RACCONTI ZIBALDONE

Ultra-corpi

Cammini per le strade della tua città e all’improvviso ti vengono in mente le scene di un vecchio film americano di fantascienza, diventato un classico del genere. Il film (The body snatchers) è del ’56, tratto da un romanzo di Jack Finney, e il titolo italiano è tutto un programma: L’invasione degli ultra-corpi.

Ve lo ricordate? Nella placida cittadina di Santa Mira gli extraterrestri si sostituiscono silenziosamente e inesorabilmente agli ignari abitanti. Gli invasori arrivano la notte sotto forma di giganteschi baccelli, si annidano nelle cantine delle villette suburbane, nei sottoscala, nei garage, nelle soffitte. Lentamente crescono, e al riparo della scorza riproducono le sembianze del padrone di casa. Il baccello si apre quando infine è maturo, l’umano viene risucchiato nel nulla e al suo posto entra in società l’ultra-corpo: una copia perfetta della vittima.

Uno dopo l’altro: il barbiere, il medico, la maestra, lo studente, il poliziotto, il postino, vengono replicati, e Santa Mira diventa l’avamposto dell’invasione aliena. I nuovi arrivati si riconoscono tra loro per un bagliore sinistro che si accende negli occhi: un silenzioso segnale dall’oltre-mondo pronto a dominare il nostro pianeta.

Cammino dunque per le strade della mia città, e li riconosco. Non solo dal bagliore sinistro che si accende ogni tanto nei loro occhi, ma soprattutto dalle parole che pronunciano: un vero linguaggio cifrato, formule segrete studiate per la prossima invasione. «Non sono razzista, ma…», «padroni a casa nostra», «tutto il giorno a parlare al telefonino…», «Ci rubano il lavoro», «li manteniamo con 37 euro al giorno…», «stuprano le nostre donne…», «la gente non ne può più…»

Ecco, non mi prendete per pazzo, ma credo che la sostituzione degli umani con gli ultra-corpi sia già a buon punto. Uno dopo l’altro, segno nel mio taccuino il nome dei sospetti, riconosco il loro linguaggio cifrato, sobbalzo quando mi parlano, scruto il loro atteggiamento in cerca di quel bagliore sinistro che li possa infine rivelare.

Ebbene, confesso che sono terrorizzato. A chi denunciare questa mostruosa, silenziosa invasione? Appena ieri, il poliziotto del quartiere, che conosco dalle scuole elementari, mi ha sussurrato, con uno strano ghigno: «senti, io non sono razzista, ma insomma…»

Così, non dormo la notte, mi nascondo negli angoli, sento che il cerchio si chiude intorno a me. E quasi ogni giorno frugo in cantina e in soffitta, in cerca del mio baccello personale, della mia copia inumana.

Oggi, scendendo le scale del mio condominio, mi sono imbattuto nel figlio della mia vicina. Un ragazzone quasi quarantenne, che vive in famiglia, che non ha studiato e non ha mai lavorato. Uno che non farebbe male a una mosca: un bamboccione, si diceva una volta. Ebbene, lui mi ha sbarrato la strada e di punto in bianco mi ha buttato addosso queste parole: «ci rubano il lavoro…»

Senza pensarci, dio mi perdoni, gli ho risposto: «ma tu ci andresti a fare l’operaio agricolo nelle nostre campagne per dieci ore al giorno a tre euro all’ora?» Lui mi ha guardato in faccia senza rispondere, e –giuro – ho visto un bagliore sinistro accendersi nei suoi occhi.