LA DATA

12 maggio 1974

Quel giorno gli italiani furono chiamati alle urne per decidere se abrogare o meno la Legge 898/1970, meglio conosciuta come Fortuna-Baslini, che aveva introdotto l’istituto del divorzio nell’ordinamento giudiziario italiano.

La “madre di tutte le battaglie per i diritti civili” fu anche il primo referendum abrogativo della storia repubblicana e, ad oggi, quello con il quorum più alto. Parteciparono al voto l’87,7% degli aventi diritto, 37 milioni di italiani; votarono “no” il 59,3%, oltre 19 milioni, mentre i “sì” furono il 40,7%, poco più di 13 milioni di elettori.

La legge era stata approvata alla Camera il 1° dicembre 1970, con 319 voti favorevoli e 286 contrari, ed era stata preceduta da una lunga campagna condotta dal Partito Radicale, protagonista in quegli anni delle grandi battaglie per la laicità e per i diritti civili (nel 1978 furono nuovamente protagonisti per la “legalizzazione” dell’aborto). La maggioranza dei favorevoli al divorzio era trasversale ed andava dai comunisti, ai socialisti, dai socialdemocratici, ai liberali, ai repubblicani oltre, ovviamente, ai radicali. Contrari, la Dc, il Msi e il Partito Italiano di Unità Monarchica, da subito fermamente decisi a far tornare il Paese sui propri passi in materia di diritto matrimoniale, tanto da organizzare un Comitato nazionale per chiedere (e vincere) il referendum sul divorzio. Uno dei più agguerriti promotori del comitato fu l’allora segretario della DC, il toscano Amintore Fanfani.

Il grande sconfitto dello storico risultato che confermò la legge 898/70 fu proprio lo Scudo crociato, ma ne uscì molto ridimensionato anche il ruolo della Chiesa e della Conferenza episcopale Italiana, che espresse «profondo rammarico» per l’esito della consultazione. Mentre Paolo VI definì la vittoria del “no” come «motivo di stupore e dolore».

Ad ogni modo fu la dimostrazione che una gran parte di italiani era pronta ad aprirsi a scelte più laiche e moderne, a scrollarsi di dosso la pesantezza di un sistema obsoleto e non più in grado di fare fronte adeguatamente ai cambiamenti con i quali altri Paesi si aprivano ai diritti civili.

Purtroppo, la spinta innovatrice delle battaglie che avevano infiammato, anche duramente, gli anni ’70 – come non ricordare l’uccisione di Giorgiana Masi a Roma il giorno in cui i radicali festeggiavano i tre anni dalla vittoria del referendum? –  si è rallentata parecchio, per non dire che si è fermata.

Oggi, a quasi mezzo secolo di distanza dal referendum per il divorzio, chi crede fortemente nei valori della laicità e della libertà di scelta si sente orfano di un corpus normativo in grado di “regolare” in qualche modo il diritto di scegliere. Che sia quello di come e con chi mettere su famiglia, o di decidere quando e come morire con dignità.

Tags