eccellente mente scientifica e un’apertura mentale eccezionale che lo hanno portato a rivedere e indagare i principi del Buddhismo sotto la luce della cultura scientifica occidentale. A questo riguardo, quasi per giustificare questa sua rivoluzione culturale, cita il Buddha, il suo Maestro, che invitava i suoi allievi a discutere e confutare tutti i principi che andava predicando. Per il Dalai Lama, Buddha era impegnato a promuovere l’unicità dell’umanità intera, di tutti gli esseri senzienti, non esclusivamente con la fede e la preghiera, bensì attraverso la logica. Ha detto testualmente: «Buddha era un grande filosofo e fisico, il più antico scienziato indiano».
Da questa prospettiva, da questo approccio che oggi definiremmo “integrato”, è nato negli anni ‘90 l’Istituto “Mind and Life” fondato dal Dalai Lama con il prestigioso scienziato cileno Francisco Varela.
«L’Istituto – ha detto il Dalai Lama nella sua Lectio magistralis – è stato, ed è in prima linea nel portare avanti questo nuovo approccio integrato alla scienza. L’istituto “Mind & Life” ha riunito prospettive e intuizioni derivate da molteplici discipline, facendo da catalizzatore e coordinatore di questo campo emergente».
Il primo incontro “Mind & Life” si tenne nel lontano ottobre del 1987 negli appartamenti privati del Dalai Lama a Dharamsala. Il neuro scienziato Francisco Varela si occupò del coordinamento scientifico e fu anche il moderatore dei lavori, che affrontarono temi ampi e molteplici nel contesto della psicologia cognitiva, tra cui la neurobiologia, l’intelligenza artificiale, lo sviluppo cerebrale e l’evoluzione.
A questo primo incontro, che ebbe un grande successo, ne sono seguiti negli anni molti altri e il convegno di oggi sancisce, con la vastità e complessità dei temi trattati, il coronamento di questa idea – è proprio il caso di dire –… “luminosa” che il Dalai Lama ebbe durante un incontro fortuito con Varela, conosciuto nel 1983 in occasione di un simposio internazionale.
È impossibile dar conto qui adeguatamente dei temi illustrati dagli scienziati intervenuti al convegno, tale è la complessità dei loro contenuti altamente specialistici. La speranza è che possano trovare una collocazione nelle riviste dei vari settori d’indagine.
Cosa è la realtà?
La domanda fondamentale che sottende tutto il lavoro teorico svolto sia dalla scienza della mente buddhista che da quella occidentale è: cosa è la realtà?
Un dato forse è certo e trova d’accordo buddhisti e scienziati: la realtà non è quella che i nostri occhi ci offrono, definita realtà relativa, ma esiste una realtà assoluta che è inconoscibile e, soprattutto, inesistente. Il fatto che le cose esistano è cosa ovvia e apparente; la nostra esperienza nell’interagire con la realtà fisica e con la materia è prova sufficiente per accettarne l’esistenza. Ma in che modo le cose esistono?
Esaminando la natura ultima della realtà, i filosofi buddhisti hanno concluso che i fenomeni sono privi di esistenza, cioè non possiedono caratteristiche proprie e evidenti. Così come la teoria quantistica occidentale ha dimostrato: se cerchiamo l’essenza che compone qualsiasi oggetto, essa è introvabile. Vediamo perciò che c’è un divario tra il modo in cui le cose appaiono e il modo in cui effettivamente esistono.
C’è dunque un accordo di fondo fra le teorie della scienza della mente buddhista e la fisica occidentale. Su un punto la scienza della mente buddhista aveva tracciato un solco da millenni ben preciso, affermando che esiste un livello di esistenza più profondo, il quale va al di là del mondo fenomenico e viene descritto dai filosofi buddhisti come una natura fondamentale della realtà, non a caso denominata “vacuità”. Che dire, a questo proposito, del concetto di vuoto quantico?
È molto interessante notare come anche la scienza occidentale si sia mossa su questa linea. Il professor Federico Faggin ha infatti proposto un modello concettuale, che riguarda la natura della realtà, nel quale la realtà fisica è vista come un’espressione simbolica di una più profonda realtà extrafisica la cui esistenza poggia su una gerarchia di entità consce la cui sostanza è l’Energia.
Il substrato della realtà, dunque, viene riportato all’energia – concetto a me molto caro – ed il corpo umano è visto come – altro concetto a me molto caro – una vibrazione limitata all’interno del campo di energia, prodotta da una entità di coscienza denominata ego che perciò si comporta come un avatar dentro un mondo di realtà virtuale. E qui si sprecano veramente i riferimenti con la fantascienza, divenuta evidentemente ormai scienza vera e propria!
Mi piace accennare a un altro punto di vista che riguarda il tema della realtà. Mi ha colpito molto ciò che uno scienziato, Donald Hoffman, ha comunicato osservando che, da un punto di vista evolutivo, la realtà che i nostri sensi ci offre, e dunque vediamo, è quella utile alla nostra sopravvivenza; è quella che ci permette di fare le scelte giuste per mantenerci in vita e perciò salvaguardare la sopravvivenza della specie. Una realtà dunque al servizio della specie: probabilmente Darwin l’avrebbe accettata con entusiasmo!
Se dunque la realtà non esiste, è d’obbligo porsi una serie di domande fondamentali: cosa è la coscienza? Dove risiede? Da dove è originata? È generata dall’attività della mente? O forse è qualcosa di separato e autonomo dalla mente?
Il monaco buddhista Matthieu Richard ha spiegato come il Buddhismo consideri la coscienza un fatto primario. È una forma di mente, il suo aspetto è “luminoso”, estremamente sottile e racchiusa in ciò che viene definita “goccia indistruttibile”. È questo tipo di mente luminosa che procede di vita in vita, portando con sé i geni spirituali del continuum individuale che è possibile sperimentare, attraverso la meditazione, e svilupparne perciò una diretta consapevolezza.
Il Dalai Lama ha portato ad esempio testimonianze di numerosi tibetani che raccontano con dovizia di particolari vite passate, e i cui racconti, a un riscontro, si sono dimostrati… veritieri. C’è allora un continuum della coscienza anche post mortem? Ha raccontato del corpo di persone che sono clinicamente morte ma il cui corpo è rimasto incontaminato anche per due settimane… Quale parte del corpo allora sopravvive e continua la sua azione vitale? La coscienza?
Lo scienziato Steven Laureys studia i pazienti in “Stato vegetativo persistente” dimostrando che queste persone mostrano segnali minimi di coscienza anche se sono incapaci di comunicare in maniera efficace.
A questo proposito l’ottantaduenne Dalai Lama ha poi esclamato che forse fra dieci o venti anni riuscirà assieme ai suoi amici scienziati a dare una risposta certa a tutti questi quesiti: su questo punto siamo tutti d’accordo!
La meditazione
Da noi occidentali il Buddhismo è normalmente legato alla meditazione. L’associazione fra monaco buddhista e meditazione è la più consueta. E la meditazione, come è stato anche riconosciuto al convegno dagli stessi monaci buddhisti, ormai è diventata in Occidente così di moda da promuovere l’ironia di Sua Santità sulla corsa tutta occidentale ad abbracciare il Buddhismo. Ma non è questo il punto.
Per me interessante è che la meditazione, nel Buddhismo, sia un mezzo al servizio dell’uomo, e principalmente non solo della sua salute spirituale ma anche fisica, in quanto l’una è legata all’altra. E questo, per quanto riguarda la mia esperienza di terapeuta, è un punto di grande valore perché conferma, con una autorevolezza che ha duemila anni di storia, del ricco potenziale che la mente detiene come mezzo di guarigione.
Un’altra notazione che risuona profondamente nel mio animo, è stabilire una connessione teorica fra la “psiche” di derivazione occidentale e la “mente” così come è concepita dalla cultura orientale. Quando parliamo di psicosomatica non facciamo altro che stabilire una connessione fra la psiche e il corpo, con le stesse modalità della scienza della mente buddhista. Infatti la meditazione buddhista si fonda su una consapevolezza del corpo e su una pratica meditativa basata su processi corporei importanti quale il respiro. Nella psicosomatica si dà ugualmente valore a tutti i processi corporei, dal respiro al rilassamento, che possono veicolare una possibile guarigione dallo stress e dalle malattie correlate, punto questo fondamentale anche se incontra difficoltà sia teoriche che pratiche ad essere accettato.
Nel marzo 2000 si è tenuto a Dharamsala l’ottavo incontro “Mind & Life” che aveva come tema le emozioni distruttive. Partecipò anche Daniel Goleman, il famoso autore del libro L’intelligenza emotiva. Anche in quell’occasione il Dalai Lama non cessò di sviluppare il tema che la meditazione, intesa come cura dello spirito, può aiutare a trasformare emozioni negative in sentimenti positivi.
Le emozioni distruttive devastano infatti la psiche delle persone e spesso sono l’origine reale di malattie anche le più gravi. La medicina occidentale stenta ad accettare i fondamenti della visione psicosomatica dell’uomo. La sua vocazione esperienziale, basata sull’anatomia, non permette facilmente l’accesso alle dimensioni psichiche. Basti pensare alle vicende dell’omeopatia, messa sempre più in discussione dalla medicina ufficiale e relegata sempre più in una non precisata categoria di medicina alternativa che non significa nulla, se non in un senso svalutativo.
Il richiamo ad una visione integrata del corpo-mente che il Dalai Lama propone, sulla base di una sapienza millenaria, è finalmente una luce colorata che illumina il corpo senza vita disteso sul tavolo anatomico.
La meditazione diventa, nella prospettiva buddhista, una sorta di addestramento mentale nel quale si fa lo sforzo di produrre mentalmente uno stato positivo – fondamentale il sentimento della compassione – e lo si cerca di ripetere ogni giorno finché non diventa familiare al meditante, quasi una forza stabile che possa fare da contrappeso alla rabbia, all’ostilità perfino all’odio.
Nella visione universale che caratterizza il Dalai lama, potrebbe essere questo un modello generale da proporre a livello planetario, in modo da aiutare le persone a controllare meglio le emozioni distruttive. Ma, al momento, questa visione è da considerarsi il puro regno dell’Utopia. È troppo avanzata per i tempi che viviamo, radicati in revanche di stampo nazionalistico.
Dunque, non solo l’uso quotidiano della meditazione come cura dello spirito; la meditazione viene considerata dalla visione buddhista una vera e propria panacea per la cura della salute fisica e psichica dell’uomo.
«I benefici dell’integrazione fra scienza e pratica contemplativa in ambito clinico – ha detto con chiarezza nella sua Lectio magistralis il Dalai lama – sono già sotto gli occhi di tutti. L’applicazione della mindfullness e delle pratiche riguardanti l’amorevole gentilezza e la compassione, si stanno mostrando particolarmente efficaci. Le tecniche derivate dalle tradizioni contemplative vengono utilizzate con successo per trattare condizioni cliniche, quali la depressione, il dolore cronico, le dipendenze e il disturbo post-traumatico da stress».
Tantissimo lavoro rimane da fare ma molto è già stato fatto; rimane auspicabile sempre più che il confronto fra le varie identità culturali diventi un cardine fondamentale per lo sviluppo evolutivo dell’umanità intera. In questa direzione il Dalai lama si è mosso con grande dedizione, anticipando nel tempo l’esigenza di una universale comunanza culturale fra le varie società umane.
Con grande emozione, con vibrante attesa, ci risentiamo al prossimo convegno, sperando che altri importanti passi siano stati fatti nella fondamentale integrazione fra il cammino occidentale e il sentiero orientale.