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Vienna, la via crucis di uno “sbattezzato”

Non che io sia mai stato un cattolico praticante, ma da quando sono venuto a vivere in Austria, ormai cinque anni fa, le cose sono cambiate profondamente riguardo il mio status religioso. Ma cominciamo dal principio.

A differenza di quanto accade nel nostro caro Bel Paese, dove l’8×1000 della propria dichiarazione dei redditi può essere versato a diversi enti a scelta, chi vive in Austria e si dichiara “cattolico” deve versare obbligatoriamente l’1,1% del proprio reddito lordo annuo alla Chiesa. Questo fenomeno si chiama Kirchenbeitrag (contributo ecclesiastico). Contrariamente a quanto potremmo pensare anche noi cresciuti all’ombra del Vaticano, la faccenda è maledettamente seria, tanto da avere valenza legale. Infatti nel caso in cui il cattolico provi ad ignorare i numerosi bollettini postali, che il parroco di Santo Stefano in persona si prodiga di spedire al suo domicilio, può essere legalmente perseguito a tutti gli effetti. La legge risale al 1939, quando i nazisti stabilirono che il contributo alla Chiesa (che nei 200 e più anni precedenti era stato sostenuto con soldi pubblici, i cosiddetti Religionsfond) non dovesse provenire dallo stato, ma dai singoli cittadini.

Dopo il mio arrivo a Vienna, al momento della registrazione al Comune (obbligatoria al terzo giorno di residenza in Austria), lasciai sconsideratamente vuota la casella del questionario relativa al credo religioso, forse perché non volevo etichettarmi necessariamente come ateo o agnostico. Di lì a pochi mesi ricevetti a casa il caloroso benvenuto della Diocesi viennese, con un bel bollettino da 140 euro in amichevole allegato. Alla mia resistenza nei confronti dell’ingiusta tassazione, fece seguito una lunga corrispondenza – in inglese e tedesco per rendere le cose più facili – con la Diocesi, i cui rappresentanti non vollero sentire ragioni: in quanto battezzato ero da considerare in tutto e per tutto un cattolico, quantunque pessimo, ma questo sia per loro che per la relativa gabella sembrava completamente irrilevante. Messo quindi alle corde, al fine di evitare l’annuale salasso, arrivò per me il momento di agire e affrontare l’unica alternativa possibile: la scomunica.

Per quanto possa sembrare paradossale, è possibile annullare il battesimo. E solo così, una volta tolta l’appartenenza al gruppo religioso, l’obbligo di pagare non sussiste più.

Ho mandato, quindi, mia madre (cattolica praticante che, invano, si è offerta di pagare la tassa pur di non sapermi definitivamente allontanato dalla comunità cattolica) dal parroco di Marina di Massa, dove sono stato battezzato circa una trentina di anni fa. È stato sufficiente recuperare il documento originale del mio battesimo e inviarmelo scannerizzato.

Dopo un ulteriore ultimatum, che mi informava del tempo limite di quattro mesi per “ripensarci”, al termine dei quali la procedura di scomunica sarebbe andata avanti con o senza il mio espresso volere, la Chiesa austriaca ha smesso di contattarmi.

Così, dall’inizio 2016 sono felicemente sbattezzato: non potrò più sposarmi in chiesa, né ricevere la comunione o altri sacramenti. In verità, secondo il Codice di Diritto canonico sono da considerarsi scomunicati o apostati anche tutti i battezzati che si professano atei o agnostici, oltre quelli che maturano altri tipi di credo religioso e – che ve lo dico a fare – le donne che si sono sottoposte ad aborto volontario.

In Italia è all’associazione UAAR (Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti) che si devono molte delle numerose battaglie per la tutela e la promozione dei diritti civili degli atei e degli agnostici, così come della laicità dello Stato e della scuola. Grazie proprio alle iniziative dell’UAAR, si è giunti, nel 2002, alla conferma da parte della Conferenza Episcopale Italiana, della legittimità delle richieste di cancellazione degli effetti civili del battesimo, formulate dai soci UAAR attraverso uno specifico modulo scaricabile gratuitamente dal loro sito web.

Rimangono comunque irrisolti almeno un paio di interrogativi: quanto sia davvero possibile, da un punto di vista teologico, annullare un sacramento, e, almeno per quanto concerne l’Austria, l’opportunità o meno di continuare a credere e a praticare senza (o nonostante) il pagamento coatto in denaro. Amen.