LINA SENSERINI
Su di lui sono stati scritti fiumi di inchiostro, a partire dalle Vite parallele di Plutarco, che ad Alessandro Magno affiancò Giulio Cesare, passando per il pometto Alexandros del Pascoli, fino alla trilogia di Valerio Massimo Manfredi e a tanti altri autori che si sono ispirati al condottiero macedone.
Storia, leggenda e mito si mescolano nella breve vita di Alessandro, morto il 10 giugno 323 a.C. (per alcuni storici l’11 giugno) a Babilonia, all’età di 33 anni (era nato a Pella, in Macedonia, il 20 luglio del 356 a.C., figlio del re Filippo e della regina Olympia), forse avvelenato, forse per una recidiva della malaria che aveva contratto nel suo viaggio alla conquista del mondo. Una morte misteriosa, che mai nessuno storico ha indagato, ma che poneva fine alle gesta di uno dei personaggi più discussi, controversi e grandiosi della storia. Uno stratega dalle abilità straordinarie, allievo del filosofo Aristotele, paragonato al mito di Achille per il suo coraggio e le sue gesta, il “figlio di Amon” (titolo, peraltro, riservato solo ai Faraoni), come venne chiamato dopo che si era recato dall’omonimo oracolo, in Egitto, per conoscere il proprio destino.
L’uomo dagli occhi di colore diverso, il simbolo della forza e della spregiudicatezza, accompagnato dal medesimo cavallo, Bucefalo, fino quasi alla sua morte. Anche il cavallo, del resto, fa parte della leggenda: di certo si sa che il fido destriero non si lasciava montare da altri che dal suo padrone. Di stazza robusta, forse originario della Tessaglia, venne acquistato da Filippo di Macedonia per il giovane Alessandro che all’epoca doveva avere 10-12 anni. Pare che il cavallo fosse inavvicinabile da chiunque, finché Alessandro non si rese conto che era spaventato dalla sua stessa ombra e riuscì a montarlo dopo avergli rivolto il muso verso il sole. Da allora furono inseparabili, fino alla morte dell’animale.
Come si mescolano storia e leggenda nell’episodio del “nodo gordiano”: si diceva che chiunque fosse riuscito a scioglierlo sarebbe diventato signore dell’Asia. Alessandro lo tagliò in due con la sua spada. Era il 333 a.C., l’anno prima il giovane condottiero era sbarcato in Asia alla testa di 40 mila uomini, che in soli nove anni avrebbero percorso 9.000 chilometri, dall’Anatolia fino all’odierna India settentrionale, dove il viaggio ebbe termine.
Si racconta che Alessandro si fosse fermato, inerme, davanti al mare, perché, come canta Roberto Vecchioni in Stranamore, «più in là non si poteva conquistare niente».
L’immenso impero edificato dal macedone partendo dalla Macedonia e dalla Grecia, giunse ad abbracciare l’Egitto in Africa e a estendersi in Asia fino al fiume Indo. Benché non fosse riuscito a consolidare del tutto il suo impero, Alessandro aveva lasciato ai posteri una eredità importantissima, avendo creato le condizioni per un’enorme espansione della cultura greca, così da porre le premesse per quella che è stata definita la civiltà Ellenistica.